È un’uscita goffa quella del premier Giuseppe Conte, che in un’intervista suggerisce al Movimento 5 Stelle e al Pd di allearsi all’ultimo minuto in vista delle elezioni regionali del 20-21 settembre. Un’affermazione che tradisce nervosismo e trasuda debolezza da parte del Presidente del Consiglio, evidentemente preoccupato per il futuro della maggioranza qualora il voto regionale segnasse una debacle per i partiti di governo.
Non soltanto, ma la tattica elaborata da Conte rischia di aumentare l’incrinatura sempre più evidente tra il premier e quella parte del Movimento che non si è ancora rassegnata alla totale perdita di autonomia politica in funzione di una alleanza di centrosinistra.
Per Luigi Di Maio e Vito Crimi una congiuntura immediata con il PD è troppo azzardata. Per il cinque stelle significherebbe, infatti, la scomparsa su quei territori dove arriverà la sconfitta e certificherebbe l’ennesimo errore del gruppo dirigente pentastellato, proprio ora che questo si è consolidato alla guida del Movimento con l’eliminazione del vincolo dei due mandati. Ma l’alleanza vidimerebbe anche la subalternità dei populisti al Partito Democratico, il loro definitivo annichilamento a favore di un patto di mero potere il cui unico beneficiario sarebbe proprio il Presidente Conte. Senza considerare che sul piano elettorale, sondaggi alla mano, l’alleanza potrebbe essere affatto risolutiva anche nelle due regioni più in bilico, le Marche e la Puglia. Una collaborazione così strutturata sarebbe il bacio della morte per i candidati alla presidenza del Movimento e ridurrebbe le motivazioni del residuo elettorato grillino di recarsi alle urne o di accordare la propria preferenza al partito.
Il PD utilizza lo spauracchio del voto disgiunto per convincere i pentastellati a piegarsi all’alleanza, ma cosa cambierebbe per il Movimento sul piano del consenso nel caso di un’alleanza ad un solo mese dalle elezioni? Sarebbe una prova di debolezza e di scarsa credibilità, il sigillo sul futuro da partitino di sinistra dei cinque stelle. Sul tavolo restano dunque tre scenari.
Il primo è quello in cui il Movimento si convince all’alleanza e la coalizione riesce ad ottenere un buon risultato alle regionali (vittoria almeno in Puglia, in Toscana ed in Campania), eventualità che segnerebbe il proseguo dell’alleanza elettorale nei prossimi mesi, legherebbe le mani a Di Maio e rafforzerebbe il premier.
Il secondo scenario è il fallimento dell’alleanza, in cui il sacrificio dei cinque stelle non sventa l’affermarsi del centrodestra in quattro regioni (Marche, Puglia, Veneto e Liguria), in questo caso i vertici del Movimento possono rimettere in discussione tutto, ma con quale forza e credibilità? È lo scenario peggiore per la maggioranza ed il governo, col rischio di una implosione dei cinque stelle nei prossimi mesi.
Il terzo, e forse più probabile, è la resistenza del Movimento alle sirene dell’alleanza con il PD. Le regionali, comunque finiscano, incideranno sui rapporti di forza tra i due partiti. In questo caso, più scarso sarà il risultato del Movimento maggiori le pressioni per una futura alleanza, ma anche maggiori le possibilità di un redde rationem interno per la futura leadership dei pentastellati. In quest’ultimo scenario, la futura cooperazione elettorale tra Pd e Cinque Stelle resterebbe nell’incertezza, ed è forse la scelta strategica più saggia per un Movimento in transizione e vuoto di leadership.
In definitiva, il futuro dell’alleanza passa dagli equilibri interni del Movimento: scissioni; nuove leadership, che al momento non si profilano all’orizzonte; o, più probabilmente, un progressivo indebolimento elettorale segneranno il futuro della coalizione con il Pd sui territori. Ma qualora il Movimento si riducesse ad un piccolo partito, e dunque fosse costretto ad allearsi con il PD per aver speranze di governo in futuro, viene da chiedersi se questa alleanza sia capace di vincere e governare, sia i territori che soprattutto la nazione.
