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Lotte tra cattolici, americani e cinesi. Roma torna caput mundi

Lotte tra cattolici, americani e cinesi. Roma torna caput mundi

E’ Roma, in queste ore, il crocevia fondamentale della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Cina. E’ infatti nella capitale italiana (e soprattutto in Vaticano) che si stanno dipanando e intrecciando dinamiche politiche aggrovigliate: dinamiche che ravvisano il proprio centro gravitazionale nello spinoso dossier dell’accordo tra Santa Sede e Repubblica Popolare. Per il momento, la tensione tra Washington e il Vaticano resta non a caso particolarmente alta.


Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, arriva oggi a Roma per una visita ufficiale presso la Santa Sede: obiettivo del viaggio è notoriamente quello di cercare di affossare o almeno indebolire l’intesa cinese. Non dimentichiamo del resto che, appena pochi giorni fa, il capo della diplomazia statunitense abbia postato un tweet particolarmente critico dell’accordo e velatamente della stessa politica estera vaticana. Un tweet che Oltretevere hanno considerato un’ingerenza e che ha portato il Papa, poche ore fa, a rifiutare l’incontro con il segretario di Stato americano. Nonostante la motivazione ufficiale sia stata quella di voler evitare potenziali interferenze nella campagna elettorale per le presidenziali statunitensi, è difficile ritenere che sulla scelta di Bergoglio non abbia influito anche l’irritazione nei confronti del capo di Foggy Bottom. D’altronde, che il Papa si stia sempre più avvicinando alla Cina è testimoniato non soltanto dalla freddezza verso Washington. Va sottolineato infatti che, nelle scorse ore, Bergoglio non abbia ricevuto il cardinale di Hong Kong, Joseph Zen, da sempre un critico della distensione vaticana nei confronti di Pechino. Davanti a questa situazione irrigidita, bisognerà capire se Pompeo riuscirà a trovare il bandolo della matassa.

Le considerazioni che il segretario di Stato americano porterà in Vaticano sono di due ordini: geopolitiche e umanitarie. Sul versante geopolitico, Washington teme che il rinnovo del controverso accordo segreto con la Cina da parte della Santa Sede possa indebitamente rafforzare la Repubblica Popolare sul fronte diplomatico. Sul versante umanitario, Pompeo sostiene che quell’intesa non abbia ad oggi granché aiutato i cattolici cinesi e che, anzi, la Cina continui sistematicamente a violare il principio della libertà religiosa. Un’accusa suffragata da quanto recentemente ha riferito la Catholic News Agency, secondo cui in alcune province della Repubblica Popolare le autorità continuerebbero a incarcerare quei vescovi e sacerdoti cattolici che si rifiutano di sostenere il Partito comunista cinese. Un’accusa che – è bene sottolinearlo – non è stata al momento effettivamente smentita dai quanti difendono il rinnovo dell’accordo (dalla segreteria di Stato vaticana al quotidiano Avvenire, passando per lo storico Alberto Melloni). E’ quindi possibile che, come riportato due giorni fa da La Verità, Pompeo possa far leva sulla Chiesa cattolica statunitense e, in particolare, sulle donazioni per l’Obolo di San Pietro.

Non dimentichiamo infatti che la Chiesa americana risulti tra i principali contributori su questo fronte e che una sua parte consistente si trovi oggi particolarmente vicina alle posizioni di Donald Trump. Un Donald Trump che non solo nel 2016 vinse (seppure di poco) la maggioranza del voto cattolico ma anche che, in quattro anni di governo, ha nominato molti fedeli alla Chiesa di Roma in posizioni di primario rilievo: dal ministro della Giustizia, William Barr, ai due giudici della Corte Suprema, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. Senza dimenticare che un componente di spicco della conferenza episcopale statunitense, l’arcivescovo di Kansas City Joseph F. Naumann, abbia mostrato in agosto pubblicamente apprezzamento per le politiche antiabortiste dell’inquilino della Casa Bianca. Tutto questo, senza trascurare che – soprattutto a causa del coronavirus – nell’opinione pubblica americana sia cresciuto un forte sentimento anticinese. Infine, al di là dell’appoggio di parte consistente dei cattolici americani, l’amministrazione Trump potrebbe far leva anche su un fronte diplomatico delicato come quello di Taiwan (che – ricordiamolo – la Santa Sede riconosce formalmente). Se il presidente americano dovesse decidere di rafforzare i rapporti con l’isola e picconare ulteriormente la politica dell’ “una sola Cina”, questo potrebbe mettere il Vaticano in difficoltà e spingerlo a ripensare la sua strategia di distensione con Pechino.

Non è al momento chiaro se gli argomenti di Pompeo troveranno effettivo ascolto da parte della Santa Sede. L’accordo sembra al momento in una botte di ferro e il rinnovo dovrebbe quasi certamente arrivare in ottobre. Tuttavia, se i due campi sembrano granitici, è pur vero che – sul fronte vaticano – si assiste a qualche scricchiolio. Innanzitutto non possiamo non citare il recente e clamoroso siluramento del cardinale Giovanni Angelo Becciu: uomo molto vicino al grande regista dell’accordo cinese, il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin. In secondo luogo, vale la pena sottolineare anche il fatto che Beroglio abbia richiamato in servizio un rivale di Becciu, come il cardinale australiano George Pell. Un profilo non troppo vicino a Parolin e forse per questo più tiepido verso l’accordo tra Santa Sede e Cina.

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