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AI tedeschi orfani della Merkel piace più Draghi politico che banchiere

AI tedeschi orfani 
della Merkel piace più Draghi politico 
che banchiere

Il nuovo governo in Germania dovrà far fronte a una serie di problemi cruciali come l’invecchiamento della popolazione, la rete infrastrutturale arretrata, un’industria poco innovativa e il rapporto conflittuale con i Paesi che fanno debito. Come l’Italia. Ma grazie alla sterzata imposta verso la crescita dal nostro presidente del Consiglio, le due nazioni potrebbero diventare vere alleate. Anche in Europa.


Sul colore del prossimo governo tedesco si può discutere a lungo, come anche sulla presunta ingovernabilità di un Bundestag con sei distinti gruppi parlamentari: tre sul lato destro e tre sul sinistro. In Italia sono nove alla Camera (con il gruppo misto fra i più consistenti) e otto al Senato. Se in Germania escludiamo l’ultradestra (AfD), con la quale non parla nessuno, e a sinistra i socialcomunisti della Linke, invisi ai moderati e numericamente irrilevanti, le combinazioni utili delle forze politiche tedesche sono poche. Fatto ancora più rilevante, i principali partiti, nell’ordine socialdemocratici (Spd), moderati (Cdu/Csu), Verdi (Grünen) e Liberali (Fdp), non hanno programmi così diversi tra loro. Certo, i Liberali credono di più nelle virtù del mercato rispetto a Verdi e Spd, ma alla fine tutti riconoscono che la Germania è nel guado: con l’era Merkel si chiude un periodo di stabilità e ci si avventura in un futuro in cui alta occupazione e pensioni solide non vengono più date per scontate.

Nelle più recenti previsioni sulla congiuntura in Germania, il Kiel Institute for the world economy (Ifw) ha rivisto le sue aspettative al ribasso per quest’anno e al rialzo per il prossimo. Nel 2021, il Prodotto interno lordo dovrebbe crescere del 2,6 per cento (stima precedente: 3,9), seguito dal 5,1 per cento nel 2022 (stima precedente: 4,8). Nel 2023, la produzione industriale dovrebbe aumentare del 2,3 per cento.

Nel complesso, si stima che la crisi del Covid-19 – che ha fin qui causato oltre 93 mila vittime – costerà all’economia tedesca 320 miliardi di euro in termini di perdita di produzione economica tra il 2020 e il 2022. Poiché le sfide per il futuro sono chiare a tutti, il punto non è chi farà cosa, «ma a che velocità verrà fatto». L’osservazione è di Marcel Fratzscher, presidente dell’Istituto tedesco per la ricerca economica di Berlino (Diw).Fra più quotati economisti di Germania, Fratzscher è un accademico di scuola keynesiana, ascoltato anche dai non pochi colleghi «ordoliberali» contrari al deficit e all’indebitamento.

Per comprendere dove si va, bisogna prima capire da dove si parte. Per Fratzscher il punto di partenza è l’eredità di Angela Merkel. Alla cancelliera venuta dall’Est, l’economista riconosce di «aver saputo mantenere la stabilità nei momenti di crisi». Dal crollo di Lehman Brothers fino alla tempesta monetaria sull’euro, Merkel ha sempre protetto e difeso la Germania. «L’Italia, invece, ha sofferto molto di più». La cancelliera è andata controcorrente nella gestione della crisi dei profughi di fine 2015, aprendo le porte a oltre un milione di persone. Il Paese non era pronto e Merkel ha pagato un prezzo molto alto in termini di popolarità.

Popolarità poi ampiamente recuperata con la buona gestione dell’emergenza coronavirus grazie al piglio da scienziata. Fratzscher riconosce poi alla cancelliera di aver aiutato la trasformazione della Germania in una società aperta, accogliente con i migranti – «non sto parlando dei profughi siriani» – soprattutto europei, che hanno molto contribuito allo sviluppo del Paese. Un quadro quasi idillico se non fosse, aggiunge l’economista, «che al momento la Germania non è pronta per il futuro». Compilata anche dell’Economist che ha dedicato una recente copertina a «I problemi che Merkel lascia dietro di sé», la lista delle lagnanze è lunga: si va dalle sfide aperte per rispettare gli obiettivi sul cambiamento climatico a un generale rallentamento dei processi trasformativi.

Le sfide della Germania sono più grandi che altrove in ragione del peso critico che un’industria poco innovativa gioca in questo Paese. L’economista cita come esempio l’automotive, comparto meno avanzato che in altre nazioni. E poi «la Germania ha una delle peggiori infrastrutture digitali d’Europa» circostanza che frena lo sviluppo delle imprese.

Terza area problematica comune anche all’Italia: il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione. Alle recenti elezioni tedesche gli aventi diritto erano 60,4 milioni contro 61,7 milioni del 2017. In quattro anni i cittadini passati a miglior vita hanno nettamente superato quelli diventati maggiorenni. Nelle società sempre più anziana la spesa sociale e sanitaria si impennerà, «ma la Germania non ha fatto alcuna riforma utile in materia».

