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Javier Milei: l’uomo che vuole liberare l’Argentina

Javier Milei: l’uomo che vuole liberare l’Argentina

Dopo avere trionfato alle primarie dello scorso 12 settembre, è lui il volto nuovo nella politica del Paese sudamericano. Brusco e impulsivo, esperto di economia, con un linguaggio colorito che piace alla gente, punta a vincere le Presidenziali del 2023. La sua ricetta: meno Stato, meno tasse, meno burocrazia e più poteri individuali. Ma anche droga libera e sì ai matrimoni tra coppie omosessuali.


«Non sono venuto per guidare pecore ma per risvegliare leoni». È questo lo slogan di Javier Milei, il volto nuovo della politica argentina che, dopo avere stravinto le primarie del 12 settembre scorso nel Paese del tango, si è garantito (a meno di stravolgimenti il prossimo 14 novembre) un seggio alla Camera dei deputati con quasi il 14 per cento dei voti in quel di Buenos Aires. Un’enormità se si pensa che a inizio 2021 il suo partito la Libertà Avanza – ispirato alle ricette economiche della scuola austriaca di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises – non esisteva nemmeno.

Ma chi è Milei? È una sorta di Sgarbi della politica argentina, solo che al posto della storia dell’arte conosce a menadito l’economia. E la padroneggia a livelli così elevati che quando, a fine 2019, l’attuale presidente Alberto Fernández vinse le elezioni e circolava come papabile per il dicastero dell’Economia il nome di Guillermo Nielsen, quest’ultimo lo sondò come possibile presidente della Banca centrale argentina. Lui però rispose: «No, grazie. Sono amico di Guillermo ma gli ho spiegato una cosa molto semplice: io la Banca centrale la chiuderei seduta stante».

Anzi, la farebbe «esplodere» come è solito ripetere quando va, spesso, in televisione. Già perché Milei, che ha scritto decine di testi di economia di successo, uno dei quali dal titolo significativo Libertà, libertà, libertà (un chiaro riferimento all’inno argentino), è a favore di una riforma finanziaria radicale per eliminare il sistema della riserva frazionaria e creare un modello di free banking, e di fatto «proprio per chiudere la Banca centrale argentina».

Obiettivo? Mettere fine all’elevata inflazione di cui storicamente soffre il suo Paese, «inflazione che è la tassa più iniqua che esiste, perché si mangia il 25 per cento del potere d’acquisto della classe più povera e da sola s’ingoia ogni anno il 5 per cento del Pil».

Al di là dei tecnicismi da economista, Milei è oggi la principale novità nel viscoso mondo politico argentino e, forse anche per questo, è riuscito a creare una terza via «liberale e libertaria» in pochi mesi, rompendo il duopolio storico che dagli anni 40 del secolo scorso divide il Paese. Ovvero i peronisti da un lato, incarnati oggi dalla versione di sinistra, il kirchnerismo rappresentato dal partito Fronte per tutti; e gli anti-peronisti dall’altro, sotto la coalizione di Uniti per il cambiamento dell’ex presidente centrista Mauricio Macri. Quando gli si chiede come mai abbia avuto così tanto successo nonostante una campagna elettorale austera e praticamente «fatta in casa», Milei sornionamente spiega: «Siamo la sola alternativa liberale in un Paese in cui, dopo decenni di socialismo, oggi vige la regola del “fifty fifty”, ossia il 50 per cento di inflazione e il 50 per cento di poveri. È solo un primo passo verso le elezioni vere, quelle del prossimo 14 novembre. Poi, se la gente lo vorrà, verso le Presidenziali del 2023. Vedremo se la popolazione aspirerà a tornare al liberalismo di fine Ottocento, quando l’Argentina era la maggior potenza mondiale, o se vorrà continuare con l’attuale casta politica, corrotta e ladrona, per diventare da qui a 50 anni la più grande “villa miseria” del mondo, come a Baires chiamano le favelas».

Filosoficamente Milei è un «minarchista», cioè sogna che lo Stato si occupi solo di due cose: amministrare la giustizia e garantire la sicurezza ai cittadini. Certo, questo 50enne ex portiere di calcio – del Chacarita, arrivò quasi a giocare in serie A – ed ex cantante rock dalla capigliatura sempre spettinata che ama indossare giacche di pelle, si considera anche un anarco-capitalista, ma negli ultimi mesi ha fatto un’evoluzione obbligata, volendo entrare in Parlamento e un domani, chissà, alla Casa Rosada. Stato sì, dunque, ma al minimo e libertà individuali invece al massimo, per «liberare gli “animal spirits” del mercato».

