Dopo la scomparsa di Benedetto XVI, Francesco è in bilico tra le critiche dei ratzingeriani e le spinte dei modernizzatori che aprono a ideologia gender ed ecologismo estremo. Così, in una chiesa sempre più divisa, le voci di dimissioni accompagnano le manovre per il prossimo concilio.
Un fantasma s’aggira per il colonnato di San Pietro: l’Europa. Tumulate le spoglie mortali del Papa emerito nella cripta in Vaticano si è aperto il vaso di Pandora. Trionfa il gossip alla ricerca dell’ultima verità di Joseph Ratzinger per rivelare ciò che tutti sanno: Francesco mal sopportava l’Emerito che, pur tacendo, ha fatto risaltare l’abisso di sostanza teologica tra lui e il regnante. Padre Georg Gänswein, segretario eterno di Joseph Ratzinger, ha assunto la regia del post Benedetto XVI, prendendosi personalissime rivincite. In libreria ci sono tre volumi divenuti best seller nel volgere di giorni. Le memorie di padre Georg con le sue rivelazioni, il testamento spirituale di Ratzinger e il «manifesto» del cardinale tedesco Gerhard Müller, che è una guida dall’interno al travaglio della Chiesa vissuta con due Papi inconciliabili per via della diversissima lettura del Concilio Vaticano II.
Francesco vuole la Chiesa in uscita, Ratzinger asseriva: non è la Chiesa che deve aprirsi al mondo, ma il mondo che deve aprirsi alla Chiesa. Pochissimo si parla di un quarto libro che spiega perché Oltretevere si rischi una rottura insanabile e come mai la curia sia in preda a una sorta di convulsione da eterno conclave. Il papa non cessa di alimentarla dosando con abilità certosina annunci e smentite di una sua possibile rinuncia. Il 18 dicembre proclama: ho già firmato le dimissioni. Il 25 gennaio, dopo la pioggia di critiche arrivate al grido di «Santo subito» di molti fedeli che così invocavano Benedetto XVI il giorno dei funerali, ha risposto con un’intervista all’agenzia americana di notizie AP: «Sono come un’eruzione cutanea, danno un po’ fastidio ma passano, piuttosto vengano a dirmelo in faccia» ha detto riferendosi a cardinali e vescovi «perché io sto benissimo e non mi dimetto».
Francesco, stando ai racconti di Padre Georg e del cardinale, Müller ha rispolverato lo stile del Papa Re. Il libro da meditare è La vera Europa, identità e missione (Cantagalli editore), che raccoglie i testi scelti di Ratzinger sull’identità europea quando era – per quasi un quarto di secolo – Prefetto della Congregazione della dottrina per la fede. Che è il luogo dove tutto si tiene: nello scrigno teologico più duramente si è consumato lo «spoils system» bergogliano. Quando Ratzinger salì al soglio di Pietro al suo posto venne nominato il cardinal Müller, esegeta della teologia del neopapa. Ma Francesco, gesuita, appena scaduto il quinquennio di mandato lo sollevò lasciandolo senza far nulla e nominando al suo posto il più gesuita di tutti: Luis Francisco Ladaria Ferrer.
Cominciò così il turbine di dimissioni e accuse che Francesco ha alimentato in questi anni. Ha cacciato padre Georg, ora sfrattato anche dal monastero Mater Ecclesiae dove viveva con Ratzinger; ha mandato via il cardinale George Pell (ai suoi funerali in Australia in questi giorni le vittime di abusi hanno inscenato manifestazioni), consegnato alla gogna delle accuse di pedofilia da cui il porporato finito anche in galera è stato assolto; ha, secondo Müller, messo sott’accusa il cardinale Giovanni Angelo Becciu per un articolo di giornale, condannandolo prima ancora del processo. Oggi molti dicono sia servito per togliere di mezzo un possibile papabile che ha il grande torto di essere italiano, perciò europeo.
A spiegare il travaglio della Chiesa soccorrono alcune righe di Ratzinger, l’ultimo Papa europeo, messe in trasparenza con le esternazioni di Francesco che è appena andato nel cuore dell’Africa a cercare il suo popolo. Scrive Ratzinger a proposito del matrimonio omosessuale: «Mai è stata messa in dubbio la comunità basilare, il fatto che l’esistenza dell’uomo – nel modo di maschio e femmina – è ordinata alla procreazione… Se la sessualità viene separata dalla fecondità allora all’inverso la fecondità può naturalmente essere pensata anche senza la sessualità». Ma così: «O l’uomo è creatura di Dio, è immagine di Dio, è dono di Dio oppure l’uomo è un prodotto che egli stesso sa creare… Il movimento ecologico ha scoperto il limite di quello chi si può fare e ha riconosciuto che la natura stabilisce per noi una misura che non possiamo impunemente ignorare. Purtroppo non si è ancora concretizzata l’ecologia dell’uomo».
