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La Lady Macbeth “vera” di Šostakovich arriva alla Scala: Barkhatov riscrive la tragedia di Katerina

La Lady Macbeth “vera” di Šostakovich arriva alla Scala: Barkhatov riscrive la tragedia di Katerina

Il regista russo Vasily Barkhatov, in occasione dell’esordio scaligero, racconta a Panorama la sua Lady Macbeth, «una persona che lotta disperatamente per cercare la sua identità, al di là dei suoi atti orribili»

Concreta. Carnale. E non solo perché affonda in una vicenda torbida di sangue e sesso. Ma perché accaduta davvero. «Tratta da una storia vera» si leggerebbe oggi nei titoli di testa di un film o di una serie tv. Un fatto di cronaca, quello della Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovich. Scritta nel 1932, andata in scena a Leningrado nel 1934, unica opera del compositore che progettava una trilogia sulla donna russa, tre ritratti femminili di altrettante donne appartenenti a diverse classi sociali. Libretto di Alexander Prejs dal racconto omonimo di Nikolaij Leskov del 1865,  pubblicata sul mensile Epòcha, diretto dai fratelli Michail e Fedor Dostoevskij.

Ora, Vasily Barkhatov regista russo, classe 1983, un passato nei teatri di casa – il Bolsh’oi di Mosca e il Marinskij di San Pietroburgo – e un presente sulle ribalte liriche d’Europa, decide di andare oltre la cronaca. E immagina una Katerina Izmajlova che, pur nel torbido delle sue azioni, nel nero dei suoi delitti, «assomiglia a ciascuno di noi che assistiamo alla sua parabola, perché come ognuno di noi cerca la felicità».

Sbagliando, certo. Lo sa questo giovane autore che firma la regia di Una lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmitrij Šostakovich che domenica inaugura la nuova stagione del Teatro alla Scala con Riccardo Chailly sul podio, «un direttore attento alla drammaturgia, non solo alla musica» assicura Barkhatyov. Che porta la sua Katerina Izmajlova «dal villaggio contadino del libretto di Alexander Prejs ai palazzi della Russia anni Cinquanta del Classicismo socialista».

Niente cantine squallide per la storia della donna pluriomicida, ma palazzi del Gotico staliniano, quelli del cosiddetto stile a «torta nuziale» che sono spuntati in Unione Sovietica tra il 1933 e il 1955. «Vive qui la mia Katerina» dice il regista.

E chi è per lei questa Katerina Izmajlova? Una vittima o un carnefice?

Prima di tutto è una persona che cerca la via per la felicità, per la libertà. E per farlo, come sappiamo, commette errori. Uccide. Sia la Katarina di Šostakovich sia quella di Nikolaij Leskov racchiudono in loro stesse molte persone, molte sfumature psicologiche ed è difficile giudicarle vittime o carnefici. Non si può ridurre tutto a una sola sentenza. Le sue azioni sono orribili, ma Katerina, sin da quando appare in scena, lotta per cercare disperatamente la sua identità: così come la racconto sul palco del Teatro alla Scala è una donna che cerca la sua libertà.

Certo gli uomini che la circondano non fanno una bella figura: un suocero violento, un marito inetto, un amante infedele.

Per fotografare gli uomini che popolano la vita di Katerina è interessante andare alla fonte letteraria di Una lady Macbeth del distretto di Mcensk di Nikolaij Leskov che dipinge la sua protagonista come un mostro, come il male assoluto, mentre Sergej è visto come vittima. Una visione antifemminista che il Šostakovich sovverte, raccontando, al contrario, la tragedia di una donna e dipingendo gli uomini che la circondano come animali in preda ai più bassi istinti.

Occorre però mettersi al riparo da una possibile identificazione con chi compie il male, tanto più che oggi la cronaca ci parla di troppe vicende tragiche. Forse per questo ha scelto di distanziare temporalmente da noi il racconto?

L’ambientazione non è contemporanea ma risale agli anni Cinquanta, e la storia non si svolge nella campagna russa, ma  nei grandi palazzi del Classicismo socialista, ma il gancio con il nostro presente lo offre la vicenda umana di Katerina, che suscita riflessioni oggi come già accadeva ieri, quando uscì il romanzo e quando andò in scena l’opera.

Dunque perché un’opera parli al nostro tempo non è sempre necessario attualizzarla e renderla contemporanea?

