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Daniel Ortega, il dittatore di Managua

Daniel Ortega, il dittatore di Managua

Il presidente del Nicaragua punta a una nuova rielezione il prossimo novembre. Per non avere problemi, ha fatto arrestare gli altri candidati e anche tanti compagni di partito. Intanto, il Parlamento europeo chiede ancora una volta di estradare in Italia l’ex brigatista Alessio Casimirri, accusato del rapimento e dell’omicidio di Aldo Moro.


Alla fine ne resterà solo uno in Nicaragua di candidati per le elezioni presidenziali che si terranno il prossimo 7 novembre. L’Highlander del Paese centroamericano si chiama Daniel Ortega ed è oggi un 77enne ex guerrigliero sandinista che, dopo due infarti e un’accusa di pedofilia da parte della figliastra Zoilamérica (che assicura di essere stata violentata dall’età di nove anni dal patrigno), è riuscito nell’impresa di passare da eroe della sinistra rivoluzionaria a dittatore della peggior specie.

Un satrapo di fronte al quale persino «uno come il venezuelano Nicolas Maduro sembra oggi un moderato» scriveva con amara ironia il settimanale francese L’Express a inizio luglio. L’ultima escalation dittatoriale di Ortega è cominciata il giorno dopo la visita in Costa Rica, a inizio giugno, di Antony Blinken, il capo della diplomazia statunitense. In quel frangente il Segretario di Stato Usa chiarì al ministro degli Esteri nicaraguense di «attendersi elezioni giuste e trasparenti». Passavano meno di 24 ore e, il 2 giugno, la polizia di Ortega dava il via a un’ondata di arresti eccellenti facendo irruzione nella casa della candidata presidenziale Cristiana Chamorro, la 67enne figlia dell’ex presidente Violeta, già a capo del Paese centroamericano tra il 1990 e il 1997 e che sconfisse Ortega nonostante avesse contro l’esercito guidato da Humberto Ortega, fratello di Daniel.

Cristiana, che è una celebre giornalista, è stata prima portata in carcere con ridicole accuse di riciclaggio costruite ad arte da un’inchiesta aperta dal regime contro la Fondazione Violeta Chamorro diretta da Cristiana, chiusa d’imperio dalla magistratura che Ortega controlla a piacimento visto che la divisione dei poteri in Nicaragua oggi è una chimera. Da quel 2 giugno Cristiana, la candidata presidenziale con maggiori chance di vittoria, si trova agli arresti domiciliari con il divieto assoluto di ricoprire qualsiasi incarico pubblico. «È una farsa (questa inchiesta, ndr). Che paura hanno del cambiamento. Unito il Nicaragua tornerà a essere una repubblica» aveva scritto su Twitter la Chamorro poco prima dell’arresto. Ma subito dopo lei così come il suo account sono stati silenziati dal regime.

Da allora è stato un crescendo rossiniano di abusi di ogni genere. Il 5 giugno Ortega faceva arrestare Arturo Cruz, suo ex ambasciatore negli Stati Uniti, colpevole di essere sgradito alla moglie del dittatore, la «poetessa» vicepresidente Rosario Murillo. L’8 giugno scattavano le manette per Felix Maradiaga, leader del movimento di Unità nazionale blu e bianca Unab, gruppo d’opposizione nato dopo la protesta dell’aprile 2018, cui fece seguito la sanguinosa repressione di Ortega, con centinaia di morti e 100 mila esuli. Poche ore dopo veniva arrestato anche il candidato economista Juan Sebastian Chamorro. Passavano 12 giorni e stavolta a finire in gattabuia era il giornalista Miguel Mora, incarcerato con l’accusa farsesca di attentare contro «l’indipendenza e la sovranità» del Nicaragua.

Stessa sorte, il 25 giugno notte, per l’ex deputato Pedro Joaquin Chamorro, fratello di Cristiana e, lo scorso 6 luglio, del sesto candidato presidenziale dell’opposizione, Medardo Mairena, leader del movimento contadino anti-canale (quello che Ortega vorrebbe far costruire ai cinesi per far concorrenza al canale di Panama), catturato con altri tre leader campesinos. Nelle proteste del 2018 Mairena era stato condannato dai tribunali della dittatura a 216 anni di carcere, poi amnistiato; oggi, al pari di molti degli arrestati, risulta desaparecido.

