Il Paese, dilaniato dagli scontri tra le forze del presidente Fayez al-Serraj e quelle del generale Khalifa Haftar, fa gola alla Russia di Vladimir Putin e alla Turchia di Recep Tayyip Erdogan per le sue risorse nella Cirenaica. E l’Italia? Sempre rimasta ai margini di operazioni belliche e trattative, ora rischia una nuova ondata di migranti.
Aerei russi, altolà americano, militari turchi sempre più coinvolti, mercenari da tutte le latitudini e Italia fuori gioco. Non solo: sulla Libia travolta dal conflitto aleggia lo spettro della spartizione. L’uomo non più così forte della grande regione orientale della Cirenaica, Khalifa Haftar, rischia di venire cacciato dalla Tripolitania, a ovest, davanti all’avanzata del governo di Fayez al-Serraj grazie al pesante appoggio militare del «sultano» Erdogan.
Il generale, che sta perdendo la battaglia per la conquista della capitale iniziata nell’aprile 2019, ha dichiarato la «guerra santa» annunciando che «gli interessi turchi sono obiettivi legittimi da colpire e non ci sarà alcuna pietà». In soccorso ad Haftar è arrivata il 19 maggio nella base libica di al Jufra una squadriglia di caccia bombardieri russi, sei Mig 29 e due Sukhoi 24, che sarebbero decollati da Astrakhan nel Caucaso settentrionale. Poi hanno fatto scalo in Iran diretti alla base di Hmeimim in Siria, dove sono stati ridipinti per evitare di identificarne l’origine (ma Mosca smentisce).
Un’altra pista è che siano stati venduti dalla Bielorussia agli Emirati arabi, gli alleati più irriducibili di Haftar. In entrambi i casi Mosca avrebbe dato il via libera all’operazione e ai comandi ci sarebbero ex piloti del blocco russo. I libici non hanno personale per velivoli del genere.
«È una mossa di deterrenza: se Haftar viene espulso dalla Tripolitania nessuno deve sognarsi di superare la linea rossa marciando sulla Cirenaica» spiega una fonte diplomatica di Panorama a Tripoli. Il governo Serraj è ringalluzzito dalle vittorie. Nella capitale il portavoce del ministero degli Esteri, Mohamed Qablawi, ha ribadito l’intenzione di «estendere il controllo della sicurezza su tutto il territorio libico, compresa la Cirenaica».
Il generale Stephen Townsend, che guida il comando americano Africom, è più netto sullo zampino di Mosca in difesa di Haftar: «La Russia cerca di ribaltare la situazione a suo favore in Libia come abbiamo già visto in Siria». Il Cremlino, se da una parte mostra i muscoli dall’altra continua a trattare con i turchi per spartirsi l’influenza in Libia con telefonate ai presidenti Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, oltre ai loro ministri degli Esteri.
«Uno scenario di spartizione fra Tripolitania e Cirenaica è possibile, ma complicato dalla divisione delle risorse energetiche» nota Paolo Quercia, fondatore del centro studi CeNASS. «La Casa Bianca, però, potrebbe lasciare via libera all’alleato turco, che sogna la Grandeur ottomana nel Mediterraneo, a parte che mantenga le distanze dalla Russia».
A Mosca e i suoi alleati arabi come l’Egitto interessa il controllo della Cirenaica forziere petrolifero del paese. Il Cremlino vorrebbe un porto sul Mare Nostrum come Bengasi, dopo quello di Tartus in Siria. In questi scenari «l’Italia è rimasta ai margini e appare fuori gioco» sottolinea Quercia. Per chi lavora come nostra «antenna» sul campo, la rabbia è forte: «Abbiamo ceduto la Libia ai turchi senza battere ciglio. Il virus è stato un problema, ma pure una scusa per non occuparsi della crisi. Per l’Italia è un danno enorme». Da Roma una fonte militare rincara la dose: «Il governo vuole ritirarsi dalla Libia? Che lo dica e prenda una decisione chiara. Altrimenti il contingente italiano è a rischio».
Negli ultimi mesi, la nave della Marina militare in appoggio della Guardia costiera a Tripoli ha dovuto per due volte salpare verso il largo, perchè erano esplosi proiettili di artiglieria di Haftar ad appena 250 metri. A Misurata i 300 militari che presidiano l’ospedale da campo all’aeroporto vedono arrivare i rifornimenti bellici turchi e i voli che portano i «volontari» siriani reclutati e armati dal Mit, il servizio segreto di Ankara, per combattere in Libia.
