Sull’Africa Giorgia Meloni ha una visione strategica, di grande politica estera. Non sarà facile, ci vorrà tempo, ma il metodo Mattei è una proposta che impegna l’Europa ponendo l’Italia come protagonista». A parlare è Alfredo Mantica, ex sottosegretario agli Esteri di lungo corso e vicepresidente della Fondazione Avsi, la più grande Ong italiana presente in 40 Paesi del mondo, metà africani, con 2.500 persone sul campo.
Il 23 luglio scorso Meloni ha convocato a Roma la Conferenza sull’immigrazione e sviluppo con 21 Paesi africani, del Mediterraneo allargato e Medio Oriente, oltre a organizzazioni e istituzioni finanziarie internazionali per lanciare «il processo di Roma». Un primo passo verso l’annuncio, ai primi di novembre, dei progetti del piano Mattei in occasione del forum Italia-Africa nella nostra Capitale. Un piano articolato di sviluppo su agricoltura, energia, infrastrutture, educazione-formazione, sanità, acqua e igiene. Un patto paritario con le nazioni del continente, che fermi l’ondata di migranti.
Nel discorso di apertura alla conferenza, la premier ha spiegato i punti principali: «Primo, contrasto all’immigrazione illegale. Secondo, governo dei flussi legali. E soprattutto, la cosa più importante, una cooperazione ad ampio raggio per sostenere lo sviluppo in Africa e più in generale negli Stati di provenienza dei migranti affrontando alla radice le cause dell’immigrazione».
Non è un caso che quattro giorni dopo Meloni abbia incontrato il presidente americano Joe Biden a Washington. Uno dei punti all’ordine del giorno era il Nordafrica. «E su questo tema gli americani ci stanno a sentire» dice una fonte governativa. «Non è più il tempo delle visite alla Casa Bianca per baciare la pantofola».
Meloni è riuscita a coinvolgere sul piano Mattei, come madrina a Roma, Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea. Anche il segretario generale dell’Onu, António Guterres, appoggia «Giorgia l’africana», in vista della presidenza italiana del G7 nel 2024. «Non è terzomondismo, ma volontà di tutelare i nostri interessi nazionali su energia, dato che il piano si chiama Mattei (il fondatore dell’Eni, ndr) e contrasto all’immigrazione illegale aiutando l’Africa ed i loro interessi su base paritaria, non predatoria o paternalistica» sottolinea ancora la fonte dell’esecutivo.
Il piano Mattei è ancora in elaborazione e va dettagliato di progetti e contenuti. Panorama è in grado di tracciare le linee guida, le luci e le ombre di una strategia geopolitica che, osserva Mantica, «pone l’Italia come pivot del Mediterraneo allargato. Meloni deve fare attenzione a non compiere l’errore di pensare che basti dare soldi agli africani per fermare gli immigrati».
La presidente del Consiglio ha ripetuto un concetto di Papa Francesco: «Vogliamo assicurare a tutti il diritto di non emigrare». E chiarito che investimenti e sviluppo sono gli strumenti. «Il commercio tra Italia e Africa ha registrato un incremento medio di quasi il 7 per cento e si attesta oggi intorno a quasi 70 miliardi di euro. Lo scorso anno sono cresciute quasi del 90 per cento le nostre importazioni».
Meno migranti è più energia sarà uno dei tasselli della strategia Mattei. l’Italia è il ponte naturale nel Mediterraneo, tra l’Europa e l’Africa. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha spiegato che «vogliamo diventare un hub energetico nel Mediterraneo, collegando l’offerta africana di energia con la domanda europea».
La punta di diamante rimane l’Eni il primo operatore di «oil&gas» in Africa. Il nostro Paese ha già sostituito il metano russo con quello proveniente dal continente, a cominciare dall’Algeria, ma sono previste nuove infrastrutture per incrementare i flussi anche di idrogeno verde. Il piano Mattei abbraccia le opportunità di energia rinnovabile, chiodo fisso dell’attuale Commissione europea. Il partenariato strategico firmato con la Tunisia, che la Ursula von dar Leyen indica «come modello per altri Stati» ha un importante capitolo sulla «transizione energetica». Una fetta dei 307 milioni di euro dell’Interconnection in Europe Facility sarà investita per rafforzare «la crescita verde e la creazioni di posti di lavoro» in Tunisia. Si punta alla produzione di idrogeno e maggiore «cooperazione sulle tecnologie per l’energia pulita».
Emanuela Del Re, rappresentante speciale dell’Unione europea per il Sahel, spiega che «all’inizio di luglio ero presente all’inaugurazione di una nuova centrale elettrica in Niger. La corrente in molte nazione dell’Africa arriva a singhiozzo. Per questo la Ue ha varato il Global Gateway con 150 miliardi per l’Africa da investire in progetti infrastrutturali e partenariati economici».
Il piano Mattei mira a spostare in Africa «parte delle produzioni, della manifattura o delle industrie di trasformazione (soprattutto nel settore agroalimentare), con l’obiettivo di mitigare le ragioni di partenza (dei migranti, ndr) dal Paese d’origine» scrive l’Istituto per gli studi di politica internazionale. E non possono mancare le opere infrastrutturali, che non devono essere necessariamente faraoniche, come la Grande diga del millennio in Etiopia, realizzata dalla We Build, ex Salini-Impregilo. Strade di collegamento, scali marittimi e aeroporti medi, corridoi secondari che si collegano a quelli principali fra l’Africa atlantica e l’oceano Indiano, la dorsale nord-sud o la strada costiera dell’Africa occidentale. Opere che già in parte la Cina vuole accaparrarsi.
