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Se questa è giustizia

Se questa è giustizia

La riforma Cartabia mostra già i suoi limiti: l’arretrato e le carenze appaiono quasi incolmabili. Intanto l’Europa esige un’ottusa produttività, che può dare il colpo di grazia al sistema per i diritti e i doveri dei cittadini.


Centinaia di ore di discussioni parlamentari, audizioni, relazioni del Consiglio superiore della magistratura, interviste, interventi, riunioni, accordi e arrangiamenti; e appena una sola mail per raderla al suolo. Il primo, vero colpo di piccone alla riforma Cartabia e al processo penale telematico, fortemente voluto dall’ex ministro della Giustizia, arriva da un anonimo cancelliere del Tribunale di Catania. Interpellato dagli avvocati Alexandro Maria Tirelli e Federica Tartara per rilasciare le copie digitali di un’inchiesta per droga in Sicilia in cui è coinvolto un presunto narcos colombiano, così come prevede la nuova normativa, il dipendente ha risposto in modo tranchant: «Non abbiamo un addetto alla fotocopiatura degli atti, né carta a disposizione oltre la dotazione per l’ufficio in senso stretto, né personale che possa inviare mezzo mail gli atti richiesti, quindi nomini un referente a Catania che venga a fare le copie atti in Tribunale». Stop. Succinto e chiaro come un telegramma di guerra.

D’altronde, lo scenario nel settore è post bellico: mancano oltre 1.600 magistrati sui 10.558 previsti dagli organici del ministero della Giustizia con sedi – soprattutto di provincia – quasi del tutto spopolate. Secondo i dati dalla Commissione per l’efficienza della giustizia presso il Consiglio d’Europa, in Italia ci sono circa 11,6 giudici ogni 100 mila abitanti, cioè appena la metà della media europea (21,4) mentre il rapporto per quel che riguarda i procuratori è di 3,7 ogni 100 mila abitanti a fronte di una media Ue di 12,13. La situazione non migliorerà nemmeno con gli innesti degli ultimi concorsi: i candidati ritenuti idonei (220) sono risultati inferiori rispetto ai posti messi a bando (310). E, in ogni caso, l’immissione in ruolo avverrà nella migliore delle ipotesi nel 2024.

Gli stessi uffici giudiziari non sono messi meglio. L’Associazione nazionale magistrati ha recentemente reso pubblico un dossier fotografico su più di 50 tribunali e Procure con oltre 500 immagini che mostrano luoghi di lavoro «inospitali» e addirittura «insalubri», e certamente non «dignitosi», specifica il sindacato delle toghe nella relazione. Ancor più complicata la situazione sul fronte del personale amministrativo: sui 43 mila cancellieri previsti ne sono in servizio solo 34 mila: in pratica mancano 9 mila impiegati. Tanti, troppi. Comprensibile, quindi, che il solerte dipendente di Catania abbia un diavolo per capello. La colpa non è certo sua. Ma di chi è, allora?

A sentire l’avvocato Tirelli, che è anche presidente delle Camere penali del diritto europeo e internazionale, è l’idea stessa di giustizia telematica così come oggi è stata organizzata a non stare in piedi. «Quello penale è un processo vivo fatto di tensione motiva, sguardi, psicologia. Tutti elementi» spiega il legale a Panorama «che concorrono alla maieutica del processo, ovvero alla capacità di estrarre la verità dalle persone e che non si conciliano con lo schermo di un pc». D’altronde, aggiunge, «il libero convincimento del giudice è il frutto di insondabili dinamiche psicologiche che possono sfociare in una confessione o in una testimonianza inaspettata che, certamente, non arriverebbero attraverso l’arida trasmissione di un verbale sulla casella mail».

Ma la pratica forense vecchio stile pretende tempo ed energie. Due beni preziosi, di questi tempi. Non c’è più spazio per l’oratoria ciceroniana, e i magistrati devono produrre provvedimenti in serie: come in una catena di montaggio. Così vogliono i burocrati di Bruxelles. La Commissione europea ha infatti fissato per il 2026 una riduzione secca del cosiddetto «disposition time» (la durata dei procedimenti) per tutti e tre i gradi di giudizio secondo tre diversi scaglioni: il 40 per cento in meno nel settore civile; il 25 per cento in quello penale e l’abbattimento del 90 per cento dell’arretrato. Che nel penale, secondo i dati riferiti al 2022, ammontava a oltre 2 milioni e 540 mila processi (con un decremento del 3,8 per cento rispetto all’anno prima).

Nel civile, invece, sono aumentate del 9,8 per cento le definizioni rispetto ai 12 mesi precedenti, mentre le nuove iscrizioni sono cresciute di quasi il 2 per cento per una pendenza complessiva di 3 milioni e 100 mila cause. In Cassazione, ancora, resiste un imbuto di oltre 110 mila procedimenti. «La riforma telematica in astratto può essere anche giusta» conclude Tirelli «ma la giustizia oggi è paralizzata perché il personale è impreparato e le infrastrutture tecnologiche non sono adeguate. I processi e le indagini sono sprofondati in un caos burocratico e gli avvocati sono sprofondati, a loro volta, in un senso di frustrazione e insicurezza per il malfunzionamento del portale del ministero». Passare dalla bilancia della giustizia alla roulette della legge è davvero un attimo.

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