L’Italia che sogna Elly Schlein somiglierebbe molto alla Spagna. Visti i fiaschi di Emmanuel Macron e dei socialisti francesi, dei laburisti inglesi e dei socialdemocratici tedeschi, la segretaria dem, nel suo pantheon, accanto a Maurizio Landini, ha riservato un posto a un leader mediterraneo: Pedro Sánchez.
Economista madrileno, 53 anni, spigliato, piacente. Il numero uno del Partito socialista operaio è premier dal 2018, quando spodestò Mariano Rajoy e i popolari. Un anno dopo, sotto la sua guida, il Psoe tornò a vincere le elezioni; non accadeva da 11 anni. Eppure, i governi di Sánchez sono stati più il frutto di scaltre alchimie politiche, che di entusiaste investiture popolari.
Il presidente del governo è sopravvissuto a una difficile coabitazione con Podemos (un Movimento 5 stelle che ha rifiutato la svolta borghese); alle temporanee dimissioni nel 2023, in seguito alla bocciatura delle amministrative; a una battaglia con la magistratura; e alla recente rottura con l’indipendentista catalano Carles Puigdemont, che dopo una lite sull’amnistia per i secessionisti, gli ha ritirato il sostegno dei suoi sette deputati di Junts (a rischio c’è l’approvazione del Bilancio). Il divorzio porterebbe la coalizione progressista a 172 seggi, contro i 176 necessari per la maggioranza assoluta.
Nubi sul “paradiso spagnolo”
Sul paradiso spagnolo vagheggiato dalla segretaria piddina, dunque, incombono nubi nere. Sánchez, che ha a disposizione i suoi 121 seggi più i 26 della sinistra radicale di Sumar, erede di Podemos, aveva dovuto stringere un patto scellerato con gli indipendentisti: ampie concessioni alle regioni in cambio dell’appoggio esterno. Le sigle autonomiste occupano 25 seggi nel Congresso dei deputati. Per la capofila di uno schieramento che accusa la legge Calderoli di compromettere l’unità nazionale, venerare l’uomo che sui fautori della secessione ha ipotecato la legislatura è una bella contraddizione.
Gli elettori, pian piano, stanno voltando le spalle all’idolo della sinistra italica. Il barcellonese Instituto Dym ha diramato un sondaggio freschissimo: popolari al 33%; socialisti al 27%; conservatori sovranisti di Vox al 16%; Sumar al 6%. Le destre, unite, sarebbero in vantaggio.
Economia: luci e ombre
L’esperimento iberico ha i suoi limiti. Persino nell’economia, settore nel quale Sánchez sfoggia risultati incoraggianti. I conti pubblici sono in ordine, con il rapporto debito/Pil sceso dal 124% del periodo pandemico al 103% dello scorso agosto; nel 2025, la crescita dovrebbe attestarsi sul 2,7%, a fronte dello 0,4% italiano. Nel 2026 il Pil rallenterebbe, ma salirebbe lo stesso del 2%; quello di Roma non dovrebbe superare il +0,8%. I salari nominali iberici, stando ai dati Eurostat, dal 2024 hanno superato leggermente i nostri: 33.700 l’anno contro 33.523 per un impiego a tempo pieno. È soprattutto il potere d’acquisto a essere migliore: Madrid ha patito molto meno di noi il caro bollette. Ma c’era il «trucco».
Bruxelles ha permesso a iberici e portoghesi di beneficiare di un’«eccezione» sul metodo di calcolo dei costi dell’energia nel mercato europeo, dal quale la Spagna, allo scoppio della guerra in Ucraina, si era già defilata, sia per il massiccio sviluppo delle rinnovabili sia per la scarsa dipendenza dalla Russia.
L’eccezione energetica e i limiti del fotovoltaico
Madrid vantava un elevato potenziale nella rigassificazione e acquistava Gnl anziché rifornirsi da Mosca. Così, il governo, a differenza che nel resto del continente, ha potuto imporre un tetto nazionale al prezzo del gas, la voce più onerosa, senza violare le regole comunitarie. La deroga non sarà stata una panacea, ma di sicuro una manna dal cielo per imprese e famiglie. Miracolo dei pannelli solari, quindi? Dipende. La Spagna socialista, attraverso la sua vicepresidente della Commissione Ue, Teresa Ribera, è una paladina della transizione ecologica. Ma il fotovoltaico dà e toglie. Ricordate il clamoroso blackout nazionale del 28 aprile 2025? Dai report ufficiali si evince che a cedere erano state le reti, incapaci di gestire i picchi (and i cali) di tensione generati dalle fonti pulite. Risultato: subito dopo l’incidente, per stabilizzare il sistema, i socialisti dalla coscienza verde hanno «rifossilizzato» il mix energetico statale, aumentando di circa sei punti percentuali la quota di gas. A proposito: il Paese mantiene attivi sette reattori nucleari. Sánchez giura che li dismetterà nel giro di dieci anni; intanto, continua a sfruttarli.
