Lupi della notte, Terza via, Liberi sassoni. E ovviamente l’ormai famoso Battaglione Azov. Sono solo alcuni delle immaginifiche sigle appartenenti al pantheon neonazista – o comunque venate di simpatie hitleriane, come nell’ultimo caso – impegnate nei combattimenti in Ucraina. Che lottano al fianco di Kiev ma anche, ebbene sì, al fianco degli uomini di Putin. Il che, se da una parte conferma la presenza di fascisti tra le fila ucraine, fa anche cadere la maschera alla prosopopea di Mosca secondo cui l’invasione del vicino di casa troverebbe giustificazione nella volontà del Cremlino di «denazificare» il Paese che hanno invaso. Invece, i neonazisti Mosca li arma e li protegge non meno di Kiev.
Per capire che qualcosa non torna nelle dichiarazioni anti-naziste russe basterebbe citare il nome di Dmitri Utkin: spietato ex membro del servizio segreto Gru di origine ucraina con aperte simpatie per le Ss. Vladimir Putin lo ha messo a capo del Gruppo Wagner (dove già il nome è un omaggio al compositore preferito di Hitler).
Oppure si potrebbero mostrare le foto di Putin che stringe la mano di Alexander Zaldostanov, il leader dei Lupi della notte (ufficialmente Night Wolves): le sue simpatie vanno da Stalin al presidente ceceno Ramzan Kadyrov, passando per l’ultradestra. Accusati di omicidio e teppismo, sono una delle più pericolose organizzazioni della Federazione, con succursali in molti Paesi, Ucraina compresa.
Ancora, si potrebbe citare la OB88, la più potente gang di skinhead in Russia, cooptata da Moving Together, organizzazione giovanile pro-Putin che ha avuto tanta parte nella costruzione di quel nazionalismo che è all’origine del successo personale di Putin e della sua longevità politica. Se Atene piange, Sparta non ride. Neanche Kiev è immune al nazifascismo. E lo dimostra il Pravy Sektor, gruppo da cui ha preso forma il Battaglione Azov: una forza paramilitare che, a partire da Euromaidan, le manifestazioni pro-Europa del 2013, è cresciuta nell’alveo dell’estremismo politico ucraino ed è stato protagonista della battaglia di Mariupol (i militari ucraini dell’Azov asserragliati nell’acciaieria Azovstal si sono arresi e i feriti, salvo ripensamenti, potrebbero essere scambiati con prigionieri di guerra russi). Insieme con Pravyj Sektor, ci sono tra gli altri i C14 (o Sich 14), gruppo neonazista fondato nel 2010 come filiale giovanile di Svoboda, partito di estrema destra creato nel 1991 con il nome Partito socialnazionalista ucraino e il cui leader è Oleh Tjahnybok. Il suo braccio destro è Andrei Paruby, già coordinatore delle proteste di piazza a Kiev del 2014 e poi presidente della Rada, il Parlamento nazionale.
Schierati sul campo con gli ucraini sono anche volontari e gruppuscoli dell’estremismo di destra. Il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che, dal marzo 2022, almeno 16 mila volontari si sono recati nel suo Paese per combattere le forze russe. Provengono da ben 52 Paesi tra i quali: Italia, Stati Uniti, Regno Unito, Olanda, Canada, Israele. Di sicuro, appoggiano Kiev gli estremisti della Terza via, gruppo fondato nel settembre 2013 a Heidelberg, in Germania sudoccidentale, parte del più ampio Partito nazionale democratico (Npd). Fondatore e leader è Klaus Armstroff, un ex funzionario dell’Npd che ha rotto con il partito per la sua direzione ideologica «troppo moderata». Si dice che Armstroff abbia reclutato membri dai neonazisti di Freies Netz Süd (Rete Libera del Sud), attivi in Baviera prima di essere banditi nel 2014, l’anno spartiacque per l’Ucraina.
Le origini delle «relazioni pericolose» tra Putin e l’estrema destra, invece, risalgono a fine anni Novanta, quando la Russia era attraversata da ondate di violenza incontrollata, di cui facevano parte anche bande di skinhead. Per riprendere il controllo di un Paese piagato dalla crisi politico-economica post sovietica, il presidente intuì che poteva sfruttare questa rabbia – per lo più giovanile – incanalandola verso sentimenti ultra nazionalisti.
Allora come oggi, con la scusa della minaccia neonazista ha potuto giustificare l’adozione di severe leggi contro l’estremismo, per colpire l’ala democratica e di sinistra che minacciava di farsi strada in Parlamento. Il contrappeso furono proprio bande di naziskin, motociclisti e ultras di calcio. Attraverso le ambiguità di un’organizzazione ombrello, Moving together, ha così costruito un bastione di sostenitori dall’ambizione paramilitare, cresciuti d’importanza a partire dal 2004, all’indomani della Rivoluzione arancione in Ucraina.
L’intenzione era «isolare la Russia dal contagio della protesta pro-democrazia», ha osservato lo studioso Robert Horvath, autore del saggio La controrivoluzione preventiva di Putin (Routledge, 2013). «I suoi militanti radicali migrarono poi verso il gruppo nazionalista Giovane Russia e il gruppo anti-immigrazione Locals. Queste organizzazioni sono diventate ponti tra la sottocultura neonazista e il Cremlino».
