Home » Attualità » Politica » Metodo Landini, il segretario che va sempre in piazza ma perde peso in fabbrica

Metodo Landini, il segretario che va sempre in piazza ma perde peso in fabbrica

Metodo Landini, il segretario che va sempre in piazza ma perde peso in fabbrica

No alla flat tax e alIo stipendio di entrata a mille euro… L’opposizione a prescindere del numero uno della Cgil ne stanno facendo arretrare la rappresentanza sui luoghi di lavoro, con calo di delegati e di iscritti. E il riflesso condizionato di uno sciopero generale mostra più che mai i suoi limiti.


L’ultimo esempio risale a circa due settimane fa. Piombino: Liberty Magona, sito siderurgico con più di 130 anni alle spalle: qui storicamente la Fiom, i metalmeccanici della Cgil, la fa da padrona. Nel 2020 il sindacato rosso aveva vinto le elezioni di fabbrica quasi doppiando i rivali della Uilm, oggi, anche in seguito ai problemi e alle vertenze legate al Covid, è arrivata terza, dietro alla stessa Uilm e alla Fim. Impietosi i numeri: su 338 voti validi alle prime due sigle sono andate 129 e 127 preferenze, alla Fiom appena 82. Motivi? «Semplicemente» racconta il sindacalista di un’altra sigla «noi per i lavoratori ci siamo sempre stati, mentre altri latitavano».

Un po’ quello che è successo nella più eclatante delle disfatte recenti del segretario generale Maurizio Landini e compagnie compagni. Sempre di siderurgia parliamo, ma vedere l’ex Ilva di Taranto semplicemente come un sito che produce acciaio è riduttivo. In Puglia si combatte da anni una battaglia che intreccia la tutela dell’ambiente e il diritto al lavoro con le ingerenze della politica e le sentenze della magistratura. Insomma, se non qui dov’è che un sindacato deve far valere la sua voce? Bene. Nel voto di fabbrica dello scorso marzo la Fiom è riuscita ad arrivare quarta, perdendo consensi non solo nei confronti degli storici «avversari» di Cisl e Uil ma anche rispetto all’Usb, l’Unione sindacale di base.

«Per noi è una conferma, come primi rappresentanti degli operai in una delle fabbriche più “calde” d’Italia» spiega a Panorama Guglielmo Gambardella, responsabile per la Uilm di siderurgia, aerospazio e difesa. «Siamo consapevoli delle tante battaglie che dobbiamo ancora portare avanti ma continueremo a resistere alle pressioni della politica, fortissime soprattutto a Taranto. Per noi l’autonomia è un prerequisito essenziale. Siamo stati gli unici che a marzo non hanno firmato l’accordo per la cassa integrazione di tre mila lavoratori senza garanzie su strategie e prospettive future. Avremmo messo nero su bianco che si trattava di persone che potevano essere licenziate. Mentre, per farle un altro esempio, siamo stati i primi a insistere qualche anno fa per siglare l’intesa per la ristrutturazione della Ferriera di Servola a Trieste, azienda ora del gruppo Arvedi. Un patto per il lavoro che dà un futuro al sito e ai suoi dipendenti. Su quella decisione c’è stato un referendum: i dipendenti hanno dato ragione a noi e torto alla Fiom che invece si era opposta».

Esempi, certo, che però aprono uno squarcio sulla dicotomia che vive oggi la Cgil: forte dal punto di vista politico e mediatico, debole in fabbrica. Vicina al Pd e al nuovo segretario Elly Schlein, al fianco di Giuseppe Conte e del Movimento Cinque Stelle, ma lontana dalle battaglie che si combattono tutti i giorni sul posto di lavoro. C’è poco da meravigliarsi. Quello che succede oggi nella casa madre non è che il «sequel» di un film già visto nei sette anni e passa della segreteria Landini a capo della Fiom, dal 2010 al 2017. Landini è straordinario nel cavalcare il disagio sociale nelle piazze e nell’interpretarlo durante le comparsate televisive, ma è altrettanto fenomenale nel non sporcarsi le mani quando occorre risolvere i problemi e quindi proteggere gli interessi della sua base. E inevitabilmente, in fabbrica i consensi diminuiscono.