A seconda delle fonti si va da 3 mila a 5 mila uomini, ma anche i russi hanno cominciato a fare lo stesso inviando al fianco di Haftar i siriani filo Assad. «Quelli dei turchi a Misurata passano sotto il naso degli italiani» conferma un’altra fonte a Tripoli. «E quando il generale sarà respinto in Cirenaica che faranno? I libici non li vogliono se non come carne da cannone. Piuttosto che tornare a casa gran parte arriverà in Italia sui barconi». E fra le reclute siriane dei turchi non mancano pericolosi jihadisti come Mohamed al-Ruwaidani catturato il 24 maggio dagli uomini di Haftar, che lo hanno immortalato in un video.
L’autoproclamato Esercito nazionale libico del generale sta subendo una serie di rovesci iniziati con l’offensiva governativa di Pasqua, che ha ripreso il controllo di tutta la costa da Tripoli al confine con la Tunisia. I droni Bayraktar Tb2, prodotti dal genero di Erdogan e pilotati a distanza dai consiglieri militari turchi, hanno aperto la strada alle truppe. I caccia e i droni cinesi degli Emirati arabi, che appoggiano Haftar sono stati abbattuti o tenuti alla larga dalla flotta di Ankara davanti alla Tripolitania.
Il 18 maggio è caduta la strategica base aerea di al Watiya, puntello dell’assedio di Tripoli. La guerra elettronica e i bombardamenti turchi hanno reso inoffensivi i Pantsir S-1, sistemi di difesa aerea russi arrivati dagli Emirati. Uno dei semoventi catturato intatto è stato fatto sfilare come un trofeo nella strade di Tripoli.
Adesso toccherà a Tarhuna, l’ultima roccaforte di Haftar controllata dai fratelli Al-Khani a sud di Tripoli, che il governo vuole far crollare dall’interno con accordi sotto banco. Per questo motivo i mercenari russi e di altre ex repubbliche sovietiche del gruppo Wagner, circa 1.400 uomini, si stanno riposizionando a sud di Bani Walid, un ex caposaldo di Muammar Gheddafi. Il generale Haftar potrebbe tentare un ultimo colpo di coda con un attacco verso Misurata, dove si trova il grosso del contingente italiano, ma i turchi farebbero intervenire i loro caccia bombardieri F-16.
Le vittorie governative hanno riportato sulla costa della Tripolitania «liberata» a Sabrata e Zhawia, hub di partenza dei migranti, i vecchi boss del traffico di esseri umani come El Gospi e Ahmed al-Dabbashi detto Ammu (lo zio). Non è un caso che solo in maggio oltre mille migranti abbiano cercato di raggiungere l’Italia e 400 siano stati riportati indietro dalla Guardia costiera libica secondo l’Organizzazione mondiale per le migrazioni. Se non partono dalla Tripolitania i libici li muovono a piedi in Tunisia per farli imbarcare grazie ad accordi con i trafficanti locali.
Malta poi, quando arrivano i barconi, li dirotta verso l’Italia. La piccola isola europea, istigata dai turchi, sta mettendo i bastoni fra le ruote alla già poco utile missione Irini bloccando la nomina del comandante in mare, che dovrebbe essere un greco. Ufficialmente i maltesi vogliono più aiuti per fronteggiare gli sbarchi dei migranti. L’operazione aeronavale Ue deve garantire l’embargo delle armi sotto il comando dell’ammiraglio italiano Fabio Agostini, dal quartier generale a Roma. A fine maggio poteva contare su una sola nave francese e due aeroplani a elica. A breve dovrebbero dare il cambio un’unità italiana e una greca.
Per Fathi Bashaga, ministro dell’Interno di Tripoli, «la missione è illegale» perchè favorisce Haftar che riceve armi via terra dall’Egitto e con aerei da trasporto. Una fonte qualificata delle operazioni Ue rivela che Erdogan «tiene sotto schiaffo l’Europa su entrambi i fronti dei migranti. Via terra lungo la rotta balcanica e sul mare con la presenza in Libia. Sono i turchi ad aprire i rubinetti degli arrivi».