Altri punti del suo programma: l’eliminazione della spesa pubblica improduttiva e della corruzione, che da sola si mangia ogni anno un altro 5 per cento di Pil argentino. In tal senso, Milei si è impegnato a semplificare la struttura burocratica del suo Paese e a ridurre il carico fiscale «oggi pari a oltre il 70 per cento». «Se mai andrò al potere mi impegno a non creare nuove tasse, a non aumentare quelle esistenti e anzi a lavorare per ridurle».

Di certo c’è che Javier, nonostante non sia più un ragazzino, «è amatissimo dai giovani di ogni classe sociale che per questo lo hanno votato in massa» spiega a Panorama Carlos Maslatón, guru della finanza e delle criptomonete, avvocato e giornalista che è il suo consigliere politico più ascoltato. «Oggi in Argentina i giovani non si identificano più con le idee della sinistra ma sono sempre più vicini al liberalismo, e stiamo assistendo a un nuovo risveglio liberale in una società dominata dal socialismo, dallo Stato, dai sussidi, dalle tariffe, dal controllo dei prezzi persino della carne e da una delle inflazioni più alte al mondo». Maslatón ha conosciuto Milei nel 2014, quando un editore importante di Buenos Aires gli segnalò per il programma di radio che conduceva «questo giovane economista che aveva molte cose interessanti da dire». Da allora sono inseparabili.

Il nuovo movimento di Milei che spariglia le carte del dualismo argentino «peronismo-antiperonismo» si presenta come apertamente di destra in termini di economia, ma liberale per quanto concerne i comportamenti individuali, a cominciare dalla liberalizzazione delle droghe («se uno vuole uccidersi, liberissimo»), e dal concetto che «il matrimonio è solo un contratto, se gli omosessuali vogliono contrarlo, lo facciano».

A differenza del trumpismo negli Stati Uniti e del bolsonarismo in Brasile, Milei non incorpora la religione nei suoi discorsi né ha alcun rapporto con i militari. Inoltre, non è spaventato dall’immigrazione e mostra un profilo moderno, difendendo la libertà sessuale e individuale, ma criticando le «quote per le minoranze, rosa o indigene che siano» e i discorsi «collettivisti» del neo-femminismo e dei gruppi Lgbt.

Il suo stile è invece abbastanza simile a quello di Donald Trump, nel senso che parla tanto, è impulsivo, istrionico e talvolta stravagante. In un dibattito tv, lo scorso agosto, ha chiamato il sindaco di Buenos Aires, Horacio Rodríguez Larreta (un politico di centrodestra vicino a Macri) un «sinistrorso di merda» ed è solito usare parolacce, come qualsiasi argentino nato, come lui, a inizio anni Settanta. Sulle ragioni della crescita dei libertari, come Milei stesso definisce i suoi, «è una combinazione di fattori. C’è una grande stanchezza delle persone nei confronti della casta politica, che è peggiorata con la pandemia. I politici hanno privilegi e usano il potere per opprimere i cittadini onesti».

E poi ci sono i giovani che a detta sua si identificano con lui perché in continua ribellione contro l’establishment: «Credono che la ribellione oggi debba essere liberale, e i giovani, rispetto agli over 50enni, sono stati esposti per meno tempo alla macchina del lavaggio del cervello sinistrorsa dell’istruzione pubblica» sostiene. Riuscirà a rivoluzionare in senso liberale l’Argentina? Milei lo spera anche perché, assicura, «oggi lo status quo è di sinistra mentre la rivoluzione liberale è qualcosa di naturale. Il modo in cui mi esprimo, duramente, senza eufemismi, può crearmi problemi, ma le persone apprezzano il contenuto più della forma».

Del «pericolo Milei» è consapevole il presidente Alberto Fernández, che conoscendolo bene (i due erano soliti pranzare insieme sovente sino a qualche anno fa) lo teme molto. Un presidente sempre più in caduta libera nei sondaggi, soprattutto dopo una foto, apparsa sui media, che lo ritrae mentre vìola un suo decreto di quarantena per celebrare il compleanno della compagna. Fernández oggi è messo all’angolo dalla sua pessima gestione dell’economia e della pandemia che in Argentina ha già causato 120 mila morti, inducendo i parenti delle vittime a occupare la storica Plaza de Mayo e a depositarvi ognuno una pietra, con sopra il nome dei loro congiunti deceduti per il Covid-19.

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