Nel gennaio 2023, il borgo di Lützerath, land tedesco del Nord-Reno-Westfalia, è stato assediato da una tesissima manifestazione ambientalista per impedire che l’intero piccolo comune, abitato da poche centinaia di persone, venisse raso al suolo per far posto a una nuova miniera di carbone. Ancora: a Plattling, in Baviera, una cartiera in rovina ha dovuto chiudere due anni fa, lasciando senza lavoro 500 persone: una vittima degli alti costi di produzione, e un simbolo della «deindustrializzazione» della Germania, che i conservatori hanno attribuito direttamente ai Verdi.
Si tratta di due episodi che hanno messo a nudo le contraddizioni dentro il partito dei Grünen, componente decisiva nell’ex esecutivo di Berlino. Promesse sulla transizione ecologica disattese dalla dura realtà del governo in una grande nazione industriale. Il risultato è stato il flop alle recenti elezioni tedesche del partito ambientalista (da quasi il 15 a circa il 12 per cento dei voti, con la leader ed ex ministro degli esteri Annalena Baerbock che non sarà più capogruppo del partito). Perché, come dice a Panorama Hannah Corsini del Dipartimento di analisi politica internazionale dell’Università di Cambridge, «essere membro nella coalizione di governo al momento di un’elezione corrisponde, come minimo a una diminuzione del 1,6 per cento nella quota di voto di un partito verde».
D’altra parte, negli ultimi mesi, i Verdi sono stati estromessi dal governo in Austria, Belgio e Irlanda. Né entreranno nella coalizione a cui lavora in Germania il cristiano-democratico Friederich Merz, pur avendo ottenuto una garanzia di cento miliardi di euro in investimenti per il clima nei prossimi 12 anni, a fronte del cambio della Costituzione che permetterà di fare debito al neo cancelliere. Non è andata meglio in Olanda all’ex commissario al Green deal, l’iper-ambientalista Frans Timmermans, sconfitto dalla ultradestra di Geert Wilders. Ma anche alle elezioni europee dello scorso giugno, la formazione ecologista, dopo quella del gruppo dei liberali di Renew, è quella che è andata peggio rispetto al voto del 2019. I Verdi sono passati da quarta a sesta forza nel Parlamento Ue, lasciando il posto alle coalizioni di estrema destra. Sono proprio i giovani – il motore dell’ascesa della formazione – che adesso paiono i più disillusi dai troppi fallimenti di un movimento ideologico e poco pragmatico (sempre alle ultime elezioni tedesche, i giovani che hanno votato i Grünen sono stati l’11 per cento contro il 24 del precedente voto).
Prova ne sia anche il progressivo disimpegno di un’icona del movimento, Greta Thunberg, fondatrice del Friday for future, oggi ventiduenne. Da quando la pasionaria del clima si è diplomata, sembra aver perso la voce. La sua ultima apparizione risale al 6 aprile 2024, in Olanda, dove è stata anche fermata dalla polizia.
Ma il presidente dei Verdi europei Vula Tsetsi con Panorama sostiene che il suo movimento rappresenta ancora il futuro per i giovani: «È preoccupante vedere come i partiti di estrema destra utilizzino i social per farsi strada tra i giovani. E il rapporto di Elon Musk con questa tendenza politica europea ha di sicuro un peso. La nostra ambizione è quella di tornare in sintonia con un elettorato più giovane. L’attenzione al clima e alle politiche sociali come l’affitto e l’edilizia abitativa dimostra che siamo il movimento politico più preoccupato per il loro futuro».
È indubbio che, rispetto a quattro o cinque anni fa, il mondo abbia avuto un’accelerazione e l’errore dei Verdi sia stato quello di non capire che le priorità degli europei siano diventate altre. Il successo delle destre in tutto il Vecchio continente si spiega anche così, come sostiene Markus Kollberg, politologo all’Università Humboldt di Berlino: «Gli elettori di sinistra sono interessati principalmente agli aspetti ambientali dello sviluppo. Chi vota per schieramenti conservatori si preoccupa dei prezzi dell’energia, della sicurezza di essa e del suo impatto sulla crescita economica».
Il clima scende al quarto posto nella lista degli argomenti «forti», secondo l’ultimo sondaggio dell’Eurobarometro di fine 2024. Ed è anche per questo che, come afferma Tarik Abu Shadi, ricercatore di Economia politica all’università di Oxford, la questione ambientale sembra essere diventata un tema di maniera o, peggio, di moda: «Il reddito è fortemente collegato alle opinioni sulla crisi climatica. Il sostegno all’azione è convinto non solo tra coloro che appartengono a gruppi di social più elevati. Anche le persone in condizioni economiche precarie e in povertà sono preoccupate per l’emergenza climatica. Ma l’azione su questa dev’essere collegata a politiche che migliorino la vita delle persone. Altrimenti perde subito di interesse».
Negli ultimi anni, l’Unione europea si è affermata come la frontiera più ambiziosa nella lotta al riscaldamento globale. Lo ha fatto attraverso una «road map» di obiettivi per ridurre le emissioni, prepararsi all’abbandono dei motori a combustione, la spinta per il recupero delle aree naturali degradate e la riduzione dell’impatto dell’agricoltura sull’ambiente. Provvedimenti giudicati eccessivamente ideologici e che ora la Commissione intende rivedere completamente. In questa nuova scala di importanza, la forza di attrazione dei Verdi si è di molto indebolita o, peggio, li fa apparire fuori dal mondo. Per tanti elettori, i verdi sono cittadini di un’élite che ignorano i costi della transizione verso uno stile di vita meno dannoso per il clima.
E in Italia? I Verdi sono sempre stati un movimento poco numeroso e incisivo, tranne qualche limitata eccezione. Secondo il centro studi Ecco climate, due italiani su tre ritengono i leader politici (nazionali e locali) inaffidabili quando parlano di ambiente. I Verdi nel nostro Paese sono una formazione politica dal 1987, anno della loro prima partecipazione alle elezioni (raccogliendo quasi un milione di voti). A inizio anni Duemila potevano contare 12 deputati e altrettanti senatori; ora Europa verde di Angelo Bonelli può contare su sei deputati e un senatore (nel 2022 il partito green alleato con la sinistra ha raggiunto il 3,5 per cento). In realtà, il caso italiano è più rappresentativo di quanto non appaia a prima vista. «Spesso considerato come un laboratorio che in Europa sperimenta offerte politiche innovative, l’Italia suggerisce il futuro dei partiti verdi di fronte all’immensa sfida della transizione ecologica» spiega ancora la ricercatrice Hanna Corsini. «La situazione attuale dei Verdi nel Paese è quella che probabilmente attende il movimento nel continente: l’irrilevanza politica».