Su tutti il Rim, Movimento russo imperiale fondato a San Pietroburgo nel 2002 da Stanislav Vorobyev: «Un’organizzazione monarchica, estremista e paramilitare che recluta i suoi membri nel largo bacino neonazista russo e ha legami in mezza Europa» sottolinea Stefano Grazioli, autore del volume Naziland, di prossima uscita in Italia. «Il suo braccio armato è la Legione imperiale, guidata da Denis Gariev, che ha combattuto nel Donbass, in Siria e in altri teatri dove la Russia si è impegnata militarmente».
Altri esempi di neonazisti russi si trovano proprio in Donbass. Scrive Grazioli: «Uno dei leader della repubblica secessionista di Donetsk, il colonnello Timur Kurilkin, è stato decorato al valore per avere “annientato 250 nazisti ucraini”. Eppure, alla cerimonia di premiazione sfoggiava due simboli del Terzo Reich: la Totenkopf, la testa di morto delle SS, e il Valknut, un fregio vichingo che richiama il Walhalla dei guerrieri, oggi usato dai suprematisti bianchi».
In ogni caso, sentire Putin proclamare di voler «denazificare» l’Ucraina ha colto di sorpresa molti neonazisti. Non però Denis Valiullovich Gariyev, designato dal Dipartimento di Stato Usa «terrorista globale», né Stanislav Anatolyevic o Nikolay Trushchalov: tutti fondatori del citato Movimento imperiale russo (Rim) e reclutatori di uomini. Anche nella Germania da cui tutto ha avuto origine, i nazisti o comunque gli estremisti di destra si sono schierati subito con Putin. Su tutti, i Liberi Sassoni (Freie Sachsen), che identificano la Nato come parte di una cospirazione globalista che ha contribuito a istigare la guerra, e in patria si sono distinti per le violenze di piazza contro le misure di contenimento del Covid.
Il presidente dei Liberi Sassoni Martin Kohlmann guida anche il movimento di estrema destra Pro Chemnitz, noto per le proteste contro le case profughi. Nei Balcani, infine, il filoputinismo e il filonazismo si saldano in un mix di razzismo e violenze etniche: vale soprattutto per le organizzazioni serbe di estrema destra, che sostengono il Cremlino dimostrando plasticamente tutta la confusione ideologica che regna sotto il cielo dell’estremismo europeo.
Quanti di questi volontari russi e ucraini siano parte attiva del conflitto non è attualmente accertabile; di sicuro, alla guerra contro la «denazificazione» partecipano numerose forze fasciste e fanatici neonazisti. Non un gran risultato per le parti in guerra.
Quegli ultrà nel mirino di Putin

«Azov» e altri battaglioni quali Aidar, «O», Squalo…. Si riferisce a loro il presidente russo quando parla di «denazificazione». Come racconta l’inviato di Panorama che sul campo ha incontrato i loro combattenti.
di Fausto Biloslavo
Noi nazisti? È Putin che assomiglia a Mussolini» dichiara senza alcun dubbio Sergei Korotkikh, nome di battaglia «il nostromo», nella stanza bunker sotterranea ricavata in un albergo occupato a Kiev. Il quartier generale del battaglione O, una delle unità con simpatie di estrema destra, ai tempi dei russi alle porte della capitale. Gli «uomini neri» di vari reparti ucraini, tutti volontari, che il Cremlino vede come il diavolo saranno al massimo 5 mila su un totale di 120 mila effettivi dell’esercito e 60 mila riservisti della Difesa territoriale. Il blocco politico ultra nazionalista di riferimento, tutto assieme, non supera il 3 per cento dei voti. Perciò la propaganda russa non regge quando parla di «denazificazione» dell’Ucraina, che non è il quarto Reich.
Gli «uomini neri» più famosi sono i volontari del reggimento Azov, coraggiosi difensori di Mariupol che dopo 82 giorni di strenua resistenza, barricati assieme a un reparto di marines nell’acciaieria Azovstal, hanno accettato la resa, almeno in parte. Kateryna Prokopenko, 27 anni, moglie del barbuto comandante dell’impossibile resistenza e Yulya Fedosiuk, 29, consorte di un altro ufficiale di Azov, hanno incontrato l’11 maggio il Papa per scongiurarlo di salvare i loro cari e i combattenti asserragliati nell’ultima ridotta. La vicepremier, Irina Vereshchuk, ha garantito l’avallo politico per le trattative con Mosca per lo scambio di prigionieri. Kiev ha diversi ufficiali dell’armata di Mosca oltre ad avere arrestato l’oligarca filo russo Viktor Medvedchuk, che avrebbe dovuto prendere il posto del presidente Volodymir Zelensky se i sabotatori russi fossero riusciti a catturarlo o ucciderlo come hanno cercato di fare nei primi giorni di guerra.