Francesco con la sua seconda enciclica Laudato si’ ha posto l’esigenza di una «conversione ecologica verso un’ecologia integrale» senza porsi interrogativi sulla natura dell’uomo. La sua visione è riassunta nella Pachamama, la divinità pangea amazzonica, che lui ha innalzato all’altare. Sugli omosessuali ha esortato i vescovi a convertirsi per condannare le leggi contro la comunità Lgbtq+. È così che l’Europa esce di scena dal Vaticano. Perché è l’Europa dell’ideologia green. È l’Europa che produce la chiesa tedesca guidata da Reinhard Marx, potentissimo cardinale, temutissimo da Bergoglio – quello che è definito lo scisma di Monaco – con il sinodo germanico che chiede il matrimonio per i sacerdoti, le donne consacrate, i sacramenti (dunque anche il matrimonio) per la comunità Lgbtq+, la benedizione delle famiglie arcobaleno. È l’Europa dove Francesco non fa proseliti.
Il divieto del «vetus ordo», cioè della messa celebrata in latino che – sostiene padre Georg – provocò profonda afflizione in Benedetto XVI, e che sta causando la rivolta di minoranze di fedeli (peraltro costretti a non ricevere più l’eucarestia in bocca, cioè il simbolismo del nutrimento spirituale della transustanziazione), distrugge il linguaggio comune degli europei e della chiesa universale. Sempre più forte è l’attrazione delle chiese ortodosse verso i cattolici delusi anche dalla (apparente) inazione della Chiesa per la pace in Ucraina. Tra Kiev e Kinshasa ha scelto la seconda, tra Kirill, il patriarca russo filo-Putin, e la Cina ha scelto la Cina.
L’attacco che Francesco ha portato ai fondamenti teologici di Ratzinger indicano che la sua Chiesa è in cammino verso il sud del mondo, verso la Cina, e il suo eterno conclave eradica il cattolicesimo dall’Europa. Ratzinger ricorda che è Paolo, spinto in Grecia dall’Asia minore, a portare il Verbo unendo fede e ragione; e sottolinea come sia l’umanesimo scaturito da Cristo che si fa uomo a essere il vero spirito dell’Europa. Un’Europa caratterizzata dalla «ricchezza dell’essere nazionale e sovranazionale: è la multiformità delle culture nazionali a fare la ricchezza dell’Europa. Oltre ogni confine, soprattutto Roma si poneva come centro unificante». Ma Francesco non ci crede. Ha dalla sua le statistiche che gli dicono che l’Europa è cattolica al 21,2 per cento: la stragrande maggioranza dei cattolici sta in America (48 per cento con il 28 per cento in America latina) e in crescita sono l’Africa (18,9 del totale) e l’Asia (11 per cento). E lì guarda Bergoglio, che ha capito anche un’altra cosa: il Vecchio continente è destinato alla sostituzione etnica.
Ha perso negli ultimi due anni 650 mila cittadini, le nascite sono inchiodate e l’immigrazione, tema molto caro a Bergoglio, sta in qualche modo colmando il gap demografico. Ratzinger ammoniva che dopo il diluvio Dio abbracciò Noè: «E più che mai domanderò conto del vostro sangue, ossia della vostra vita e ne domanderò conto a ogni essere vivente». Non con la stessa forza Francesco si è schierato contro l’aborto limitandosi a dire: «È un crimine, ma la Chiesa non faccia politica». La frattura in seno alla comunità ecclesiale è profonda ma fin quando Benedetto XVI era in vita veniva contenuta, adesso deflagra.
La rende palese il cardinale Müller, che parla di un cerchio magico attorno a Francesco ostaggio di un doppio pregiudizio: quello latinoamericano nei confronti di Roma e quello peronista. A guidare il papa sono il teologo argentino Victor Manuel Fernández e il cardinale Óscar Rodríguez Maradiaga oltre agli interessi della Compagnia di Gesù. Anche l’atteggiamento ondivago sugli abusi sessuali deriva da una gestione della curia come fosse il tableau del Risiko: Bergoglio intende occupare i continenti scoperti abbandonando quelli tradizionali e posizionare la Chiesa nella società non come guida, ma come attore. Questo gli ha suggerito sin qui Maradiaga che aveva il compito di coprire le spalle al pontefice. Ma ora il cardinale honduregno ha varcato gli 80 anni e non può più fare la regia del conclave.
Perciò Bergoglio ha fretta di blindarlo, il conclave, per evitare che un europeo torni a guidare il gregge. Con l’ultimo concistoro di agosto Francesco ha rafforzato la Chiesa del sud del mondo. Oggi il collegio cardinalizio è composto da 226 berrette, di queste 132 sono elettori. L’Europa ne conta 54 ed è profondamente divisa, gli italiani (21 elettori) ormai sono sempre meno influenti nel Collegio e in curia. America del Sud (38) e Asia (20) da sole possono eleggere il nuovo Papa. A esse si aggiungono i 17 africani e i 3 dell’Oceania in un collegio che è composto da 52 cardinali creati da Giovanni Paolo II di cui 11 elettori; 64 creati da Benedetto XVI di cui 38 elettori; 112 creati da Francesco di cui 83 elettori.
Da qui l’eterno conclave con uno scontro sempre più evidente tra quelli che Francesco con sprezzo chiama gli «indietristi», e i bergogliani consapevoli che il Papa pare adottare il motto di Perón: Al amigo, todo; al enemigo, ni justicia, «All’amico, tutto; al nemico, nessuna giustizia». E così Müller sentenzia: «Vedo la Chiesa su un crinale e mi viene in mente quando, durante l’assedio a Costantinopoli, i teologi si concentravano su disquisizioni sul colore degli occhi della Madonna». n
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