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Al di là della tassa, Letta non capisce che i giovani vogliono lavorare

Al di là della tassa, Letta non capisce che i giovani vogliono lavorare

Sono lontani i tempi del think tank Vedrò quando Enrico Letta era, a sinistra, il punto di riferimento della grande industria. Oggi lo stile del segretario del Pd è più simile a quello di Salvini per aggressività, più vicino a quello dei 5 stelle per i contenuti. Ma soprattutto rincorrere demagogicamente un’eguaglianza ridotta al bonus e alla rinuncia del riscatto significa aver detto addio a voler comprendere la società.


Sono lontani i tempi del think tank Vedrò quando Enrico Letta era, a sinistra, il punto di riferimento della grande industria. Democratico cristiano dentro il centrosinistra, il giovane Letta era percepito con un moderato affidabile, mai incline a scivolate collettiviste o populiste. Oggi, in un clima politico molto diverso, lo stile del segretario del Pd è cambiato radicalmente. Più simile a quello di Matteo Salvini per aggressività, più vicino a quello del Movimento 5 stelle per i contenuti. Ciò che lascia perplessi della sua ultima proposta di tassare ulteriormente l’1% della popolazione più abbiente incrementando la tassa di successione non è tanto l’intento di variare il carico fiscale quanto l’obiettivo, cioè usare quel gettito aggiuntivo per finanziare quello che sembra un mega sussidio per i diciottenni. Mario Draghi è stato costretto pubblicamente a smontare l’idea di Letta, che però continua ad insistere sull’argomento nonostante voci dubbiose si siano levate anche nel suo partito. Perché una “dote” ai diciottenni? Perché lanciarsi in una tirata retorica contro i presunti ricchi degna di quella sinistra perdente negli ultimi anni che spazia da Corbyn a Melenchon da Iglesias a Bernie Sanders?

La proposta è ricolma di quella cultura del sussidio che tanto è stata condannata dal Pd negli ultimi anni. Una dote, senza vincoli e senza prospettive, non è che un assegno del tutto uguale al reddito di cittadinanza. Nella propaganda del Partito democratico si legge che i più ricchi dovrebbero “restituire” qualcosa alla comunità. Ma non si restituisce già abbastanza pagando al fisco la metà abbondante del proprio reddito? Senza contare che i grandi patrimoni permettono investimenti, consumi, beneficienza. A sinistra si cita poi a sproposito Luigi Einaudi, favorevole alla tassa di successione, ma astraendolo dal contesto dello scorso secolo in cui scriveva. Basti vedere il livello di tutte le altre tasse all’epoca e paragonarle con quelle di oggi. Naturalmente i nuovi collettivisti del ventunesimo secolo non ricordano le posizioni dell’intellettuale liberista su spesa pubblica e sussidi. La crociata appare dunque insensata, soprattutto se svincolata da una proposta di riforma generale della tassazione. Posto anche che si decida di innalzare la tassa di successione, avrebbe sicuramente più senso destinarne i proventi in un modo diverso rispetto a quello immaginato da Letta. Ad esempio potrebbero finanziare borse di studio per gli studenti migliori e per l’ammodernamento scolastico oppure si potrebbe pensare ad una equivalente riduzione del carico fiscale sulle nuove imprese o ancora ad una no-tax area per i redditi bassi. Il vero problema della proposta di dote ai diciottenni è che l’idea rischia di essere un buco nell’acqua proprio negli strati meno abbienti. Nessun genitore si gratifica per un sussidio statale temporaneo né la soluzione provoca sollievo prolungato al giovane. Esso è un palliativo frutto di una speculazione fondata sul fomentare l’invidia sociale, ma senza risolvere i problemi della disoccupazione elevata, dei bassi salari, della mancanza di competenze, dei costi elevati per avviare un’attività. Chi è in difficoltà economica sogna un posto di lavoro oppure di potersi mettere in proprio. Appare ridicolo anche il tentativo di una parte della sinistra di voler far passare Mario Draghi come il fiancheggiatore di una minoranza ricca e conservatrice o come un premier ricattato dalla Lega e da Forza Italia. Il Presidente del Consiglio ha più volte annunciato di volere una riforma organica del fisco e per chi ha letto i passati discorsi di Draghi appare evidente che il problema possa essere più verso il sussidio proposto da Letta che non verso una rimodulazione della tassazione. Proprio perché una riforma della fiscalità dovrebbe servire a spingere lo sviluppo economico e non a creare palliativi demagogici per una piccola parte della popolazione. Che quello di Letta sia un passo falso lo si deduce anche dalle reazione politiche dei suoi alleati. Non tanto la scontata opposizione dei renziani quanto il silenzio di Conte e dei cinque stelle sono la misura che tutti corrano a smarcarsi da una proposta percepita come politicamente pericolosa. Un segno che il segretario del Pd sente la competizione con Salvini, ma anche la pressione interna al nuovo recinto del centrosinistra. Da ultimo, questa vicenda è la cartina di tornasole delle difficoltà della sinistra nell’analizzare la società italiana. Non solo e non tanto perché numerosi piccoli proprietari percepiscono oramai le riforme come un togliere più che un dare, e un aumento di tasse non può che essere così interpretato, ma perché ancora una volta si cade nella retorica giovanilista in un momento in cui tante imprese, professionisti e lavoratori stanno soffrendo. Si può redistribuire il carico fiscale, ma verso chi è già nel mercato del lavoro ed è in difficoltà o verso chi è stato costretto ad uscirne. Insomma, la proposta denota una deformazione che non vuole vedere il precariato, la disoccupazione, le asimmetrie del mercato del lavoro, i danni della pandemia. Non si può pensare che la sinistra venga riconosciuta come una opzione politica praticabile da queste categorie se si riduce al tassiamo i ricchi per sussidiare genericamente i giovanissimi. Al sussidio, invece, bisognerebbe preferire la libertà. Di lavorare, di intraprendere e anche di avere gli stessi diritti previdenziali. Non rincorrere demagogicamente un’eguaglianza ridotta al bonus e alla rinuncia del riscatto sociale. Si dovrebbe puntare a diventare tutti più ricchi, invece di limitarsi a tassare chi lo è già.

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