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Francia, il grembiule della discordia

Francia, il grembiule della discordia

La Francia si divide sull’uniforme scolastica, di cui parte del Paese chiede l’obbligatorietà per abbattere le diseguaglianze sociali e, soprattutto, per eliminare il problema dei simboli religiosi in classe dopo che sempre più studentesse scelgono di indossare il velo. Ma la laicità, per molti, non è più un valore.


Ormai in Francia per difendere la laicità nelle scuole si pensa addirittura di imporre il «grembiule» agli studenti. Una misura estrema, sebbene una buona parte della classe politica la consideri utile a livellare quelle disuguaglianze vestimentarie tra ragazzi e ragazze che spesso nascondono differenze sociali e religiose. Ma sostituire una maglia griffata o un velo islamico con un’uniforme scolastica, come già accade in certi istituti privati o in alcuni Dipartimenti d’oltremare tipo la Martinica, la Guadalupa o la Guyana francese, riuscirebbe veramente a difendere i principi repubblicani nel nome dell’égalité?

«La riposta è no per diverse ragioni» spiega François Dubet, sociologo dell’educazione, ricordando che «in Francia non c’è mai stata una tradizione dell’uniforme scolastica». Nel Paese già vige una legge dal 2004 che vieta l’utilizzo in aula di segni religiosi troppo vistosi, come il velo musulmano o la kippah ebraica. Ma in questi ultimi mesi le infrazioni non hanno smesso di aumentare arrivando – secondo i dati del ministero dell’Educazione – a 720 casi in ottobre, il 130 per cento in più rispetto al mese precedente, per poi scendere a 353 segnalazioni a novembre.

Una tendenza che preoccupa le autorità, sempre più attente a contenere la minaccia islamista nelle scuole dopo l’omicidio di Samuel Paty, il professore sgozzato nel 2020 per aver mostrato delle caricature di Maometto in classe. In questi ultimi due anni altri insegnanti sono stati minacciati di morte anche solo per aver evocato le celebri vignette durante le lezioni. La Francia tiene la guardia, soprattutto dopo una nota diffusa a fine agosto dal Comitato interministeriale di prevenzione della delinquenza e della radicalizzazione (Cipdr), dove si denunciava un «movimento islamista» sui social network pronto a «mettere in discussone il principio di laicità nella scuola».

L’abbigliamento unico verrebbe quindi visto come un simbolo di appartenenza comune ai valori universali della République, nel quale gli studenti dovrebbero riconoscersi. Difficile però pensare che i giovani di oggi possano accettare una simile restrizione. «Lo vivrebbero come una violenza. Gli studenti musulmani, poi, la vedrebbero come un’aggressione nei loro confronti» continua Dubet. Ma il sociologo sostiene che neanche la classe dei docenti accetterebbe di buon grado, con il risultato di avere una «sorta di guerra civile nella scuola francese». Rischi che i difensori del provvedimento sembrano essere pronti a correre. Secondo quanto riferito a novembre in anteprima da Le Figaro, una mezza dozzina di deputati del partito di maggioranza Renaissance starebbe preparando una proposta di legge per introdurre una «tenuta scolastica comune». La definizione sembra essere volutamente vaga, tanto più che l’iniziativa sarà presentata come uno strumento volto a lottare contro il bullismo. Guai a parlare di difesa della laicità o lotta al comunitarismo: il rischio è quello di entrare nel «campo» della destra. L’obiettivo dei macroniani è quello di presentare il testo a gennaio, ma prima è necessario avere il via libera dagli altri colleghi della stessa formazione, dove molti non sembrano vedere di buon occhio l’iniziativa.

Intanto, il Rassemblement national di Marine Le Pen si è portato avanti preparando una proposta di legge, sostenuta anche dai Repubblicani, che punta in modo ancora più diretto sull’obbligatorietà: arriverà nelle prossime settimane all’Assemblea nazionale nonostante la bocciatura della Commissione legislativa. Quello dell’uniforme scolastica è in effetti un tema caro soprattutto alla destra, che negli ultimi anni lo ha evocato più volte ricordando i valori dell’identità francese. «Il Paese è stato costruito sulla sua scuola» ricorda Dubet, che comunque non crede nell’efficacia di questa soluzione. «Si andrebbe a evitare un certo tipo di dibattito, come quello sull’utilizzo del velo, ma resterebbero alcuni problemi come la discriminazione scolastica o la messa in discussione del modello laico da parte di alcuni studenti».Meglio, quindi, affrontare i problemi dell’istruzione senza ricorrere a simbolismi che potrebbero aggravare la situazione.

E il governo, in tutto questo? Il ministro dell’Istruzione Pap Ndiaye dopo qualche tentennamento si è detto contrario all’obbligo di una divisa. Il presidente Emmanuel Macron, invece, forse considerando la divisività del tema (che appunto potrebbe fargli prestare il fianco alle sinistre), ha preferito restare ben alla larga dal dossier. Rimaniamo a una sua dichiarazione in cui prometteva di «riflettere» sull’argomento. Era il 2017. n

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