Nel 2023 gli uffici in Africa dell’Agenzia italiana per il commercio estero (Ice) saranno otto da Addis Abeba a Johannesburgh. Meloni ricorda che «l’Italia è già impegnata per poco meno di un miliardo di euro in Africa. A queste risorse si sommeranno quelle a favore del clima, tre miliardi nei prossimi anni, e le molte iniziative delle nostre grandi e medie imprese. È la nostra parte in un complesso molto più ampio di risorse che possiamo attivare».
Grazie a fondi europei, ma anche arabi come quelli degli Emirati, che hanno interessi nel continente, per realizzare il Piano Mattei. «Il nostro problema è che abbiamo fondi ancora limitati» osserva Mantica. «In Etiopia la Cooperazione porterà 140 milioni di euro in tre anni. Gli americani ne sborsano 900 in un solo anno».
Le conclusioni della conferenza che ha avviato il «processo di Roma» stabiliscono pure come «rafforzare le misure di prevenzione e contenimento (…) per combattere efficacemente il traffico di migranti via terra e via mare». A cominciare dalle Guardie costiere dei principali Paesi di partenza dei barchini. Una parte dei 105 milioni dell’Europa per rimpatri e aiuti alla Tunisia coprono la consegna di 17 mezzi navali riequipaggiati e otto nuovi di zecca. Tre motovedette S 300 costruite dal cantiere Vittoria, in provincia di Rovigo, arriveranno il 6 agosto a Tripoli. Il fondo Ue per l’Africa ha sborsato 6,3 milioni di euro attraverso il Viminale.
Il «punto 10» nelle conclusioni della Conferenza prevede «di adottare misure per identificare, tracciare, congelare e potenzialmente confiscare i profitti illegali derivanti dal traffico e dalla tratta di esseri umani».
In pratica si mettono nel mirino gli introiti dei trafficanti spesso trasformati in ville, investimenti e depositi bancari da Abu Dhabi all’Europa. Meloni ha anche auspicato «un coordinamento fra le nostre strutture di intelligence» per dare la caccia a questa mafia. In Libia i droni turchi hanno bombardato i porti delle milizie coinvolte nel traffico di esseri umani. Sia in Tripolitania che in Cirenaica stanno aumentando i raid contro l’immigrazione illegale e sul campo opera a livello informativo l’Aise, i servizi segreti esterni italiani guidati da Gianni Caravelli.
«Ahimè, lo dico da pacifista a malincuore, ma devo riconoscere che gruppi del terrore e criminali, spesso mescolati fra loro, impongono una risposta militare» ammette Del Re, che conosce bene la minaccia nel Sahel. Senza maggiore stabilità il piano Mattei difficilmente avrà successo. L’Italia ha in Africa una decina di missioni militari, metà con l’Unione europea, ma con soli 1.155 uomini. Le più «funzionali» alla strategia italiana nel continente sono quelle in Libia e Niger, aree di transito dei migranti e Somalia da dove partono per raggiungere le coste del Mediterraneo. Proprio in Niger, Paese amico, il 26 luglio una frangia di militari si è ammutinata al presidente eletto Mohamed Bazoum, complicando il piano italiano.
Anche per Mantica lo strumento militare è importante e il governo italiano sta spingendo per un maggiore impegno della Nato sul fronte Sud. Però Meloni «deve tenere conto del mondo delle Ong, che non è fatto solo di Carola Rackete, estremisti e navi nel Mediterraneo» tiene a sottolineare l’ex sottosegretario. «Il terzo settore, che si occupa di Africa, potrebbe essere un fattore chiave per trasformare in successo il nuovo metodo Mattei».
Cosìla Francia sta perdendo la sua centralità
L’ultima scintilla è il mancato invito alla Francia per la Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni del 23 luglio a Roma. Il vero smacco per Parigi è che Giorgia Meloni sta scalzando i francesi nel rapporto privilegiato con alcuni Paesi chiave africani. Primo fra tutti la Tunisia del presidente Kaïs Saïed, presente a Roma, che ha raffreddato i rapporti con la Francia. Giorgia «l’africana» ha portato a Tunisi il «team Europa» (la presidente Ue, Ursula von der Leyen ed il primo ministro belga per la firma con Saïed del partenariato strategico con l’Unione europea.
La Francia è in difficoltà anche con l’Algeria e si sono aggiunte tensioni con il Marocco, Paesi dove si è infilato l’attivismo diplomatico di Meloni in vista del Piano Mattei. Il governo italiano punta a un ruolo centrale nell’accesso alla risorse energetiche africane attraverso l’Eni, da sempre rivale della Total francese. La Grandeur è in ritirata militare anche dal Sahel, davanti al corso filo-russo in Mali e la linea golpista in Burkina Faso. Per non parlare della Libia dove la Francia, che si era schierata con il generale Khalifa Haftar, padre-padrone della Cirenaica, ha perso influenza. L’Italia, al contrario, dopo avere nominato il nuovo ambasciatore Gianluca Alberini, sta riprendendo quota. Al vertice sulla sicurezza alimentare a Roma del 24 luglio il premier libico, Abdul Hamid Dbeibah, è arrivato con un volo diretto da Tripoli. La prima rotta in Europa, dalla caduta di Gheddafi, che verrà aperta in autunno.