La Link Campus University, fondata da Vincenzo Scotti, è un formidabile crocevia di personaggi, influenze, carriere, dove insegnamento e lobby vanno a braccetto. Ma problemi finanziari e inchieste sulla didattica la stanno mettendo a rischio.
»Lui vuole continuare a fare il gallo sopra la monnezza cambiando noi con delle m…». La sera del 23 ottobre 2019, Vanna Fiadini è un fiume in piena. La zarina del sistema Link Campus University, a capo di una mezza dozzina di società nate dall’ex università maltese, uno dei 19 atenei privati riconosciuti (e finanziati) dalla Repubblica italiana, si sfoga con Pasquale Russo, direttore generale della Link. Ce l’hanno entrambi con Enzo Scotti, l’ex ministro degli Interni democristiano che presiede l’università con sede nel bel casale San Pio V sull’Aurelia, e con il suo tentativo di vendere la «loro» creatura all’Università telematica Pegaso per circa 25 milioni. La trattativa poi andrà in fumo ma, come si legge in un’informativa della Guardia di Finanza, la coppia pretende una buonuscita di 21 milioni: sette per Russo, sette per Fiadini e sette per suo figlio Federico. Solo che la Link è piena di debiti. E nel progetto dell’85enne Scotti c’è anche l’idea di scaricare i vecchi amministratori, cioè loro, e di vendere per ottenere un’iniezione immediata di 5-6 milioni di euro che salverebbe la Link. «Senza debiti possiamo guadagnare 3,5 milioni l’anno» dice uno dei manager indagati. Certo, senza debiti la vita sarebbe più facile. Ma la Link, nel 2019, ne aveva per 16 milioni, così ripartiti: 11 verso i fornitori; tre con il fisco e altri due con gli enti previdenziali. Ed è questa montagna di debiti cha fa dire a donna Vanna che Scotti «fa il gallo sopra la monnezza».
Nel salotto buono
«Io sotto loro non ci resto» proclama Russo, che poi articola il concetto: «Ma cammina… vado a regalà il salotto buono di Roma?». E a vedere gli insegnanti della Link, passati e presenti, la definizione di «salotto buono» non è mica sbagliata.
Nell’albo d’oro dei docenti di «Scottilandia» si trovano, come da elenchi acquisiti dalla Finanza, gli ex ministri Ortensio Zecchino e Franco Frattini, la di lui figlia Carlotta, l’ex direttore della Scuola di giornalismo della Lumsa Claudio Vasale, l’economista Gianfranco Vento (consigliere di amministrazione della Cassa di San Marino), l’ex sottosegretario Sergio Zoppi (governi Prodi e D’Alema), lo stesso Massimo D’Alema e il tele-sociologo Nicola Ferrigni, che insegna anche in varie scuole della Polizia di Stato. E poi spunta il prezzemolino Vito Cozzoli, che Luigi Di Maio volle come braccio destro quando era ministro dello Sviluppo economico, e un’altra sociologa come Lorenza Parisi, ex addetta stampa della piddina Giovanna Melandri. Tra le figlie d’arte non manca l’antropologa Anna Maria Cossiga, che però un paio d’anni fa si è dimessa. Ma il più noto alle cronache recenti resta l’imprendibile Joseph Mifsud, l’uomo del «Russiagate», che ha il 35 per cento di una società legata alla Link e non si è mai capito se fosse solo uno spione, uno che lascia debiti a grappoli, o tutte le due cose insieme.
