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Mentre l’Ue è in balia del virus, il Plenum cinese pianifica 15 anni di tecnocrazia

Mentre l’Ue è in balia del virus, il Plenum cinese pianifica 15 anni di tecnocrazia

Mentre il mondo occidentale è catturato dall’esito delle elezioni americane e dal galoppo della pandemia a Pechino il partito comunista ha messo appunto il quattordicesimo Piano economico e sociale. La Cina continuerà con le riforme strutturali sul piano dell’offerta per favorire la doppia circolazione. Da un lato, il partito cercherà di soddisfare la domanda interna di prodotti di qualità. D’altra parte, le aziende cinesi si sforzeranno di essere più competitive a livello globale. Obiettivo portare il Pil ai livelli di Israele, Italia e Corea del Sud.


Mentre il mondo occidentale è catturato dall’esito delle elezioni americane e dal galoppo della pandemia a Pechino il partito comunista cinese ha svolto il suo plenum, dove ha messo appunto le strategie per i prossimi quindici anni. La quinta sessione plenaria del diciannovesimo congresso del Partito si è conclusa con l’approvazione del quattordicesimo Piano economico e sociale quinquennale e con lo sviluppo di una strategia che guarda al 2035. Emerge qui la prima grande differenza ancora in piedi con le democrazie occidentali: la pianificazione socialista, la capacità di pensare e progettare su scala pluri-decennale, la presenza di una burocrazia di partito che non deve rendere conto a nessuno delle sue strategie. La Cina è dunque una potenza a capitalismo autoritario, che pianifica una maggiore intensità nel campo della ricerca tecnologica, e che oggi può sfruttare debolezze e ritardi del sistema occidentale.

Il piano politico prevede un percorso aggressivo di crescita economica senza fare esplicite previsioni sul ritmo di crescita del Pil. Al precedente plenum del 2015, il partito affermava che la Cina avrebbe mirato a mantenere un ritmo di crescita medio-alto. I leader del partito si mantengono generici su dati e previsioni, ma la dichiarazione post-plenaria afferma che il Pil pro capite della Cina dovrebbe corrispondere al livello dei paesi sviluppati entro il 2035. Sebbene non siano state menzionate cifre o esempi specifici, una ragionevole aspettativa è che la Cina mirerà a raggiungere livelli di Pil pro capite simili a quelli della Corea del Sud, di Israele o dell’Italia nei prossimi 15 anni.

Il programma politico pone una maggiore enfasi su una gamma più ampia di obiettivi economici e sociali rispetto al passato, con lo sviluppo tecnologico che continua a giocare un ruolo cruciale. L’intenzione è di rafforzare la posizione della Cina per diventare una delle principali nazioni innovative del mondo entro il 2035. I cinesi cercheranno di aumentare il valore aggiunto pro capite attraverso il miglioramento della qualità o della produttività. La nuova economia tecnologica cinese, che ha registrato una crescita superiore alla media del 9,3% e ha rappresentato il 16% del Pil complessivo nel 2019, è dunque destinata a farsi carico della crescita economica.

Secondo il quattordicesimo piano quinquennale (2021-2025), la Cina continuerà con le riforme strutturali sul piano dell’offerta per favorire la “doppia circolazione” (nazionale e internazionale). Da un lato, il partito cercherà di soddisfare la domanda interna di prodotti di qualità. D’altra parte, le aziende cinesi si sforzeranno di essere più competitive a livello globale. Per fare ciò è necessaria un’espansione delle catene di approvvigionamento nazionali per affrontare questioni che vanno dalla sicurezza alimentare alla fornitura stabile di semiconduttori. Questa strategia è coerente con i cambiamenti nel contesto economico globale, considerato l’aumento delle spinte protezionistiche in tutto il mondo. Le attività economiche saranno guidate principalmente dalla “circolazione interna”, che dovrebbe permettere alla Cina di diventare un Paese maggiormente importatore rispetto ad oggi.

La finanza servirà l’economia reale, con una politica monetaria che cercherà di mantenersi stabile evitando sforzi inflazionistici. La sostenibilità della crescita non si baserà tanto sulla quantità di lavoro e sugli input di capitale quanto sui progressi tecnologici e sulle infrastrutture digitali. Sotto una leadership sempre più centralizzata, il ruolo della Banca popolare cinese sarà quello di accogliere il mandato specifico delle iniziative governative sia a livello macro che industriale. Il sostegno ai prestiti sarà ancora più esteso alle piccole e medie imprese. Nel frattempo, il mercato dei capitali verrà sfruttato per mobilitare fondi finanziari inattivi per sostenere lo sviluppo dell’economia tecnologica.

Inoltre, il Partito prevede investimenti green nel campo energetico e si pone l’ambizioso obiettivo della neutralità carbonica entro il 2060.

Sul piano politico, la leadership autoritaria di Xi Jinping si rafforza ancora. Nonostante il ramo della sicurezza interna sia ormai in mano ai suoi fedelissimi, continuerà la campagna anti-corruzione che punta a scuotere gli apparati di polizia e di giustizia per assicurare una più cogente lealtà verso la guida di Xi.

Inoltre, il Partito ha delineato ancor più chiaramente il primato del Segretario generale all’interno del Politburo e del suo Comitato permanente (affidando a Xi la capacità esclusiva di stabilire l’agenda), le direttive specificano anche che tutte le organizzazioni statali, partitiche e della società civile hanno l’obbligo di seguire la guida del massimo leader.

In definitiva, la Cina corre sempre di più verso una dimensione tecno-autoritaria in cui l’ideologia comunista resta un pilastro per assicurare la stabilità del potere più che gli indirizzi di politica economica. Sono ancora molti gli analisti che scommettono su una maggiore apertura dell’economia cinese e sul rafforzamento della tutela della proprietà privata nei prossimi anni. Ciò che è certo è che la Cina può sfruttare questi mesi di pandemia nel mondo occidentale per mettere subito in pratica i propri piani di sviluppo e di acquisizioni estere, soprattutto in Europa. Ha davanti a se due anni di sicura crescita economica, di gran lunga maggiore rispetto a quella dell’altro emisfero, in cui può aumentare la propria capacità di influenza delle economie europee più deboli sfruttando, in particolare, la superiorità tecnologica. Ciò considerato, non va dimenticato che la Cina resta un Paese pieno di potenziali debolezze a livello geopolitico: è un territorio difficile da difendere e circondato di potenziali avversari; gli Stati Uniti restano ancora largamente superiori a livello militare e navale; i recenti ban su Huawei e Tik Tok non sembrano che l’inizio di una politica americana più aggressiva sul piano tecnologico che può far male a Pechino. Da ultimo, la storia insegna che la pianificazione centrale può forse fornire un vantaggio competitivo nel medio periodo, ma che alla lunga un’eccessiva pretesa di controllo delle dinamiche economiche può portare al fallimento. I tecnocrati del partito possono, dunque, sbagliare i calcoli nel loro dirigismo da capitalismo autoritario proprio come accaduto nell’Urss degli anni Settanta e Ottanta. E non è detto che la potenza tecnologica fornisca un automatico diritto a governare il mondo, anche qualora si traducesse in netta superiorità. Esistono ancora variabili geografiche, politiche e culturali che nemmeno l’onnipotente Politburo è in grado di controllare.


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