Denis Prokopenko, il tenente colonnello che ha comandato Azov a Mariupol, è diventato un eroe nazionale e un’icona della resistenza in Occidente applaudito anche da sinistra. Nel 2019, quando il presidente Zelensky gli conferì l’Ordine di Bohadn Kmelnytsky «per il coraggio in combattimento», si rifiutò di fare il saluto militare. Azov non amava il presidente, ma Danilo Brusov, portavoce del partito di estrema destra Corpo nazionale, costola politica di Azov, garantisce in mimetica e kalashnikov a tracolla, che «adesso siamo tutti uniti contro i russi». Prokopenko, nome di battaglia «Redis», laureato in Lingue ed ex ultrà della Dynamo Kiev, combatte perché l’Armata rossa sterminò la sua famiglia nel 1939. Il nonno, finlandese della Carelia, fu l’unico a sopravvivere e tramandò la giustificata avversione nei confronti dei russi.
Gli uomini di Azov, fra 2 e 3 mila, sono stati integrati nella Guardia nazionale nel 2014 dopo la riconquista di Mariupol, allora in mano ai separatisti filo russi. Il fondatore Andriy Biletsky è entrato in Parlamento. Azov è sempre stato accusato di nostalgie neo naziste. Il simbolo sulla bandiera, che vuol dire «idea nazione», ricorda il movimento di estrema destra italiano Terza posizione e somiglia alla runa dente di lupo, stemma della divisione SS Das Reich. «Siamo ultra nazionalisti, ma demonizzarci tutti come una banda nazisti è una belinata, per dirla alla ligure» commentava nel 2014 Francesco, volontario italiano di Azov. Quando suonava il cellulare, al suo capo squadra sullo schermo appariva una svastica.
I finanziatori iniziali erano oligarchi come Igor Kolomoisky, ucraino con cittadinanza israeliana, che con il suo impero mediatico ha lanciato la fiction Servitore del popolo interpretata dallo stesso Zelensky nel ruolo di presidente per caso dell’Ucraina. Poi è diventata realtà. Pure Serhiy Taruta, miliardario, ex governatore della regione di Donetsk, avrebbe finanziato il battaglione. Anche dall’altra parte della barricata, nel Donbass in mano ai filo russi, ci sono militanti di estrema destra come il noto Andrea Palmeri, soprannome «generalissimo». Quarantenne di Lucca, ex Forza nuova, era il leader dei Bulldog, gli ultrà della squadra di casa. Latitante per una condanna sul reclutamento di combattenti è stato ferito durante un addestramento e non sarebbe più in prima linea. L’ultimo messaggio su Facebook è del 18 aprile: «Quella che accade in Ucraina (…) È la guerra tra la Russia e la sua visione del mondo, imperiale, sovietica, tradizionalista e multipolare e il mondo della finanza mondialista angloamericana monopolare. La terza via non esiste».
Un’altra unità ucraina controversa, ma molto combattiva, è il battaglione Aidar, dal nome dal fiume nella regione di Luhansk dove i suoi uomini sono stati impegnati in sanguinosi scontri nel 2014, all’inizio della guerra nel Donbass. «Occhio a quelli. Sono pericolosi e non hanno pietà» spiegava Alexander, che si è addestrato con Azov, quando un manipolo di Aidar, armato fino ai denti, ci è sfrecciato davanti su un fuoristrada sul fronte nord di Kiev prima del ritiro dei russi. Nel 2014 Amnesty international ha accusato Aidar di crimini di guerra e il reparto si è sciolto un anno dopo. In seguito l’hanno ricostruito come 24esimo battaglione d’assalto dell’esercito ucraino che ha perso 130 uomini nel Donbass.
I suoi leader, come Serhiy Melnychuk, hanno avuto fortune politiche alterne e nessuno è stato rieletto nel 2019. Sia Azov sia Aidar hanno sempre arruolato volontari provenienti da tutta Europa con ideologie fasciste. I giovani del nord avevano sul braccio il tatuaggio di Odino e il cecchino più famoso degli ultra nazionalisti è lo svedese Mikael Skillt. Membro del Svenskarnas parti, movimento etnico nazionalista, ex soldato, sulla testa aveva una taglia dei filo russi di 5 mila euro, che in Ucraina sono un anno di paga media.
Korotkikh, uno dei fondatori di Azov, ha messo in piedi i battaglioni O e Squalo, una nuova legione straniera ultra nazionalista. Nato a Togliattigrad e poi cresciuto in Bielorussia è uno dei nemici pubblici numero 1 del Cremlino. Basso, muscoloso e barbuto va orgoglioso della sua rivoltella con calcio e fondina di coccodrillo «che ho ucciso con le mie mani». Nel suo bunker pieno di armi è appesa alla parete la bandiera di Azov. «Diversi russi e bielorussi, oppositori del regime di Putin, combattono al nostro fianco. Nel 2014, quando comandavo il reparto esploratori del battaglione Azov, avevo diversi italiani, compresi cecchini» spiega. Nella mensa della formazione paramilitare si mescolano il polacco, l’inglese e il russo. Korotkikh all’inizio della guerra confermava: «Arrivano nuovi volontari e una cinquantina sono già a Leopoli (ovest del Paese, ndr) per unirsi alla brigata. E gli italiani sono i benvenuti