Il premier indiano è stato costretto a fare marcia indietro sulle leggi del settore agricolo. Ma le proteste non accennano a placarsi
Alla fine ha fatto marcia indietro. Il premier indiano, Narendra Modi, ha infatti annunciato che ritirerà le tre leggi del settore agricolo che avevano prodotto forte malcontento nel suo Paese. “Oggi sono venuto a dirvi, a tutto il Paese, che abbiamo deciso di ritirare tutte e tre le leggi agricole”, ha dichiarato venerdì scorso. “Nella sessione del parlamento che inizierà alla fine di questo mese, completeremo il processo costituzionale per abrogare queste tre leggi agricole”, ha proseguito. Il premier ha anche aggiunto che le norme fossero state portate avanti con delle buone intenzioni, ma ha al contempo lasciato intendere di non essere stato capito.
Ricordiamo che queste tre leggi erano state introdotte a settembre del 2020 e che avevano fondamentalmente lo scopo di deregolamentare il settore agricolo. Un elemento che aveva suscitato fortissime preoccupazioni tra gli agricoltori, scatenando delle gremite proteste che sono andate avanti per numerosi mesi. In particolare, una delle leggi conferiva agli stessi agricoltori la possibilità di vendere i propri prodotti direttamente ai grandi commercianti e rivenditori: una misura che, secondo i critici, avrebbe lasciato scarsissimo potere contrattuale ai piccoli contadini, mettendoli così in balìa dei potentati economici.
La domanda che molti si pongono è perché Modi abbia deciso di fare un passo indietro: una mossa piuttosto insolita per un leader dal temperamento ferreo come il suo. Secondo molti, il premier sarebbe stato principalmente mosso da considerazioni di natura elettorale. Il blocco degli agricoltori detiene infatti, sotto questo aspetto, una notevole influenza in India. L’agricoltura costituisce circa il 15% dell’economia nazionale e oltre i due terzi degli agricoltori del Paese possiedono meno di un ettaro di terra. In quest’ottica, non va trascurato che, all’inizio del prossimo anno, si terranno elezioni in importanti Stati indiani come l’Uttar Pradesh e il Punjab: Stati in cui il peso elettorale dei contadini risulta particolarmente rilevante. Tra l’altro, queste leggi avevano reso il premier significativamente impopolare tra i sikh: un motivo in più quindi per cercare di placare le acque in vista delle imminenti elezioni.
Purtroppo per Modi, non sembra che i dimostranti abbiano troppa intenzione di fare un passo indietro. “L’attesa è stata lunga ma, alla fine, la vittoria è stata nostra. La lotta non sarà finita fino a quando le leggi non saranno formalmente abrogate in parlamento e la nostra richiesta di una garanzia legale del prezzo minimo di sostegno per i raccolti sarà soddisfatta”, ha dichiarato Darshan Pal della Krantikari Kisan Union. “Le famiglie degli agricoltori che hanno perso la vita nelle proteste devono ricevere un risarcimento finanziario. Abbiamo perso oltre 600 agricoltori durante questa agitazione”, ha proseguito.
Insomma, le proteste probabilmente proseguiranno, mentre – come è stato notato da vari analisti – questo passo indietro ha politicamente indebolito l’immagine di Modi, storicamente improntata alla figura dell’uomo forte. Un Modi che aveva già visto la sua leadership subire un duro colpo a causa dei problemi nella gestione della pandemia. Un Modi che, anche sul piano internazionale, ha le sue difficoltà: l’ascesa al potere dei talebani lo scorso agosto ha rappresentato infatti una doccia gelata per Nuova Delhi. Certo, è ancora presto per dire che il premier indiano sia prossimo al tramonto politico. Tuttavia la situazione è per lui complicata, soprattutto se si pensa al fatto che, nel 2019, era stato nettamente riconfermato alle elezioni generali. Il suo futuro, insomma, resta incerto.
