I primi 100 giorni di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue mostrano luci, ma anche ombre. La «zarina» tedesca non riesce a sbloccare il bilancio, non trova risorse per la protezione delle frontiere, insiste su una svolta verde molto velleitaria. E mentre sul fronte estero l’attendono i negoziati post-Brexit, i dazi di Donald Trump e i rapporti con la Cina, dal suo passato emerge qualche retroscena imbarazzante.
Il primo marzo per Ursula von der Leyen si sono compiuti i primi 100 giorni da presidente della Commissione europea. Ma le poche luci non riescono a rischiarare le molte ombre del suo mandato. La zarina tedesca, osannata come prima donna alla guida della Commissione Ue, non riesce neppure a sbloccare il bilancio. «Il mancato accordo sul budget è la riprova che siamo davanti a una Commissione che mostra tutta la sua debolezza» attacca Marco Deostro, eurodeputato della Lega.
Ma facciamo un passo indietro. Da dove arriva «Rose», come veniva chiamata familiarmente da giovanissima la futura signora dell’Ue in onore della nonna americana? Ursula Albrecht (questo il suo cognome da nubile) nasce 61 anni fa proprio a Bruxelles, dove il padre Ernst è uno dei primi funzionari tedeschi della Comunità. Tra gli avi può persino vantare parenti italiani.
A fine anni Settanta il padre Ernst Albrecht, all’epoca premier cristiano-democratico della Bassa Sassonia, decide di mandarla a studiare a Londra a causa dei terroristi della Raf, le Brigate rosse tedesche, che vogliono rapire proprio la giovane Ursula. Nella capitale inglese studia sotto falso nome alla London school of Economics, ma trova pure il tempo per divertirsi. Lei stessa ha ricordato di recente che Londra era «il simbolo della modernità: libertà, gioia di vivere e provare tutto».
Tornata in Germania, inizia gli studi in Medicina presso la Scuola Superiore di Medicina di Hannover, dove si laurea nel 1987. L’anno prima aveva sposato Heiko, rampollo della famiglia von der Leyen, diventata nobile grazie a una fortuna accumulata nel commercio della seta. Nel 1991 ottiene il dottorato in Medicina ad Hannover, dove esercita come ginecologa, e 10 anni dopo consegue anche un Master in Salute pubblica. Intanto si occupa dei suoi sette figli, di cui due gemelli, e – noblesse oblige – si dedica a gare ippiche da provetta cavallerizza.
Poi, la decisione di lanciarsi in politica sulla scia di Angela Merkel. Da ministro della Famiglia viene accusata dal vescovo cattolico Walter Mixa di volere trasformare le donne in «macchine da parto». Nonostante una sacrosanta crociata contro la pedopornografia in rete, si guadagna il nomignolo di «Zenursula» dalla traduzione tedesca del termine «censura». E, soprattutto, deve scusarsi con l’India per la gaffe di aver sostenuto che nel grande Paese «la pornografia infantile è legale».
Inconveniente particolarmente imbarazzante, però, è quello in cui incorre nel 2015, quando è ministro della Difesa in Germania: viene accusata di avere copiato la tesi di dottorato. Il 43,5% del contenuto, si accerta, è un evidente plagio. Alla fine, però, una comprensiva commissione la assolve rimproverandole solo l’«omissione di citazione corretta delle fonti».
Nonostante i ruoli ufficiali, nelle sue battaglie risulta abbastanza divisiva: ecco che solleva polemiche quando, fieramente, si rifiuta di portare il velo in Arabia Saudita durante una visita di Stato. Nonostante la provenienza dal centrodestra si è schierata contro la Cdu (Cristiani democratici uniti), il suo partito, appoggiando le adozioni per le coppie gay e a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso.
Ma davanti alla sua azione di capo della Commissione, l’eurodeputato Giuliano Pisapia, eletto come indipendente nelle liste Pd, si mostra cauto: «Troppo presto per esprimere un giudizio. Il primo banco di prova sarà sicuramente il negoziato fra Consiglio e Parlamento sul bilancio dell’Unione. La presidente dovrà mediare e non sarà un compito facile». La stessa von der Leyen ha ammesso che sono già a rischio «il programma Erasmus (la mobilità studentesca europea, ndr) e non ci saranno risorse per la ricerca, lo sviluppo regionale e la protezione delle frontiere».
Pisapia fa parte del gruppo socialista che sostiene von der Leyen con i popolari, i liberali e il voto dei Cinque stelle nel luglio 2019. «Dopo aver fissato degli obiettivi così ambiziosi per questa legislatura, dobbiamo dotare l’Ue dei mezzi finanziari necessari per raggiungerli» aggiunge l’eurodeputato milanese. «Mi riferisco, per esempio, al green deal che rischia di essere un boomerang: un insieme di belle promesse che l’Ue non potrà mettere in pratica se prevarrà la linea di Charles Michel (presidente del Consiglio europeo, ndr), che prevede tagli e rigore».