«È la peggiore repressione contro la società civile in America Latina degli ultimi tre decenni» denunciava in prima pagina il Wall Street Journal a inizio luglio. Del resto, dall’arresto di Cristiana Chamorro sono stati messi fuori legge quasi tutti i partiti, approvate leggi che impediscono il finanziamento di gruppi politici sgraditi a Ortega e implementata una riforma elettorale fatta su misura per il vecchio Daniel, il «caudillo» che cerca la sua terza elezione consecutiva. Con sei candidati su otto in galera, le prossime presidenziali potrebbero disputarsi con il solo Ortega, al massimo con qualche candidato da lui scelto a piacere sul modello del Venezuela di Maduro.

Al satrapo sandinista sembrano infatti far meno paura le minacce dell’Occidente che lasciare il potere. Anche perché. a differenza del 1990 quando perse le elezioni con Violeta Chamorro, stavolta Ortega rischia una condanna per violazione dei diritti umani presso vari tribunali internazionali. Paradosso è che in carcere sono finiti in questi giorni per ordine del dittatore anche pezzi grossi della rivoluzione sandinista come la «Comandante 2» Dora María Téllez e il generale Hugo Torres, già a capo dei servizi segreti sandinisti. «Stanno portando avanti una notte dei lunghi coltelli» ha detto Téllez poco prima di essere arrestata. «Non avrei mai pensato che in questa fase della mia vita avrei combattuto un’altra dittatura» ha dichiarato l’ex capo dell’intelligence nicaraguense in un video trasmesso minuti prima di sparire dietro le sbarre. Quanto sta accadendo a Managua dissipa ogni dubbio residuo sulle credenziali di Ortega come dittatore, un «caudillo» che governa il Nicaragua come un feudo e ha piazzato tutti i figli nei nuclei duri del potere.

Una satrapia simile a quella dei Castro che bastona la stampa libera, arresta la dissidenza e, da un mese a questa parte, incarcera qualsiasi candidato non gradito in quelle che sono destinate a essere solo un simulacro di elezioni. Ma Daniel Ortega, il Caligola di Managua, questo l’ultimo soprannome affibbiatogli da L’Express, ha anche un rapporto di lunga data con due italiani assai conosciuti e collegati alle peggiori pagine della storia del nostro paese. Il primo è l’ex Br Alessio Casimirri, l’unico brigatista condannato per il sequestro e l’uccisione di Aldo Moro a non essere stato assicurato alla giustizia, di cui il Parlamento europeo ha chiesto nuovamente l’estradizione.

Nome di battaglia «Camillo», figlio di Luciano, responsabile della sala stampa vaticana sotto tre pontefici, dopo un periodo passato in Libia e a Cuba arriva in Nicaragua tra il 1982 e il 1983. Qui addestra membri dell’esercito sandinista nella guerra contro i Contras finanziati dall’ex presidente Ronald Reagan e, per premio, Ortega gli conferisce la cittadinanza nicaraguense nel 1988. Grazie alle coperture del leader sandinista Casimirri sa che alla soglia dei 70 anni non sarà mai estradato in Italia, a meno che Ortega non finisca male, e allora si dedica serafico alla pesca subacquea oltre a gestire con altri soci due noti ristoranti nella zona più chic di Managua.

Ma ancora più strani e impregnati di misteri sono i rapporti di Maurizio e Licio jr – rispettivamente figlio e nipote del venerabile Licio Gelli – con il dittatore Ortega, per cui lavorano come diplomatici. Entrambi hanno nazionalità nicaraguense e dallo scorso anno Maurizio è l’ambasciatore del Nicaragua in un Paese tutt’altro che irrilevante come il Canada. «La repressione politica sta raggiungendo livelli che non si vedevano da decenni in America Latina, con l’eccezione di Cuba» ha scritto il premio Pulitzer Andres Oppenheimer, editorialista di molti noti giornali latinoamericani. Per «el Comandante Daniel», si tratta di non ripetere «l’errore» della transizione democratica del 1990, ma di mantenere il potere a tutti i costi per trasmetterlo al vicepresidente Rosario Murillo. Ossia a sua moglie.

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