Non c’è una regola, tutto parte  da cosa la storia deve trasmetterci  e suscitare negli spettatori. Sia in costume che in jeans un’opera può annoiare o essere bella. Non dipende dagli anni in cui viene messa in scena. Per me è importante trovare la perfetta atmosfera, il giusto tempo per raccontare al meglio una vicenda. Ci può essere attualità anche in una messinscena in costume, cosa che a me piace molto se gonne lunghe e mantelli sono utili a suscitare emozioni e  riflessioni. La storia umana è la più efficace attualizzazione, è l’esempio  più chiaro di ciò che deve essere attuale, come le storie della Bibbia e le parabole del Vangelo.

Una lady Macbeth del distretto di Mcensk è il suo debutto al Teatro alla Scala. E non in una sera qualsiasi, ma il 7 dicembre, quando gli occhi del mondo musicale sono puntati su Milano. Che effetto le fa?

È un mix di sentimenti ed emozioni quello che suscita in me l’essere sul palco in uno dei teatri più importanti di tutti i tempi, dove si sono esibiti i più grandi musicisti della storia e per di più in una data importante come il Sant’Ambrogio scaligero. Ed è dunque una grande responsabilità. Ma non mi sono fatto influenzare, ho voluto essere fedele a me stesso e al mio stile, al mio modo di vedere la regia, così come capita in qualsiasi contesto nel quale mi trovo a lavorare.

In cartellone non c’è un Verdi che tutti amano e conoscono e che, dunque, potrebbe suscitare qualche preoccupazione. C’è l’opera di Šostakovich che non si è mai vista la sera di Sant’Ambrogio. Questo aiuta?

Ogni titolo è importante e un 7 dicembre con Šostakovich, certo, potrebbe sembrare un po’ strano. Ma la musica del compositore e la drammaturgia modernissima del testo hanno prodotto un tale capolavoro che saprà conquistare tutti. Lo ha fatto da sempre. E anche alla Scala si contano edizioni che hanno avuto un grande successo tra i melomani.

Un titolo voluto fortemente da Riccardo Chailly.

Abbiamo avuto modo di confrontarci molto negli ultimi due anni sulla visione dell’opera. Sono felice di lavorare con lui perché è assolutamente un uomo di teatro, ha perfettamente presente l’aspetto drammaturgico dell’opera e non solo la musica. C’è un ascolto, una ricerca e una condivisione che ha portato a un sostegno e a una stima reciproca.

La stroncatura della Pravda e la censura alla quale Una lady Macbeth del distretto di Mcensk fu sottoposta accendono i riflettori, ancora oggi, sul rapporto tra arte e politica.

Penso che il teatro sia il modo più alto di fare politica e nessuna politica può dire all’arte cosa fare o non fare. E l’arte deve essere messa nelle condizioni di dire ciò che pensa. Anche la censura che colpì questo titolo è più complessa di ciò che conosciamo. Non è una censura sui temi, ma una censura da un punto di vista umano. Molti musicisti del tempo tentarono di infangare il nome di Šostakovich e Stalin si fece influenzare. Il rapporto tra arte e politica è sempre più complesso di ciò che appare. Anche perché è capitato che a volte l’arte e la politica possano andare d’accordo. Lo racconta la stessa vicenda di Šostakovich, con la sua Settima sinfonia, La Leningrado, trasmessa dagli altoparlanti nella città sotto assedio dall’esercito tedesco.

Essere un artista russo è un valore aggiunto per mettere in scena quest’opera?

Non c’è un monopolio. Tanti registi hanno proposto eccellenti messe in scena di Una lady Macbeth. Essere cresciuto in Russia mi aiuta nella conoscenza approfondita della letteratura del mio Paese e di quel background culturale dal quale Šostakovich e la sua opera provengono. Ci sono tante citazione del Boris Godunov di Musorgskij, un titolo che è fondamentale per la nostra cultura. Però quando si è chiamati a mettere in scena Una lady Macbeth, o qualsiasi altro testo russo, non si hanno sconti solo per il fatto di essere cresciuti a Mosca.

I primi a vedere il suo spettacolo saranno i ragazzi dell’Anteprima giovani. Come coinvolgerli?

Bisogna educare il pubblico al buono e al bello. Tutti, in tutto il mondo, stanno facendo il possibile per conservare il pubblico attuale, ma soprattutto per farlo crescere con programmi speciali e cercando di parlare di più la lingua dei giovani. Il teatro deve essere efficace perché i messaggi che arrivano dal palco devono essere compresi subito. Questo non significa che bisogna proporre cose facili, ma che bisogna saper usare un linguaggio giusto. Per la formazione conta l’esperienza, ma soprattutto il come la fai e dove la fai. Se vedi una produzione sbagliata nel momento sbagliato, non tornerai più a teatro. Occorre stimolare il pubblico a capire che non tutto è vecchio e noioso. Bisogna gettare semi di bellezza e di speranza. Anche con Una lady Macbeth del distretto di Mcensk. 

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