Il sommario potrebbe essere: Il disinteresse di Donald Trump per quello che accade e i timori della Francia in prima fila nel Sahel per combattere il terrorismo.
Il recente colpo di Stato, verificatosi in Mali, rischia di destabilizzare ulteriormente la già precaria situazione politica presente nel Sahel. La giunta attualmente al potere ha proposto un periodo di transizione militare della durata di tre anni. Tutto questo, con possibili ripercussioni internazionali abbastanza rilevanti. Non dimentichiamo che, tra gli altri Stati, il Mali confini con Niger e Burkina Faso: tre aree che riscontrano enormi problemi in termini di terrorismo islamista. In questo quadro delicato, le principali ripercussioni potrebbero aver luogo per Francia e Stati Uniti.
Venerdì scorso, Washington ha reso noto di aver sospeso la cooperazione militare con Bamako, proprio in risposta al golpe contro il presidente Ibrahim Boubacar Keita. «Lasciatemi dire categoricamente che non c’è ulteriore addestramento o sostegno per le forze armate maliane, punto. Abbiamo fermato tutto fino al momento in cui potremo chiarire la situazione», ha dichiarato ai giornalisti l’inviato statunitense per il Sahel, J. Peter Pham. Quest’ultimo non ha inoltre escluso che gli Stati Uniti possano decidere un taglio degli aiuti al Mali, mentre lo stesso Pentagono venerdì ha parlato di «ribellione».
Non dimentichiamo infatti che il capo della giunta militare attualmente al potere nel Paese africano sia il colonnello Assimi Goita, militare che – in passato – aveva preso parte all’addestramento con lo U.S. Africa Command. «Un atto di ribellione in Mali è fortemente condannato», ha dichiarato il portavoce dello U.S. African Command, il colonnello Christopher Karns. «È un atto che è incompatibile con il ruolo legittimo dei militari nelle società libere e con tutto ciò che viene insegnato nell’esercito americano e nel suo addestramento». Lo stesso segretario di Stato americano, Mike Pompeo, mercoledì ha condannato «fermamente» il colpo di Stato e ha espresso forti preoccupazioni, affermando in un comunicato: «Esortiamo tutte le parti interessate in Mali a impegnarsi in un dialogo pacifico, a rispettare i diritti dei maliani alla libertà di espressione e riunione pacifica e a rifiutare la violenza». Del resto, come riportato da Reuters, Washington non si limita a fornire addestramento militare in Mali contro le forze islamiste, ma si impegna anche ad offrire supporto di intelligence alle truppe francesi lì presenti, nell’ambito dell’operazione Barkhane, volta al contrasto dei miliziani dell’Isis e di al-Qaeda.
In tal senso, è soprattutto l’Eliseo ad essere preoccupato in questi giorni. Nonostante Parigi abbia fatto sapere – lo scorso giovedì – di essere intenzionata a proseguire l’operazione, sono due i principali timori che nutre al momento Emmanuel Macron. In primo luogo, sembra che i dimostranti maliani scesi in piazza abbiano manifestato dei sentimenti antifrancese e filorussi, mentre l’ambasciatore russo in Mali avrebbe già avuto un incontro con i leader della giunta militare. Tutti elementi che portano a sospettare la possibilità di un coinvolgimento di Mosca nel colpo di Stato e che potrebbero al contempo implicare un raffreddamento del Cremlino verso la Cina: quella Cina che mercoledì ha criticato il golpe. In secondo luogo, il capo dell’Eliseo teme un abbandono da parte degli Stati Uniti. Se la situazione generale appare ancora relativamente nebulosa, è tuttavia abbastanza chiaro che Washington potrebbe approfittare del golpe per tirare ulteriormente i remi in barca in relazione allo scacchiere del Sahel. Non dimentichiamo del resto che, lo scorso gennaio, gli americani avessero annunciato l’intenzione di ridurre il proprio impegno militare nell’Africa occidentale, per concentrarsi maggiormente su Russia e Cina. L’idea si inseriva nel tentativo più generale di attuare un parziale disimpegno militare anche da altre aree (come, per esempio, il Medio Oriente). Una proposta che tuttavia a Parigi non era stata ben accolta. «Se gli Stati Uniti decidessero di ritirarsi dall’Africa, sarebbe una cattiva notizia per noi», dichiarò non a caso Macron a gennaio. «Vorrei poter convincere il presidente Trump che la lotta al terrorismo a cui è profondamente impegnato si sta svolgendo anche in questa regione».
Quello che bisognerà quindi capire è se il golpe in Mali favorirà ulteriormente il disimpegno americano dal Sahel. Uno scenario che, almeno nel breve termine, non sembra poi così improbabile. In primis, l’Africa non sembra attualmente al centro delle preoccupazioni dell’amministrazione statunitense. Nel dicembre del 2018, l’allora consigliere per la sicurezza nazionale, John Bolton, aveva proposto un piano per rafforzare la presenza americana in loco, con l’obiettivo di contenere Russia e Cina. Un piano che è tuttavia ben presto finito nel dimenticatoio, soprattutto dopo il siluramento dello stesso Bolton nel settembre del 2019. In secondo luogo, non trascuriamo che – negli Stati Uniti – è tempo di campagna elettorale. E che uno degli elementi su cui ha spesso battuto Trump è stato quello di evitare eccessivi coinvolgimenti militari americani all’estero. Un fattore che potrebbe adesso spingere il presidente a ridurre la presenza statunitense in Mali, approfittando del colpo di Stato.