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L’intelligenza artificiale mette a rischio le elezioni del mondo libero

L’intelligenza artificiale mette a rischio le elezioni del mondo libero

Dalla Gran Bretagna all’India, dal Messico all’Indonesia, e poi l’Europa e gli Stati Uniti. Tra gennaio e novembre ci saranno elezioni per due miliardi di persone nel «mondo libero». Abbastanza da cambiare il corso della storia contemporanea. Ma stavolta l’influenza dell’Intelligenza artificiale e delle fake news su scala globale rappresentano un’incognita senza precedenti.


Preparatevi a qualche brutta turbolenza. Preparatevi, perché il 2024 sarà l’anno più denso di appuntamenti elettorali nella recente storia del mondo. La concentrazione è davvero impressionante. In giugno nei 27 Stati dell’Unione europea 427 milioni di elettori andranno alle urne per rinnovare il Parlamento di Bruxelles, mentre in novembre 200 milioni di americani sceglieranno il successore di Joe Biden. In maggio ci saranno elezioni legislative anche in India, Gran Bretagna e Sudafrica, tre Paesi che assieme valgono oltre un miliardo di elettori. Poi toccherà a Messico e Indonesia, e a due democrazie più fragili come Venezuela e Pakistan. E si voterà pure a Taiwan, l’isoletta da 19 milioni di elettori la cui indipendenza, da tempo minacciata dalla Cina, incrocia le peggiori inquietudini mondiali.

Il risultato di questa clamorosa sovrapposizione elettorale è inedito e sconvolgente: tra gennaio e novembre, in quello che chiamiamo «mondo libero», saranno chiamate al voto oltre due miliardi di persone. Senza dimenticare altre due elezioni, a loro modo diverse e particolari, che coinvolgono l’Ucraina e la Russia. Malgrado la guerra, e nonostante la sospensione del voto stabilita dalle leggi marziali, a Kiev Volodymyr Zelensky sta accarezzando l’idea di tenere le presidenziali nel marzo 2024 e le legislative in ottobre. Mentre in marzo si voterà dall’altra parte della barricata, a Mosca: qui, però, l’ennesima conferma della presidenza di Vladimir Putin è data ancor più certa che in passato, grazie alla compressione delle libertà avvenuta nei 20 mesi trascorsi proprio dall’invasione dell’Ucraina. Il problema, com’è ovvio, non riguarda la concentrazione elettorale. Bensì le pressioni indebite che le grandi autocrazie, soprattutto la stessa Federazione russa e la Cina, eserciteranno su gran parte delle elezioni del 2024, se non su tutte. Il voto democratico rischia ovunque di essere inquinato da «fake news», e di essere influenzato a distanza dalla propaganda subliminare versata nei social network.

Questo è già avvenuto in passato, ma nel 2024 l’interesse di Pechino e di Mosca a condizionare le opinioni pubbliche chiamate al voto è ancora più alto. Basta pensare alle elezioni europee, che in base a tutti i sondaggi potrebbero spodestare la maggioranza di centrosinistra da decenni alla guida del Parlamento di Bruxelles, e spostarne l’asse molto più a destra. Basta pensare alla polarizzazione politica che dal 2016 avvelena gli Stati Uniti, e in meno di 10 anni ha creato divisioni inconciliabili tra gli elettori democratici e repubblicani, e potrebbe trasformare le prossime presidenziali in un conflitto capace di far impallidire l’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021. Ma le due grandi autarchie hanno un preciso interesse a giocare pesante anche sull’ambiguità dell’India o dell’Indonesia, due Paesi oggi in precario equilibrio tra l’alleanza con Washington e con Pechino.

E il rischio d’ingerenze esterne non coinvolge solo i grandi appuntamenti elettorali, quelli da centinaia di milioni di elettori. Ogni elezione del 2024 ha valore strategico. Il Sudafrica potrebbe abbandonare il suo tradizionale ruolo di nazione «non allineata» per continuare l’avvicinamento alla Repubblica popolare cinese. Mentre Messico e Venezuela potrebbero trasformarsi in due polveriere sociali e l’instabilità politica del Pakistan rischia di farne un nuovo hub globale per il terrorismo islamico. Ancora più cruciale, se possibile, è il destino politico della piccola Taiwan, la cui economia produce l’80 per cento dei microprocessori usati dal mondo e da tempo è al centro delle mire strategico-militari di Xi Jinping, che vorrebbe inghiottire l’isoletta come un wafer. A Taipei, per le presidenziali del prossimo gennaio, s’è candidato il fondatore del colosso elettronico Foxconn, il miliardario Terry Gou, che promette di «aggiustare le relazioni tra le due sponde dello Stretto». Gou, insomma, si presenta come il candidato di Pechino. E non è difficile immaginare quante pressioni la Cina metterà in campo per coartare a suo favore le scelte dei taiwanesi.

Il Brookings Institute di Washington, un centro di studi sulla politica e sulla democrazia globale, prevede che il prossimo anno assisteremo a «un Far West d’informazioni e controinformazioni politiche, capaci di manipolare le opinioni pubbliche globali per la nostra limitata capacità di distinguere il falso dal vero». E segnala che il problema «sarà reso ancora più diffuso e difficile da smascherare grazie alle immagini e ai video generati con l’Intelligenza artificiale». Che l’I.A. riesca a elevare all’ennesima potenza la credibilità delle «fake news» è ormai un dato di fatto. Lo mostrano le immagini perfette (e false, a partire da un Ronaldo che inalberava la bandiera palestinese) che hanno inquinato Twitter-X poche ore dopo l’attacco terrorista con cui il 7 ottobre Hamas ha sconvolto Israele e il mondo. Un mese fa, uno studio di Microsoft e Università del Maryland ha denunciato la mano dell’intelligence cinese dietro la propagazione online della falsa notizia che i devastanti incendi scoppiati d’estate nelle isole Hawaii fossero il frutto di un esperimento militare americano. Sui social e di mezzo mondo, in troppi hanno abboccato alla tesi che i roghi fossero il prodotto di una nuova «arma climatica» testata dal Pentagono, bugia efficacemente amplificata da video e fotografie create con l’I.A.

Nei mesi precedenti, la Russia aveva invaso i social network mondiali con post che suggerivano dati gonfiati sulla spesa statunitense a sostegno dell’Ucraina, e diffondevano la tesi che quei dollari dovessero essere meglio spesi nell’interesse degli americani. È un gioco che dura da tempo. Uno studio dell’Università di Cambridge ha rivelato che nell’imminenza dell’invasione dell’Ucraina, 24 ore prima del 24 febbraio 2022, gli utenti iscritti a Twitter avevano fatto un balzo di oltre 50 mila – contro una media giornaliera attorno ai 10 mila – e quasi tutti arano «profili non umani», favorevoli a Putin. Dal 2022 l’Intelligenza artificiale ha fatto passi da gigante. E le grandi dittature vi hanno investito molto per scopi propagandistici. A dimostrarlo basta quel video – tanto efficace quanto falso – in cui Biden avrebbe annunciato la reintroduzione della leva obbligatoria per spedire i giovani americani a combattere in Ucraina. La disinformazione è potente, insomma, e nell’anno record delle elezioni rischia di avere effetti disastrosi. Anche perché le contromisure si limitano a modesti palliativi. Google da novembre ha stabilito che «chiederà» ai suoi utenti su YouTube di «segnalare gli annunci politici che utilizzino immagini, audio o testi creati con l’I.A.». Di certo non basterà.

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