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I passi falsi dello Zar

I passi falsi dello Zar

Doveva essere un conflitto lampo, ma l’impreparazione delle milizie e dell’intelligence russa sta allungando i tempi a dismisura. Così gli ucraini contrattaccano grazie ad armi e reti di satelliti occidentali.


Nelle prime linee di difesa a Kiev si racconta un episodio-chiave del conflitto: il comandante russo di una brigata corazzata schierata fuori città ha deciso di deporre le armi e ha concordato con i soldati ucraini un luogo per arrendersi, dove ha guidato il suo carro armato, consegnandosi alle forze speciali. «Dovrei essere fucilato, è l’ordine di Putin per i disertori» ha detto ai soldati. «Ci sono plotoni di esecuzione nelle retrovie» è stata la replica.

Anche se l’attendibilità di questa notizia non è verificabile, è però sufficiente per chiarire come sia ormai fallito il piano di Vladimir Putin, che puntava a un regime change in Ucraina. Infatti, è evidente che non si siano verificate le condizioni, soprattutto quelle militari, sulle quali il Cremlino e i suoi generali confidavano per il successo della cosiddetta «operazione speciale».

Ma quali sono stati esattamente gli errori nel piano dell’aggressione contro l’Ucraina? Non pochi. «Anzitutto, un’operazione offensiva complessa come quella osservata si dovrebbe basare su una conoscenza approfondita dell’ambiente operativo, delle proprie capacità e di quelle dell’avversario» riflette il generale Maurizio Boni. «Questo comprende tanto la sfera militare quanto quella economica, politica e sociale. In questi contesti, giocano un ruolo fondamentale anche le “assumptions”, cioè le supposizioni che servono a colmare i vuoti informativi, a mitigare le incertezze e a rendere organico e omogeneo lo sviluppo della pianificazione».

In questo senso, una colpa macroscopica è in capo ai servizi d’intelligence russi che – vuoi per sottomissione al capo, vuoi per imperizia – hanno fornito informazioni molto parziali o del tutto errate sul livello di preparazione delle forze ucraine, così come sui loro numeri e sugli equipaggiamenti. «L’approccio russo si è basato su presupposti totalmente errati. Questo ha costretto i russi a rivedere in corso d’opera il programma operativo, definendo nuovi obiettivi e modificando l’impiego delle forze. È l’incubo di ogni pianificatore» conferma il generale, che ha ricoperto numerosi incarichi di comando in unità interforze Nato. Insomma, i tanto glorificati servizi di intelligence russi sono i primi a finire sul banco degli imputati. Non solo non hanno costruito una narrativa efficace per camuffare le esercitazioni al confine e in Bielorussia (e, infatti, gli americani hanno riorientato i satelliti e fotografato per mesi i movimenti delle truppe di Mosca).

Non solo non hanno infiltrato sufficienti guastatori a Kiev, sia per ottenere informazioni sui piani di contrattacco degli ucraini sia per tentare il «colpo grosso» di eliminare il presidente Volodomyr Zelensky. Ma quando è stato respinto anche il tentativo di sbarco a Odessa di un gruppo di sabotaggio e ricognizione russo, al ministero della Difesa hanno capito che l’attività dei servizi segreti militari era ormai del tutto compromessa. Non sono stati in grado neanche di considerare che non tutte le unità cecene inviate da Putin per contribuire alla capitolazione della città-martire di Mariupol rispondono agli ordini del Cremlino: ed è così che due unità, il battaglione Sheikh Mansour e il battaglione Dzhokhar Dudayev, entrambi guidati dal leader Adam Osmaev (che Putin ha tentato di far uccidere più volte), si sono schierate al fianco del Battaglione Azov, il reparto di miliziani ucraini che sta facendo gravi danni all’esercito russo (tanto che sarebbero responsabili della morte di almeno due dei cinque generali russi caduti sul fronte est). Come ha fatto, inoltre, la rete informativa di Mosca a non prevedere l’arrivo di armi da Occidente? Quei missili Javelin e Stinger che hanno fatto strage di tank russi? Come non prevedere i sempre più palesi movimenti dall’Europa, gli spostamenti della logistica militare e le altre attività frenetiche che per settimane dai depositi della Nato puntavano dritti verso la Polonia? Eppure, sono ben 20 gli Stati dell’Unione europea coinvolti.

Che fine hanno fatto le antenne dell’intelligence russa in Italia, Germania, Francia, Regno Unito? E ancora, sottolinea Boni, se «nel 2014 gli ucraini non avevano la potenza di fuoco necessaria per contrastare l’avanzata dei carri armati russi, ma in otto anni hanno accumulato un numero sufficiente di sistemi anti-carro portatili in grado di distruggere buona parte dei mezzi corazzati di Mosca» come hanno fatto a non tenerne di conto al Cremlino? A partire dall’aggressione del Donbass nel 2014, è noto che le forze ucraine siano state totalmente riconfigurate grazie agli addestratori Nato. Se neanche questo è stato calcolato da parte del Gru – l’intelligence delle forze armate russe – e non è stato riferito agli alti comandi, l’impreparazione di Mosca per questo conflitto diventerà presto un caso-scuola.

«I russi avevano certamente un piano ma, in assenza di nuovi ordini dall’alto, hanno continuato a seguire il piano originale a ogni costo. Questo spiega anche la falcidia di generali russi costretti a esporsi nelle linee avanzate del fronte per riprendere il controllo di settori di responsabilità, compromessi per la mancanza d’iniziativa dei vari livelli di comando» conclude Boni. La differenza più significativa sul campo, in ogni caso, viene da cielo ed è merito della tecnologia Nato: non parliamo solo dei droni turchi che hanno ridotto lo svantaggio aereo di Kiev, al punto che oggi l’Ucraina può bombardare il nemico nonostante l’aviazione ufficiale sia stata polverizzata dai russi. Ma il vantaggio militare proviene soprattutto dalle infrastrutture spaziali offerte dai satelliti americani che, da quasi mille chilometri sopra le nostre teste, sono in grado di seguire 24 ore al giorno ogni singolo mezzo che si sposta in strada come in campagna, e possono indicare alle truppe terrestri gli obiettivi da colpire.

Sono queste le informazioni che contano per vincere – o almeno non perdere drammaticamente – una guerra. Chi non ricorda gli allarmi di Washington sul progressivo ammassarsi di truppe russe ai confini dell’Ucraina? «La solita propaganda americana» dicevano gli analisti. Eppure, le immagini c’erano e quelle non mentono. Già da mesi i movimenti russi avevano destato l’attenzione dell’intelligence Usa, ed è bastato riorientare i satelliti per avere quel vantaggio informativo che è il (non) segreto del successo in ogni guerra. Con l’avvento della miniaturizzazione e l’accelerazione tecnologica, le costellazioni di satelliti ottici oggi forniscono immagini a una velocità e in risoluzioni così definite che è possibile riconoscere finanche tracce sul terreno di penumatici o cingolati, e persino l’identificazione di persone e volti. Ma, a un mese e mezzo dall’inizio dell’invasione, non servono più i satelliti per misurare la campagna militare di Putin. Che sta somigliando pericolosamente alla débâcle sovietica ai tempi dell’Afghanistan.

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