Tra soldi e insegnamento
La Link ha una galassia di società, in Italia e all’estero, che le Fiamme gialle definiscono «assai opaca». Al centro del sistema c’è la Gem srl, che ha in gestione anche la parte didattica dalla Fondazione Link Camp University, e si serve della neonata Link Gestione Spa, con un capitale sociale di 18 milioni che la Finanza giudica assai generosamente determinato. Tra le controllate c’è il Criss, Centro ricerche intelligence e società sicure, la cui missione è descritta così dal rettore Carlo Medaglia: «Lo uso solo per fare soldi». Preciso e sintetico. Ma la Link sta anche affrontando una delicata inchiesta della Procura di Firenze dalla quale sarebbero emersi insegnamenti farlocchi, esami fatti fuori sede (a Firenze invece che a Roma) o truccati (le domande venivano consegnate prima agli esaminandi, ai quali era permesso anche di consultare il web), e una sproporzione preoccupante tra studenti normali e studenti classificati come «executive», ovvero gente che già lavora. Sono dipendenti dello Stato, spesso appartenenti alle forze dell’ordine (come nel caso della convenzione con il Siulp), all’esercito o ai servizi segreti, che hanno bisogno di una prima o di una seconda laurea per farsi largo nei concorsi. Se faranno carriera, diventeranno amici preziosi del «sistema Link». E in cattedra troveranno a loro volta altri personaggi più o meno in cerca d’autore e abbastanza ignoti al resto del mondo accademico, che però grazie a Scotti possono fregiarsi del titolo di «professore», andare in tv a sostenere le tesi più ardite come «esperti». Dopo due anni di indagini, l’inchiesta si è chiusa ai primi di maggio e sul registro degli indagati ci sono 71 persone che potrebbero rispondere, a vario titolo, di falsità materiale e ideologica per numerosi episodi di verbali di esame alterati e di associazione a delinquere. Tra queste ci sono Scotti e i vertici amministrativi dell’ateneo, docenti, ricercatori, dipendenti e molti studenti «executive». In attesa del processo, le carte dell’inchiesta fiorentina regalano uno spaccato dell’università di Scotti, che da ministro, nella Prima Repubblica, ha maneggiato polizie e servizi segreti, e che ha sfornato le migliori teste grilline, come l’ex ministro della Difesa Elisabetta Trenta, ora tornata alla Link.
Come dribblare gli esami
Nel 2011, quando il ministro Mariastella Gelmini dà il riconoscimento alla Link, all’epoca contestato perché era un ateneo maltese di simpatie dalemian-cossighiane, afferma che il timbro viene rilasciato «senza oneri per lo Stato». Oggi, invece, si scopre che la Link prende oltre un milione di euro l’anno dallo Stato e con l’escamotage dei «professori straordinari» coopta le persone che le fanno (o le faranno) comodo, inserendole nei gangli dello Stato come una specie di McKinsey all’amatriciana. In base alla legge, le materie devono essere riconosciute dal Miur. E alla Link, per esempio, c’era un corso chiamato Human security, appaltato alla Fondazione Sicurezza e Libertà, emanazione del Siulp, che garantiva 12 crediti. Sentita dai pm, la direttrice del Miur Maria Letizia Melina è stata categorica: «Si tratta di un insegnamento per il quale non emerge alcuna forma di riconoscimento da parte del ministero (…) e le competenze acquisite possono essere riconosciute, ma non possono essere considerate l’unico presupposto per iscriversi direttamente al secondo anno». Invece, se uno studente della Link passava l’esame di Human security faceva un’impresa davvero sovrumana: con una sola prova dribblava elegantemente cinque esami. E questo è solo un esempio. Altri corsi venivano tenuti in sedi non autorizzate, trasformando la Link in una sorta di università telematica con esaminatori in tournée e insegnamenti che comprendevano il suggestivo Media and performing, International business, Studi strategici, l’affascinante Tecnologie e linguaggi, Business management. Tutti parte del corso di laurea nella sedicente Scienza della difesa e della sicurezza.
A proposito di sicurezza
Il 15 dicembre i trojan della Guardia di finanza registrano una «conference call» tra Scotti, l’avvocato milanese Giulio Azzaretto, l’ex giornalista Rai Mario Benotti e il rettore Medaglia, in cui si parla della vendita della Link. Benotti, 56 anni, ex consigliere giuridico di vari ministeri, piglio da Azzeccagarbugli, offre involontariamente un quadro illuminante: «L’aspetto di questa operazione travalica un po’ anche come approccio i confini nazionali di questa faccenda, perché ci sono rapporti con gli Stati Uniti e con l’Unione europea, con altre realtà… e poi magari scenderemo nel dettaglio». «Il Professore», come lo chiamano gli amici, sottolinea anche come Scotti e Medaglia debbano per forza essere i Garanti di legami importanti, costruiti negli anni sulla testa degli studenti: «Ci sono dei bandi vinti, accordi inter-universitari e con strutture sovranazionali anche piuttosto delicate. Non sono cose che vengono dal nulla». In un altro passaggio, sempre Benotti, che vanta ottime entrature in Vaticano ed è molto vicino a monsignor Vincenzo Paglia della Comunità di Sant’Egidio, si fa minaccioso e dice ai tre amici di «avere i documenti per mandare in galera Alessandro Profumo», amministratore delegato di Leonardo-Finmeccanica, che gli ha probabilmente sbarrato la strada su un affare del suo consorzio tecnologico Optel (che si occupa di cybersecurity). C’è un mondo dietro Benotti. Ma anche dietro alla Link e ai suoi accordi con «strutture sovranazionali».
