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Nella guerra contro TikTok, Trump si schiera con il competitor Triller

Nella guerra contro TikTok, Trump si schiera con il competitor Triller

  • L’applicazione made in Usa ha registrato 700.000 download soltanto nell’ultimo mese e sta convincendo alcuni dei «tiktokers» più famosi ad abbandonare la piattaforma cinese. Tra i nomi Josh Richards, il ragazzo più pagato con 1.5 milioni l’anno.
  • Per Mike Pompeo «queste società di software cinesi stanno fornendo dati direttamente al Partito comunista cinese». TikTok ha 90 giorni per scegliere un acquirente americano.

Con oltre due miliardi di download e 800 milioni di utenti attivi al mese, TikTok è senza dubbio la piattaforma social più famosa al mondo. E anche la più discussa. Sono ormai mesi che si parla di vietare l’applicazione negli Stati Uniti e i suoi maggiori creatori stanno cercando una piattaforma alternativa su cui incontrare i propri fan in caso Donald Trump decida di passare dalle parole ai fatti.

La prima alternativa all’app cinese è stata offerta da Mark Zuckerberg con Reels, una nuova funzionalità all’interno di Instagram che permette di registrare brevi video ed editarli direttamente dall’applicazione. A poco più di una settimana dal suo lancio, l’alternativa americana a TikTok è già stata definita un «fallimento» sulle pagine del New York Times. Le ragioni principali sono due: forse per il suo essere così recente, Instagram Reels non ha ancora dato vita a nuovi trend e quindi il 90% dei contenuti presenti sulla piattaforma sono semplici “repost” (duplicati) da TikTok. La seconda ragione – e la più importante – sta in quello che viene definito il «paradosso della scelta», uno degli elementi più importanti per chiunque scelga di dare vita a una piattaforma video. In uno studio condotto da Netflix nel 2016 si è evidenziato come in media una persona spenda tra i 60 e i 90 secondi alla ricerca di un contenuto da guardare prima di abbandonare la piattaforma. I video di TikTok sono facili da consumare (basta uno swipe verso l’alto) e sono sempre a portata di mano (tanto da eliminare completamente il paradosso della scelta), mentre un utente che vuole guardare Reels deve “impegnarsi” in maniera maggiore per essere intrattenuto. Infine, benché l’80% dei profili su TikTok siano attivi (ovvero hanno postato almeno un video) l’applicazione non crea pressione ai suoi utenti per condividere contenuti, si limita a offrire loro un modo non impegnativo di trascorrere il tempo (almeno 54 minuti al giorno secondo gli ultimi dati).

Likee è da molti definita «la rivale più pericolosa di TikTok» con i suoi 150 milioni di utenti attivi ogni mese. L’applicazione permette di realizzare brevi video utilizzando il proprio smartphone e offre anche la possibilità di inviare «regali» ai propri creatori preferiti, creando così un sistema di remunerazione interno al portale. L’unico problema? Likee è di proprietà di una società con base a Singapore – la Big Technology – a sua volta acquistata dalla cinese Joyi. Questo la rende fortemente suscettibile all’“ira” del presidente Trump. L’app è inoltre già stata bandita in India.

Tra i nuovi nomi made in Usa troviamo tre competitor capaci di muovere oltre un milione di download al mese. Si tratta di Byte (un milione), Dubsmash (due milioni) e Triller (tre milioni). È quest’ultima ad aver generato il maggiore interesse nell’ultimo mese con oltre 700.000 nuovi download solo negli Stati Uniti. Fondata nel 2015, Triller si auto-definisce «precursore di TikTok» e lo scorso mese ha deciso di fare causa all’app cinese per violazione di brevetto. Triller vanta poi un iscritto d’eccezione: Donald Trump. Il presidente avrebbe infatti deciso di supportare la piattaforma pubblicando un video il 14 agosto (e guadagnando oltre 30 milioni di visualizzazioni).

Ma il capo della Casa Bianca non è il solo ad aver scelto Triller. L’azienda sta infatti reclutando alcuni membri della «Sway House» – un gruppo di giovani creatori famosi su TikTok – offrendo loro milioni per cambiare piattaforma. Griffin Johnson (9.1 milioni di followers), Noah Beck (11.9 milioni) e Anthony Reeves (9.8 milioni) hanno già annunciato la loro partnership con l’applicazione, mentre Josh Richards (21.2 milioni di followers che lo rendono il ragazzo più pagato su TikTok) si è accaparrato il suolo di «chief strategy officer» nella compagnia. Lo scorso 4 agosto, l’applicazione ha raggiunto il numero uno nella classifica delle app più scaricate su Apple Store e il ceo Mike Lu ha commentato l’accaduto su LinkedIn descrivendolo «un successo ottenuto spendendo zero dollari di marketing».