La riconversione verde è per l’appunto il tema forte, che la presidente intendeva affermare nei primi cento giorni di «luna di miele» dal suo insediamento, ma il traguardo è ben lontano. Von der Leyen vuole «almeno il 25%» del bilancio per la lotta al cambiamento climatico. «Rendere l’Europa un continente a zero emissioni di carbonio entro il 2050 è sicuramente un obiettivo nobile ma a quale prezzo per le nostre imprese? Sembra più uno spot di Greta Thunberg che una proposta di un’istituzione europea» afferma Marco Gombacci, che a Bruxelles ha fondato lo European post, mensile controcorrente.
Dal punto di vista politico, per la prima volta il Partito popolare non ha una maggioranza chiara all’interno della Commissione. Socialisti e liberali possono bloccare o influenzare qualsiasi proposta dell’esecutivo. «Sono gruppi divisi e instabili» osserva l’eurodeputato di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza. «Nelle dichiarazioni programmatiche von der Leyen ha dapprima cercato di accontentare tutti, quindi ha scelto di chiudere il dialogo a destra e di schiacciarsi a sinistra in nome dell’argine ai sovranisti».
La Commissione, comunque, ha anche problemi interni. «I vari gabinetti dei commissari non hanno ancora un vero coordinamento tra di loro» rileva ancora Gombacci. Ursula è sicuramente una stakanovista, che vive all’interno del palazzo Berlaymont, la sede della Commissione europea. Una scelta letta da molti come altezzoso distacco dal mondo reale nella cosiddetta «bolla di Bruxelles».
Difficoltà europee a parte, c’è anche una grossa grana prettamente tedesca che deve fronteggiare. Risale ai tempi in cui lei, numero due dei Cristiano democratici, ha ricoperto dal 2013 al 2019 l’incarico di ministro delle Difesa in Germania. Il 13 febbraio scorso ha ammesso che durante il proprio mandato «vi sono state delle violazioni negli appalti pubblici» scaricando la vicenda sui funzionari. Un’audizione umiliante davanti a una commissione del Parlamento tedesco che indaga su circa 200 milioni di euro spesi dal suo ministero per consulenze esterne assunte in maniera illecita sulla base di un sistema di favoritismi. Una cifra che ha superato il costo complessivo di tutti gli altri consulenti del governo federale fra il 2014 e il 2018. Su 56 contratti di consulenza, 47 non erano in regola.
«Nonostante mancanze ed errori von der Leyen è stata “promossa” alla presidenza della Commissione europea. Una mossa della cancelliera Angela Merkel per tirarla fuori dai guai e, allo stesso tempo, tenerla lontana da Berlino» è l’opinione di una fonte di Panorama, che fa parte del mondo della difesa tedesco. La commissione d’inchiesta non ha potuto visionare i messaggi di due cellulari della presidente quando era ministro delle Difesa perché i dati risultavano cancellati.
Non aiuta la presidente un carattere definito «dispotico», né il volersi circondare di yes men. «Le riforme che aveva promesso non sono state attuate» rincara la dose la fonte tedesca. «Alla Bundeswehr (le forze armate in Germania, ndr) mancano fra i 30.000 e i 40.000 uomini. Per equipaggiare le divisioni garantite alla Nato bisogna sottrarre materiale e personale ad altre unità che poi non sono più operative».
Il parlamentare leghista Marco Dreosto punta il dito anche sul capitolo sempre problematico dei flussi migratori. «È da ottobre che chiedo all’Unione europea di non lasciare sola la mia regione, il Friuli-Venezia Giulia, per quanto riguarda la rotta balcanica. Con sloveni e croati abbiamo fatto un’interrogazione chiedendo maggiori fondi, controlli transfrontalieri e l’utilizzo di nuove tecnologie, come i droni, per bloccare il flusso dei migranti. Sto ancora aspettando una risposta».
Anche in politica estera vari scogli aspettano von der Leyen. C’è il nuovo, impegnativo negoziato con il Regno Unito sui futuri rapporti con la Ue e poi il braccio di ferro con il presidente americano Donald Trump sui dazi all’Europa. In primavera, inoltre, dovrebbe tenere un summit a Pechino sulle relazioni con la Cina, sempre che la minaccia coronavirus rientri.
Eppure, nel suo discorso inaugurale, la presidente ha promesso una «Commissione geopolitica», come mai prima. «Di geopolitico finora si è visto pochino» ribatte Gombacci. «Totalmente assente sul dossier della Libia dove non si è ancora capita la sua posizione. In seguito alla crisi iraniana e all’uccisione del generale Qasem Soleimani si è limitata a “invitare le parti alla moderazione”. Stesso richiamo all’equilibrio era stato rivolto a Erdogan quando ha sferrato l’offensiva contro i curdi nella Siria nord-orientale. Si sa poi come sia andata».
La «zarina» tedesca, dopo aver proclamato di voler lasciare un segno rivoluzionario, rischia d’impantanarsi nei soliti giochi di potere a Bruxelles. E, senza una statura all’altezza delle situazioni, di relegare l’Europa nel consueto ruolo di comparsa.