Salario minimo e mercato del lavoro
E il salario minimo? Altra bandiera della Schlein, è una medaglia con due risvolti. Gli analisti affermano che, nella penisola iberica, il provvedimento ha contribuito a sostenere i redditi più bassi e ha spinto su anche le retribuzioni mediane. Ma tante piccole imprese, per reagire all’impennata dei costi operativi, hanno tagliato posti di lavoro, oppure convertito contratti a tempo pieno in part time. Nonostante il calo, la disoccupazione rimane elevata, all’11,4%. A fornire manodopera a buon prezzo ci pensano le politiche migratorie della sinistra, adottate ovviamente in nome dell’umanitarismo, con una carità dai metodi astuti: una parte consistente del peso degli sbarchi è stata scaricata sulle Canarie, rette da una coalizione di centrodestra e poste a una distanza di sicurezza dalla penisola iberica. Mentre non risulta che il piglio muscolare delle autorità, nelle enclave marocchine di Ceuta e Melilla, si sia mai ammorbidito.
Ironia della sorte: è vero che Sánchez ha aumentato per due volte il salario minimo, a 900 euro mensili e poi agli attuali 1.184. Sapete però chi lo introdusse, nel 1963? Francisco Franco.
Memoria storica e “cancel culture” iberica
E proprio attorno all’eredità del regime è maturata una specie di cancel culture alla paella. Non si tratta solamente della traslazione delle spoglie del caudillo e del fondatore della Falange, Miguel Primo de Rivera, espulsi dai mausolei «fascisti». Ai sensi della ley de memoria democrática, approvata nel 2022, è attesa a breve la pubblicazione di una lista di simboli da «resignificare», per privarli del legame storico con il franchismo. Un’alternativa bizzarra allo scellerato abbattimento delle statue, che andava di moda qualche anno fa. Tra i monumenti da sottoporre al trattamento orwelliano, ci saranno archi neoclassici e piazze intitolate a esponenti della dittatura.
La ley trans e le derive Lgbt
Con la ley trans, inoltre, l’esecutivo di Sánchez ha abbracciato l’estremismo Lgbt. La norma consente il cambio di sesso sui documenti con una banale autodichiarazione, a partire dai 16 anni; oppure, a partire dai 14, con il consenso dei genitori e, dai 12, con il via libera di un giudice. Il tutto, in assenza di una diagnosi di disforia di genere. Le conseguenze indesiderate della riforma: dall’invasione degli spazi femminili da parte di maschi biologici, all’imprudente semplificazione dell’accesso ai trattamenti ormonali per i giovanissimi. Un esempio da non imitare.
Il ruolo internazionale: ambiguità e calcoli politici
Le sterzate a sinistra hanno condizionato pure il ruolo internazionale della Spagna. Madrid aveva riconosciuto la Palestina nel 2024; non ha visto l’ora di denunciare il «genocidio» a Gaza; ha imposto embarghi sia sul trasferimento di armi a Israele, sia su quello di carburanti, materiali difensivi e merci provenienti dagli insediamenti illegali. Poi, però, il premier ha accolto, con alcuni distinguo, il piano di pace di Donald Trump. La Spagna sostiene la causa ucraina; ma Sánchez, approfittando della distanza del Paese dal fronte caldo, ha rifiutato di sottoscrivere l’impegno chiesto dagli Usa a investire il 5% del Pil nella difesa.
Dopodiché, in Europa, i socialisti sposano lo stesso il piano di riarmo di Ursula von der Leyen. La contropartita della condotta ambigua è una certa marginalità sullo scacchiere.
Le inchieste giudiziarie: un assedio alla “Berlusconi”
Ma le più grosse grane, Sánchez le ha con le toghe. Ad aprile 2024 fu aperta un’inchiesta sulla moglie, Begoña Gómez, per vari reati, tra cui la corruzione; a gennaio 2025 era finito indagato, per traffico d’influenze connesso a un suo incarico pubblico, il fratello David; il caso, man mano, si era esteso a diversi esponenti del Psoe; a settembre, la consorte di Sánchez è stata rinviata a giudizio; a novembre, è stato fissato il processo a David, che inizierà a febbraio 2026; infine, è stato condannato il procuratore generale, nominato dal governo di sinistra nel 2022, per una fuga di notizie alla stampa. Un accerchiamento giudiziario da ventennio berlusconiano. Se vivesse in Spagna, alla Schlein toccherebbe dare ragione a Carlos Nordios…