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La guerra tra Trump e TikTok non accenna a fermarsi

Non si è ancora conclusa la partita tra TikTok e la Casa Bianca. A metà agosto, Donald Trump ha siglato un ordine esecutivo per imporre a ByteDance, società cinese che possiede il social network, di vendere le proprie attività negli Stati Uniti entro novanta giorni. Secondo il presidente americano, ci sono «prove credibili» che l’azienda «possa intraprendere azioni che minacciano di compromettere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», soprattutto dopo la sua acquisizione di Musical.ly. In particolare, il decreto impone a ByteDance di distruggere «qualsiasi dato ottenuto o derivato dall’applicazione TikTok o dagli utenti dell’applicazione Musical.ly negli Stati Uniti», informandone settimanalmente il Committee on Foreign Investment in the United States. Nella valutazione della vendita di ByteDance, allo stesso comitato viene riconosciuta inoltre la possibilità di considerare se l’acquirente «sia un cittadino statunitense o sia di proprietà di cittadini statunitensi». Nel frattempo, secondo quanto riportato da Reuters il 21 agosto scorso, TikTok sarebbe intenzionata – già questa settimana – a contestare legalmente il fatto di essere stata definita da Trump un pericolo per la sicurezza nazionale.

Al momento, tra gli attori americani interessati all’acquisto di TikTok figurano Microsoft, Twitter e Oracle. E, nella sfida, Trump sembrerebbe aver mostrato una preferenza per quest’ultima. Quando gli è stato chiesto come vedesse la società di Santa Clara per acquisire il social cinese, il presidente – parlando in Arizona – ha dichiarato: «Beh, penso che Oracle sia una grande azienda e penso che il suo proprietario sia un ragazzo eccezionale. È una persona straordinaria. Penso che Oracle sarebbe certamente qualcuno in grado di gestire la cosa». Insomma, una sorta di vero e proprio endorsement, probabilmente motivato (anche) da considerazioni di natura politica. Come ricordato da Cnbc, il co-fondatore di Oracle, Larry Ellison, ha organizzato una raccolta fondi per Trump all’inizio di quest’anno, esprimendo inoltre sostegno al presidente americano. Tutto questo, mentre i rapporti dell’attuale inquilino della Casa Bianca con Bill Gates non sono esattamente idilliaci. Recentemente il fondatore di Microsoft ha attaccato Trump sui tamponi, polemizzando inoltre con la sua scelta di ritirarsi dall’Organizzazione mondiale della sanità. Un discorso in parte analogo vale per Twitter. I rapporti tra Trump e l’azienda di Jack Dorsey non sono troppo cordiali: soprattutto dopo che, negli ultimi mesi, il social cinguettante ha avviato una serie di bracci di ferro con il presidente e il mondo a lui vicino.

D’altronde, la questione TikTok è in un certo senso entrata anche nella campagna elettorale per le presidenziali del 2020. Ricordiamo che – a fine luglio – il comitato elettorale del candidato democratico, Joe Biden, abbia chiesto ai membri del proprio staff di non utilizzare l’applicazione. Inoltre, al di là della linea dura a colpi di decreto, Trump – pochi giorni fa – ha aperto un profilo su Triller, social network rivale di TikTok: mossa a cui svariati analisti hanno conferito un significato di natura politica. Non dimentichiamo del resto come, da mesi, i due principali candidati alla Casa Bianca si stiano reciprocamente rinfacciando eccessiva arrendevolezza nei confronti della Repubblica Popolare: è quindi anche alla luce di questo dibattito che va letta l’intricata questione di TikTok.

Più in generale, sono mesi che a Washington si considera questo social network come rischioso sotto il profilo della sicurezza nazionale. Timori sono in passato stati espressi dal Congresso, mentre l’esercito e la marina degli Stati Uniti hanno vietato l’utilizzo dell’app. Tutto questo, mentre – a inizio agosto – il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, usò parole molte dure a tal proposito. «Ecco», dichiarò, «cosa spero che il popolo americano riconoscerà: queste società di software cinesi che fanno affari negli Stati Uniti, che si tratti di TikTok o WeChat, ce ne sono innumerevoli altre … stanno fornendo dati direttamente al Partito comunista cinese». Va quindi da sé come la questione TikTok venga ad inserirsi all’interno di un quadro ben più ampio: quello delle potenziali interferenze cinesi nella politica americana. Interferenze di cui ha parlato, a inizio luglio, il direttore dell’Fbi, Christopher Wray. Interferenze che sono state, tra l’altro, anche trattate in un recente rapporto del controspionaggio americano, secondo cui Pechino sarebbe intenzionata ad influenzare le dinamiche politiche ed elettorali statunitensi, sperando – nello specifico – in una vittoria di Biden il prossimo 3 novembre.

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