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A che punto è la notte tra Cina ed Europa

A che punto è la notte tra Cina ed Europa

Pechino ha rapporti problematici con la Ue ormai da anni. E la Germania oggi diventa un elemento cruciale per il distacco.


Mentre fervono i preparativi per il prossimo vertice G20, che si terrà a novembre a Bali sotto la presidenza di turno indonesiana, i riflettori indugiano ancora una volta su Pechino. Come spesso accade, è il calendario internazionale a fare da bussola. Il recente vertice dello SCO a Samarcanda ha riconfermato la centralità della Cina nel quadrante eurasiatico, sebbene in coabitazione con altre importanti potenze quali la Turchia e l’India, e ha sancito il declassamento della Russia a potenza regionale.

In ottobre, invece, si celebrerà il ventesimo congresso del Partito comunista cinese, da cui ci si attende la riconferma di Xi Jinping. Al più, si tratterà di capire se il suo status «imperiale» subirà dei temperamenti. Pochi giorni dopo, lo stesso Xi riceverà a Pechino il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, ciascuno per conto proprio. Prima di volare a Pechino, però, i due leader europei animeranno, sempre a ottobre, un Consiglio Ue. Sul registro dei rapporti sino-europei sono ormai fissati molti punti problematici, che spaziano dai diritti umani (la repressione delle minoranze etnico-religiose e del dissenso politico da parte di Pechino) alle tensioni con Stati membri dell’Unione (gli screzi del Dragone con la Lituania sono il caso più recente ed eclatante).

Sempre su questo fronte, poi, non si possono dimenticare gli strascichi del cancellierato di Angela Merkel. Nella primavera 2020, Merkel sapeva di avere i mesi contati ma si spese in prima persona per mettere in sicurezza la proposta dell’importante accordo sugli investimenti Ue-Cina nota con l’acronimo Cai. A poco valsero le insistenze di Merkel: nella primavera 2021 l’accordo si arenò nelle secche del Parlamento Europeo. Un ruolo importante nella vicenda lo giocò un clamoroso incidente diplomatico. I cinesi, infuriati perché l’Unione aveva sanzionato funzionari di Pechino coinvolti nei soprusi contro gli uiguri, nel marzo 2021 sanzionarono diversi funzionari di Bruxelles e ben quattro europarlamentari: i tedeschi Reinhard Bütikofer e Michael Gahler, il francese Raphaël Glucksmann, il bulgaro di origine turca Ilhan Kyuchyuk e la slovacca Miriam Lexmann. Il risultato fu quello di compattare il Parlamento europeo, che nel maggio 2021 approvò a larga maggioranza il «congelamento» del processo di ratifica del Cai. Non sarà mai del tutto chiaro se i cinesi hanno usato la mano così pesante con i politici europei perché consideravano già irrimediabilmente compromesso il processo di ratifica dell’accordo, oppure non si rendevano conto di cosa stavano facendo. Sta di fatto che la vicenda fu una pietra tombale su qualsiasi residua speranza – di Merkel e del blocco «eurasista» – di rimettere in carreggiata il Cai.

Scholz, comunque la si metta, è una sorta di osservato speciale dall’Occidente. La sua prima visita di Stato è stata proprio in Giappone, dove ha molto insistito sulla comunanza valoriale tra Berlino e Tokyo. Il Giappone, come la Germania, è una delle grandi potenze sconfitte della Seconda guerra mondiale, ma anche, come la Repubblica federale, un caso riuscito di «trapianto di democrazia» da parte degli Stati Uniti. A nessuno, tuttavia, sfuggono le difficoltà del cancelliere tedesco nell’assecondare la Zeitenwende, il cambiamento epocale, che lui stesso aveva peraltro evocato. La Germania sa di dover allentare la morsa dell’abbraccio con l’Eurasia, ma questa nuova consapevolezza costa molta fatica ad alcuni settori dell’establishment tedesco. Non ai Verdi, certo, che sono atlantisti della prima ora e con i propri ministri Annalena Baerbock (Esteri) e Robert Habeck (Sviluppo economico) stanno aiutando con tutta la loro influenza i colossi industriali tedeschi a trovare nuove piazze. Il processo è pesantemente avviato se non del tutto irreversibile. Ne consegue che il cancelliere non potrà prostrarsi davanti a Xi fresco di conferma neo-imperiale. Lo stesso vale per Macron. E così, mentre un’Italia distratta sarà alle prese con la formazione del nuovo governo, le principali cancellerie globali osserveranno cosa accade a Pechino per provare a divinare i tempi e l’intensità del distacco tra Europa e Cina.

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