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I fondi Ue servono ora: con Polonia e Ungheria meglio trattare

I fondi Ue servono ora: con Polonia e Ungheria meglio trattare

Non esiste in Europa una Costituzione all’americana, nonostante la vertiginosa crescita del potere europeo negli ultimi vent’anni rispetto ai singoli stati. In secondo luogo, se lo Stato di diritto è così fondamentale come sostengono i leader dei partiti che governano l’Unione Europea perché mercificarlo legandolo all’erogazione dei fondi? L’Italia in questa situazione di impasse potrebbe giocare un ruolo importante, di cesura tra i Paesi del nord e quelli dell’Est. Servirebbe però un minimo di ragion di stato in più e meno schematismi ideologici.


Non c’è traccia dell’Italia nella trattativa europea con Ungheria e Polonia, che hanno messo il veto al bilancio Ue contro il meccanismo che lega il rispetto dello Stato di diritto all’utilizzo dei fondi. L’incidente quantomeno ritarderà l’erogazione delle risorse del Recovery fund, che servono disperatamente a un Paese in recessione, ancora sotto lockdown e con una finanza pubblica precaria. Il governo italiano, insomma, è quello che ha più da rimetterci dal congelamento europeo, ma è assente da una trattativa in cui sembra giocare solamente Angela Merkel. Servirebbe, invece, un contributo di Roma in nome della ragion di Stato. Che Ungheria e Polonia abbiano un ordine liberal-democratico più fragile di altri Paesi è evidente e non è scoperta di oggi. Le due nazioni vengono dalla travagliata uscita da una quasi cinquantennale dittatura socialista, che ha lasciato i propri segni sulla psicologia e sulla cultura delle classi politiche polacche ed ungheresi. Democrazie giovani, con un forte ethos nazionalista ed una tradizione liberale poco radicata rispetto all’Europa occidentale. Un problema noto, di cui però nessuno si è curato quando quindici anni fa si è deciso di allargare l’Unione all’Europa orientale per ragioni politiche e di mercato. Voler cercare di imporre oggi dall’esterno delle «condizioni costituzionali» ai due Paesi appare francamente poco credibile.

E ancor peggiore si mostra l’idea di legare il rispetto dello Stato di diritto all’erogazione dei fondi europei. In primo luogo, voler mettere una camicia di forza alle istituzioni polacche ed ungheresi rischia di scatenare la reazione opposta rispetto all’obiettivo che ci si propone, cioè una radicalizzazione ulteriore della maggioranza dell’elettorato. D’altronde, se per un tempo così lungo si è dovuto fare i conti con il vincolo esterno dell’Urss potrebbe essere difficile per i cittadini polacchi e ungheresi accettare una nuova imposizione esterna sul proprio ordine politico, per quanto benefica ed economicamente vantaggiosa essa possa apparire ai nostri occhi. Ad una erosione di sovranità percepita come eccessiva si risponderebbe con un rinnovato e pericoloso euroscetticismo. Per altro la richiesta di aggiustamento viene da un complesso istituzionale, quello europeo, che non fonda nemmeno su una vera e propria costituzione. E di questa costituzione se ne sente proprio il bisogno per regolare questioni di tal genere oltre che per avere una ripartizione più chiara delle funzioni tra Unione e Stati membri. I trattati, invece, hanno valore costituzionale ma non elencano diritti e libertà fondamentali dei cittadini europei. Non esiste in Europa una Costituzione all’americana, nonostante la vertiginosa crescita del potere europeo negli ultimi vent’anni rispetto ai singoli stati. In secondo luogo, se lo Stato di diritto è così fondamentale come sostengono i leader dei partiti che governano l’Unione Europea perché mercificarlo legandolo all’erogazione dei fondi?

Una questione valoriate dovrebbe essere affrontata separatamente, valutando se l’ordinamento costituzionale e politico di Ungheria e Polonia sia compatibile con quello del resto d’Europa e delle istituzioni comuni. Questa strada, però, continua a non essere mai presa in considerazione. Si preferisce un gioco al reciproco ricatto che scredita il valore dello Stato di diritto e aggrava la recessione economica. Insomma, se non c’è un chiaro criterio costituzionale europeo per definire cosa sia Stato di diritto o meno per gli stati membri, allora è bene ragionare in maniera più concreta. La questione del rispetto della rule of law dovrebbe essere scorporata dal pacchetto di aiuti comuni per far ripartire l’economia. Ci possono essere sanzioni specifiche nel caso di accertate violazioni delle libertà costituzionali, si può passare per la pronuncia della Corte di Giustizia europea oppure si può avviare un ambizioso processo costituente europeo a cui però oggi nessuno pensa. Insomma, la materia può essere trattata esclusivamente sul piano politico e giuridico senza ricadute sulle decisioni prese dal Consiglio Europeo in materia di finanza pubblica. L’Italia in questo processo potrebbe giocare un ruolo importante, di cesura tra i Paesi del nord e quelli dell’Est. Servirebbe un minimo di ragion di stato in più e meno schematismi ideologici. A Roma sono tutti machiavellici quando si tratta di giochi politici interni, ma ogni capacità dei nostri governanti sembra svanire in politica estera. Il governo Conte bis potrebbe dare un senso ulteriore alla sua esistenza contribuendo a sbloccare l’impasse con una proposta di ragionevole mediazione, considerando anche di quanto l’Italia abbia bisogno degli aiuti europei per ammissione stessa del Presidente del Consiglio.


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