Fa impressione come più le situazioni diventino «calde», più i duri e puri si scansino. Restando a Trieste è clamoroso il caso Wartsila, il sito diventato emblema della crisi delle multinazionali che arrivano in Italia, prendono aiuti e sussidi pubblici e poi scappano. Qui la Fiom perde adesioni, così come le perde nei vari siti Stellantis, dove il distacco dall’Italia è nei fatti. A Melfi ci sono 120 iscritti su 6.300 lavoratori, a Pomigliano 350 su 4.300 e alla gigafactory di Termoli 50 su 2.200. Nel Torinese, altro territorio storicamente vicino al sindacato di Landini, spiccano le débâcle nelle votazioni per le Rsu della General Electric Avio di Rivalta e della sede centrale di Leonardo Finmeccanica. Nella prima (circa 2 mila dipendenti), elezioni 2021, la Fiom ha lasciato alle altre sigle sindacali più o meno 200 voti passando dal primato a diventare il terzo sindacato per numero di rappresentanti. Nel secondo caso, il sito è caratterizzato per la presenza di oltre mille ingegneri e il passaggio è stato più morbido: la Cgil è scesa di un gradino, cedendo quindi quello più alto del podio.

Risalendo lo Stivale il discorso non cambia. Acciai Speciali Terni, altra fabbrica «incandescente». Esattamente un anno fa la Fim Cisl si è imposta alle elezioni per il rinnovo delle Rsu conquistando un terzo dei delegati che compongono il parlamentino dello stabilimento e la Fiom è stata scavalcata anche dalla Uilm con 527 preferenze. Da siderurgia e automotive, con il suo indotto, arrivano i risultati più deludenti, ma il trend «ribassista» della Cgil è confermato in altri comparti. Nelle casse edili, per esempio, da anni la Fillea-Cgil cala gradualmente nei consensi a vantaggio della Filca-Cisl che la incalza. In alcune realtà territoriali ci sono stati sorpassi clamorosi. A Firenze, la Fillea aveva oltre il 50 per cento di rappresentatività, ora è al 36 per cento. A Torino, dove invece regnava una situazione di sostanziale equilibrio, la Cisl è al 45 per cento e la Fillea al 33 per cento. La Cgil cala pure nella rappresentatività delle grandi aziende, come Condotte, la società di costruzioni uscita da poche settimane dalla procedura di amministrazione straordinaria e passata al gruppo Sorgente riconducibile alla famiglia Mainetti (l’editore del quotidiano Il Foglio).

Il ramo d’azienda venduto include un portafoglio-lavori ricco di 10 commesse (tra queste importanti opere ferroviarie e autostradali in Algeria), un valore della produzione 1,2 miliardi e 425 lavoratori impiegati di cui 160 in Italia. Nella sede romana, che ha la metà dei dipendenti italiani, la Cisl ha quasi doppiato gli iscritti della Cgil. Da sottolineare che l’azienda è entrata nel girone dantesco delle varie procedure di crisi (prima concordato poi amministrazione straordinari) otto anni fa, quando la forza lavoro superava le duemila unità. bNell’edilizia la fabbrica equivale ai cantieri. E nei cantieri più grandi, si prenda Genova, la Filca ha oltrepassato il sindacato di Landini lì dove si lavora per il Terzo Valico, lo scolmatore e il nodo ferroviario. E qui veniamo a un’altra delle specialità della casa «rossa»: il no a prescindere. Soprattutto verso le grandi opere, ma non solo.

No al Ponte sullo Stretto perché «le priorità in quei territori sono altre». No all’autonomia differenziata perché «non è il momento delle piccole patrie». No alla flat tax perché «non garantisce la progressività». No a mille euro al mese per un contratto di lavoro di un ragazzo «perché vorrebbe dire essere sottopagato».

Però un grande «sì», appena si creeranno le condizioni, all’organizzazione di un nuovo sciopero generale. Che garantisce piazze piene, fabbriche semivuote e soprattutto la specialità della casa: la sovraesposizione mediatica. E se poi al prossimo congresso dei sindacati europei (si terrà a Berlino dal 23 al 26 maggio) si organizzassero giornate di mobilitazione di tutti i lavoratori europei – come auspicato dal segretario – ancora meglio. Vorrebbe dire che il metodo Landini sta facendo proseliti in tutt’Europa.

© Riproduzione Riservata