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Lo strano caso dell’oligarca consegnato a Putin dalla giustizia grillina

Lo strano caso dell’oligarca  consegnato a Putin dalla giustizia grillina

Il magnate dissidente russo Andrej Smyshlyaev, accusato di bancarotta per 40 mila euro e arrestato nel 2019, chiedeva protezione all’Italia. Ma l’allora ministro Alfonso Bonafede ne ha concesso l’estradizione e oggi deve scontare una pena a otto anni. Così i 5 Stelle, mentre tuonavano contro il presunto «Russiagate» leghista, sono stati i migliori alleati dello zar…


Negli stessi mesi in cui i Cinquestelle e la stampa progressista cavalcavano il Russiagate leghista, adombrando macchinazioni salviniane per incassare ricchi finanziamenti dal Cremlino, demolite poi dalla Procura di Milano, la giustizia grillina ha consegnato proprio a Vladimir Putin un oppositore politico che aveva chiesto protezione al nostro Paese. E che l’avrebbe ottenuta non fosse stato per la furia grillini. L’oligarca è Andrey Smyshlyaev, figlio dell’ex governatore di Ufa (capitale della Repubblica di Baschiria), e ora dovrà scontare otto anni di carcere in una colonia penale per un’accusa che pare una barzelletta: aver mandato in fallimento la sua società per un presunto ammanco di soli 40 mila euro. Di Smyshlyaev si erano perse le tracce dal marzo 2021, quando l’Italia lo aveva messo su un aereo di linea partito da Malpensa con destinazione Mosca. Due anni prima era stato fermato dalla squadra mobile nella sua lussuosa villa sul lago di Como per un mandato di arresto internazionale per truffa e bancarotta fraudolenta. Titolare di una delle più grandi società di costruzioni del Paese, residenza e affari a Londra, jet privato parcheggiato a Linate per chiudere accordi milionari in giro per il mondo, Smyshlyaev si era fin da subito dichiarato un perseguitato politico.

Ai poliziotti e ai magistrati aveva raccontato di aver abbandonato i suoi interessi in patria per la crescente ostilità che la corte putiniana, in stretto collegamento con il potere giudiziario, aveva alimentato contro di lui. E, per mesi, soprattutto grazie a una efficace difesa tecnica presso la Corte d’appello di Milano, l’organo giurisdizionale competente sulla richiesta di estradizione, l’ex oligarca era riuscito a evitare la consegna. In compenso, aveva perso quasi tutti i suoi beni in Italia e nel resto d’Europa, sequestrati quali frutto del reato, anche se in evidente sproporzione con il capo di imputazione, dall’implacabile caccia all’uomo scatenata dalle autorità russe. Pesava infatti sull’indagine che coinvolgeva il manager il fondato sospetto di scarsa indipendenza della magistratura russa. Come aveva pure certificato la Corte d’appello di Genova un po’ di tempo prima, rigettando l’estradizione di un ingegnere minerario russo, bloccato a Ventimiglia per omicidio, perché c’erano dubbi sui diritti fondamentali della difesa assicurati nella fase processuale.

Per motivare la loro decisione, i giudici liguri si erano rifatti a una pronuncia della giustizia inglese che aveva descritto il sistema giudiziario di Mosca come «giovane e sensibile alle pressioni e agli interessi politici» dell’establishment. E su questa stessa linea si erano attestate anche numerose sentenze della nostra Corte di cassazione che aveva alzato un argine a salvaguardia dei perseguitati politici del regime putiniano. Gli unici a non accorgersi di nulla erano però gli stessi che puntavano il dito e sbraitavano contro Salvini amico di Putin: i grillini. Quelli che di lì a qualche tempo (con Luigi Di Maio ministro degli Esteri e Giuseppe Conte premier) hanno spalancato le porte dell’Italia all’esercito russo in una discussa e discutibile operazione «di supporto tecnico-logistico» durante la prima ondata della pandemia di Covid-19.

Il Guardasigilli dell’epoca, Alfonso «Fofò dj» Bonafede, che pure avrebbe potuto bloccare l’estradizione di Smyshlyaev, si interessò poco o nulla del caso, nonostante gli appelli del difensore. E così l’imprenditore venne consegnato a Mosca, come detto, nel marzo 2021, quando al ministero della Giustizia sedeva, da appena un mese, Marta Cartabia. La quale ovviamente non poté intervenire nella storia perché le relative procedure erano state tutte già definite e la macchina amministrativa era già da tempo in moto.

Di converso l’ex presidente della Consulta, nel rapporto con il Cremlino, si mostrerà di tutt’altro spessore rispetto al suo predecessore e negherà per ben due volte che soggetti a disposizione dell’autorità giudiziaria italiana fossero rimpatriati in Russia. Una prima volta nel marzo 2022 con un regista ucraino oppositore dichiarato dello zar di Mosca; la seconda nel giugno di quello stesso anno con un manager lettone imputato, anche lui, di riciclaggio e reati finanziari. Smyshlyaev è ricomparso qualche giorno fa in un video fatto circolare sui social e sui giornali online vicini al regime. È un uomo completamente diverso dalle immagini successive al suo arresto. Smagrito, cn oi capelli bianchi e lo sguardo perso nel vuoto. Ammanettato come un mafioso, ha ascoltato in aula la sentenza a otto anni e a 950 mila rubli di multa, circa 9 mila euro. E poi è stato condotto fuori dal tribunale. Come un animale al guinzaglio. Destinazione: Siberia.

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