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Il Conte Bis arriva al bivio tra Usa e Cina

Il Conte Bis arriva al bivio tra Usa e Cina

L’Italia appare una nave senza nocchiere nella tempesta. Troppo esposta al canto delle sirene dagli occhi a mandorla. E troppo poco realista nell’intercettare la volontà dello stato profondo americano. Ma è il momento del redde rationem.


Da che parte sta il governo Conte 2? Nei corridoi delle agenzie governative di Washington se lo domanderanno inevitabilmente, di fronte alle oscillazioni geopolitiche del nostro esecutivo. Nel momento in cui il Regno Unito di Boris Johnson mette al bando Huawei dalla costruzione della rete 5G, il governo italiano continua col rafforzare le relazioni diplomatiche con la Cina e senza limitarne il raggio d’azione geopolitico.

Le nomine nelle società pubbliche di diversi manager simpatetici con Pechino, i silenzi sulle violazioni dei diritti civili a Hong Kong, l’ingresso di fondi cinesi in Cdp e in altre società infrastrutturali negli ultimi anni, il lockdown autoritario alla cinese preso come modello di gestione della pandemia, l’influenza vaticana sul governo nel perseguire il suo obiettivo di evangelizzare l’Asia, sono soltanto la superficie di una politica che anela al Dragone e si allontana dall’America di Donald Trump.

La classe dirigente italiana, e in particolare i componenti di questo governo, continuano a credere che gli americani siano più disinteressati all’Italia di quanto non sia in realtà, e per questo cercano di sviluppare relazioni commerciali con Pechino. Ammaliati dalla scenografia cinese e ripugnati dal rigurgito trumpiano dell’America profonda, i nostri governanti si sono convinti che il prossimo secolo sarà asiatico, o meglio cinese. Quando invece la tecnologia, gli apparati militari, le relazioni diplomatiche indicano che il declino americano è ben di là da venire.

Un’Italia in crisi, ridotta nel suo rango di potenza dai fallimenti in Libia e dalla sudditanza politica e culturale in Europa, cerca una fuga facile attraverso la via della seta. Coltiva la speranza che i nuovi ricchi cinesi possano costruire infrastrutture digitali e portuali sulla penisola, portare investimenti nelle casse delle aziende italiane, rimpinguare la spesa turistica. Si scambia erroneamente il disimpegno americano nel resto d’Europa (Germania) e Medio Oriente, per una dismissione dell’influenza yankee nel nostro Paese.

Gli Stati Uniti non sono più il poliziotto del mondo, ma restano un impero egemone attento a tutto ciò che succede nelle sue propaggini periferiche. Per questo l’Italia, seppure di suo debilitata, è ancora un asset potenziale per gli Stati Uniti: per la sua posizione strategica nel Mediterraneo; per il suo ruolo di contrappeso all’Unione Europea a trazione germanica; per la sua agilità di manovra con Russia e Cina.

Chi guarda a Pechino come nuova potenza egemone a cui legarsi dimentica la nostra dipendenza militare dagli Stati Uniti, la cui presenza numerica di soldati nelle basi italiane è aumentata, e l’influenza della marina a stelle e strisce nel controllo dei mari, incluso il mare nostrum. Così come non si vogliono vedere le crescenti tensioni di Washington con Berlino, la preoccupazione americana per un nuovo impero tedesco che sbilanci l’Europa verso est (Cina e Russia) e s’inserisca nella competizione tecnologica e scientifica (ne sono testimonianza gli attriti ed i protezionismi incrociati sullo sviluppo del vaccino per il Covid-19).

Il rapporto con gli Usa non va letto esclusivamente sotto la luce della nuova guerra fredda con la Cina, ma anche nei rapporti interni all’Europa e sulla base delle cartine militari. La nostra sicurezza rispetto al resto del mondo continua a dipendere ancora dalla Nato, a cui dovremmo contribuire maggiormente come italiani ed europei se necessario. I nostri presidi militari fondamentali sono ancora tutti di matrice statunitense.

Come potrebbe difenderci la Cina, potenza lontana e militarmente poco attrezzata per operare fuori dalla sua sfera asiatica? Per questo motivo non può essere un vantaggio tecnologico limitato, quello del 5G cinese appunto, o l’interesse a sviluppare qualche investimento a determinare quale sia la potenza maggiore, poiché la geografia del potere mondiale è complessa e sfumata. E in quest’ottica il 5G non è soltanto una questione commerciale o di interconnessione digitale, ma militare.

Quali siano le possibilità offerte da questa nuova tecnologia lo spiega il rapporto Defense Applications of 5G Network Technology, pubblicato dal Defense Science Board, comitato federale che fornisce consulenza scientifica al Pentagono: «L’emergente tecnologia 5G, commercialmente disponibile, offre al Dipartimento della Difesa l’opportunità di usufruire a costi minori dei benefici di tale sistema per le proprie esigenze operative». Dati, spionaggio, gestione degli armamenti passeranno da questa nuova infrastruttura.

Come ha rilevato l’analista geopolitico George Friedman, gli Stati Uniti non avranno problemi se l’Italia decidere di cedere alcune partecipazioni dei porti, delle autostrade o di piccole-medie imprese alla Cina. In questo caso, la perdita di asset è un problema soltanto per l’Italia, non per gli Stati Uniti. Le criticità sorgerebbero, invece, se l’Italia cercasse una qualche forma di protezione o condivisione militare con Pechino.

In altre parole, nell’era del 5G e con il permanere dei tradizionali avamposti bellici, è l’elemento militare, della sicurezza, che interessa le agenzie di Washington. Uno Stato in mezzo al guado tra Cina e Stati Uniti non serve a nessuno e lascerebbe l’Italia più debole e scoperta, meno difesa e meno affidabile per tutti gli alleati. La penisola ha uno spazio futuro, anche di manovra verso l’Oriente, che deve essere concordato con l’impero americano.

In questa cornice, s’iscrive il potenziale dell’Italia: filo-americana sul piano geopolitico e militare; capace di instaurare relazioni commerciali con Cina e Russia, pur servendo il sistema di Washington; portaerei e catena logistica nel mediterraneo; capofila dell’«Europa calda», mediterranea, in bilanciamento all’Europa fredda, germanica. Tutto questo è possibile, in potenza e con un nuovo accordo con l’anglosfera, poiché allo stato attuale l’Italia appare una nave senza nocchiere in gran tempesta, troppo esposta all’illusorio canto delle sirene dagli occhi a mandorla e troppo poco realista nell’intercettare le volontà dello stato profondo americano.

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