Poi c’è il quarto punto: l’Europa. Durante i 16 anni del suo regno «Merkel non ha fatto abbastanza per l’integrazione dell’Ue». Fratzscher, che ha guidato per 11 anni la Divisione analisi politiche internazionali della Bce, lavorando anche alle dipendenze di Mario Draghi, pensa all’unione bancaria e all’unione dei mercati di capitali. È vero, concede l’accademico, che Berlino non si è opposta alla creazione del fondo Next Generation Ue, strumento in cui Fratzscher intravede un cambio di rotta rispetto alla tradizionale cautela di una Germania «che non ha aiutato l’Italia abbastanza». Nel fondo, osserva, ci sono trasferimenti ancorché indiretti verso l’Italia. E però Merkel ha insistito sulla temporaneità del fondo. Come al solito, la costruzione europea avanza a singhiozzo, sollecitata soprattutto dalle emergenze.

Non si tratta di colore politico ma di filosofia: se i problemi sono quelli sopra elencati, come li vuole affrontare il nuovo esecutivo tedesco? Con una deregulation che affidi le riforme al mercato oppure guidando la trasformazione attraverso l’impiego del gettito fiscale? La spesa pubblica, in sostanza, è destinata ad aumentare o no? Al professore che pone questi quesiti abbiamo chiesto di dare una risposta da scienziato, al netto cioè delle sue preferenze politiche. «Sono convinto che la Germania debba premere sul pedale degli investimenti pubblici e dare la priorità all’integrazione europea».

Una risposta in linea con quanto suggerito da alcuni anni da istituzioni internazionali quali Ocse, Fmi e dalla stessa Commissione Ue. Non che il clima politico sia maturo nel Paese. Da un lato Olaf Scholz ha vinto le elezioni promettendo il ritorno al freno all’indebitamento dal 2023, mentre Christian Lindner dei Liberali, rafforzati dal recente voto, riconosce sì il bisogno di investire in scuola e digitale, ma sgomita per diventare il prossimo ministro delle Finanze e tornare al più presto al rigore nei conti. Se la politica resiste, l’economia non aiuta: «Temo che il successo economico tedesco degli ultimi dieci anni renderà difficile convincere tanti che il cambiamento è urgente» osserva Fratzscher.

Un governo cosiddetto «Giamaica», con Cristiano-democratici, Verdi e Liberali, rappresenterebbe una minore discontinuità con il passato. Diversamente la Commissione europea come anche l’Italia dovrebbero ricevere meno richiami alla politica del rigore da un governo «semaforo» con Socialdemocratici, Verdi e Liberali. In campagna elettorale Scholz si è detto disponibile a trasformare il fondo di recupero in uno strumento permanente, ma anche favorevole all’unione bancaria e a quella dei mercati di capitali.

Concetti che avrebbero un effetto diverso se li ripetesse da cancelliere rivolgendosi magari alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Moderata o progressista, la Germania resta sempre il socio di maggioranza della Ue. La differenza, però, non la fa solo chi comanda a Berlino. «Mario Draghi oggi è molto stimato e molto più apprezzato dall’opinione pubblica tedesca come premier dell’Italia di quanto lo fosse come presidente della Banca centrale europea».

Passando dall’Eurotower di Francoforte a Palazzo Chigi, SuperMario ha smesso di essere il banchiere cattivo che, tenendo bassi gli interessi, ha reso i conti correnti degli «Herr e Frau Müller» non più redditizi. Per Fratzscher allora i tedeschi sbagliavano mentre Draghi aveva ragione. Oggi la loro percezione è cambiata: nel presidente del Consiglio vedono qualcuno che sta riformando l’Italia. E forse domani un punto di riferimento per l’Europa con l’uscita di scena di Merkel: difficilmente il prossimo cancelliere sarà rieletto, come lei, per quattro volte, mentre anche un secondo mandato del presidente francese Emmanuel Macron è da dimostrare.

L’ atteggiamento benevolo dei tedeschi accomuna per una volta conservatori e progressisti, ammirati nel vedere l’Italia che torna alla crescita. Eppure si registra una curiosa contraddizione: proprio adesso che a guidare il Paese c’è un leader che dà fiducia anche ai teutonici fautori dell’austerità, il debito italiano è schizzato al 155,6 per cento del Pil. «Non sono in ansia né per il debito né per l’inflazione: queste dovrebbero essere le nostre ultime preoccupazioni» afferma Fratzscher. «Il costo della gestione del debito per l’Italia è sceso negli ultimi 6-7 anni, grazie al calo degli interessi sui mercati finanziari, ma anche in virtù dell’aumento della fiducia dei mercati nei confronti di questo governo. La fiducia è altissima: per la sostenibilità del debito non c’è cosa più importante».

Per chi dalla Germania guarda all’Italia senza la lente ideologica dell’austerità a tutti i costi non è tanto importante il livello del debito di un Paese, ma come il governo utilizza quei soldi. Se le prospettive sono in miglioramento, se i soldi sono spesi per sostenere l’economia, la fiducia cresce. «E il debito italiano non dovrebbe essere un problema né per l’Italia, la Germania o l’Europa».

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