Pd e Cinque stelle sono alla ricerca di una nuova identità. E per raccogliere voti hanno issato il vessillo green, diventando ambientalisti. Il caso più clamoroso? Quello del sindaco di Milano Beppe Sala: da cementificatore a ecologista…
Avete presente quei disperati appelli che affollano i bagni degli alberghi? Riutilizzate gli asciugamani per aiutare l’ambiente, grazie. Illusi. Mica c’avete creduto. L’invito serve a risparmiare i costi di lavanderia, più che a salvare il pianeta. Si chiama greenwashing. È l’ambientalismo di facciata: buone azioni che celano interessi materiali. Sta succedendo anche nella politica italiana. Pd e Cinque stelle tentano maldestramente di issare il vessillo verde. E persino nello schieramento opposto si vagheggia, in ossequio alla tradizione democristiana, la nascita di un nuovo cetaceo biocompatibile: la «balena verde». Nel frattempo Giuseppe Sala, il sindaco di Milano, la città più cementificata d’Italia, s’iscrive ai Verdi europei. Già: nessuno in patria fa palpitare abbastanza il suo cuore, ormai color pisellini primavera.
Tutti ambientalisti prêt-à-porter? Di sicuro, il momento è propizio. Partiti in crisi identitaria. Consensi volatili. E soldi, tantissimi: l’Italia destinerà 80 miliardi del suo Recovery plan alla sventolata transizione ecologica. Lo assicura il ministro al ramo, metafora appropriata al frangente, Roberto Cingolani. Simpatizzante renziano eppure apprezzato dai grillini, è l’uomo del momento. Il premier Mario Draghi, appena arrivato a Palazzo Chigi, aveva del resto suggellato: «Il nostro sarà un governo ambientalista».
Chiediamo dunque conferma a un nume tutelare del settore: Alfonso Pecoraro Scanio, fondatore dei Verdi italiani, cinque volte deputato, ministro dell’Agricoltura e poi dell’Ambiente. «Mi chiamano tutti!» trilla al telefono «ma non lo scrivete, per carità». Quindi? «In molti casi c’è pure buona fede. In altri, c’è un greenwashing perfino normativo: nei titoli delle proposte di legge, basta il prefisso eco per mettersi la coscienza a posto». Fuffa, insomma. «C’è una gara in Parlamento per darsi un’identità ambientalista. A sinistra il tentativo risale ancora al Pci, ma resta palesemente opportunistico: cercano voti ma poi sono a favore delle centrali nucleari». I grillini? «Li ho votati! Ma adesso devono diventare europeisti e progressisti». E il governo Draghi? «Non è sufficiente cambiare quattro lampadine a led se poi si autorizzano le trivellazioni petrolifere».
Si riferisce a Cingolani. «Ministro della finzione ecologica» lo ribattezzano già i trinariciuti. Il suo dicastero ha appena autorizzato 11 nuovi pozzi. I Cinque stelle, da sempre contrari, fischiettano mani in tasca. Mentre gli storici paladini della causa si scatenano. «Un inammissibile un passo indietro» deflagra, per esempio, il coordinatore nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli. Ma non è più tempo di partitini. Attaccato dagli ambientalisti milanesi per aver abbattuto 35 alberi a Città Studi, Sala è sbottato con sprezzo: «Ho sentito accuse e richieste di scuse. Ma dovrebbero scusarsi con gli italiani, perché sono riusciti a raccogliere a malapena il due per cento». Si scansino tutti, questi ideologici bacchettoni. Arriva SuperBeppe: pragmatico e moderato, eppur più ibrido della sua Toyota Prius. In vista della tornata elettorale d’autunno, per cui s’è ricandidato vista l’assenza di esaltanti alternative, ha già annunciato personale adesione ai Verdi europei. E la sua vecchia ciabatta? Quel Pd che voleva addirittura scalare? Pappemolli. Per l’ambiente serve gente come lui: severa ma giusta, inflessibile però dialogante, amante dei boschi verticali e del calcestruzzo.
Le migliori intenzioni sono state confermate da due avvenimenti epocali: l’avvento dei monopattini in città, 273 incidenti e 262 feriti nel 2020, e la distribuzione delle borracce di alluminio agli studenti di elementari e medie, proprio come quelle rese celebri da Greta Thunberg. Per il resto, il sindaco viene tacciato di continuità con i «cementificatori» che l’hanno preceduto. La riqualificazione degli ex scali ferroviari, per esempio: potrebbe trasformare Milano nella città più verde d’Europa, invece prevede indici di edificabilità da anni Ottanta. Sala sorvola. Anzi, in virtù della nouvelle vague ambientalista, continua a stringere mani e accordi.
Le liste a sostegno sono già otto. A partire, ovviamente, dal vituperato Pd. Anche il nuovo segretario, Enrico Letta, medita sul da farsi, nel solco della tradizione. Già nel 2007 l’allora leader, Walter Veltroni, informa: «Il Pd deve diventare il più grande partito ambientalista d’Europa». Applausi scroscianti. E fa niente se, negli anni successivi, il partito si sia liberato proprio degli ortodossi: da Ermete Realacci e Roberto Della Seta, ex presidenti di Legambiente. Adesso, però, bisogna far di necessità virtù. La mitologica «base» è stremata dai tafazzismi. Ed «Enrichetto», richiamato a forza dall’esilio accademico parigino, era ministro già nel 1998. Difficile riscaldare i giovani simpatizzanti. Barra dritta, quindi, sul pianeta e suoi derivati. Nel tentativo di sedurre la «generazione Greta». Non che sia una novità. Il suo predecessore, Nicola Zingaretti, aveva perfino dedicato la vittoria delle Primarie alla giovane attivista svedese. E da governatore del Lazio, a ottobre 2019 lancia il progetto «Ossigeno»: piantare 6 milioni di «alberi autoctoni certificati». Uno per abitante della regione. Fino a oggi non s’è visto un arboscello. Ma Zinga, si sa, non è uomo dall’agire impetuoso. Solo adesso, annuncia, inizierà la messa a dimora: di appena 42 mila esemplari, però. Tanto basta al governatore per confermare l’epocale obiettivo: «Trasformare il Lazio nella prima regione green d’Italia!».
Pure l’odiatissimo Matteo Renzi aveva alte aspettative. Dopo aver lasciato il Pd e fondato Italia viva, giura: «Per ogni iscritto pianteremo un albero». Un anno e mezzo più tardi, le lande renziane sono deserte. Il partito rotola giù nei sondaggi: è al due per cento, ma è bene non mettere limiti alla provvidenza. Renzi ha così deciso di coltivare un altro orticello: il suo. Ovvero, la sua ben remunerata e contestata attività di conferenziere in giro per il mondo.
Chi invece non può far altro che puntare sull’ambiente è Beppe Grillo. Da tempo, indica la strada. Il Movimento Cinque stelle ha fatto faville fin quando ha attaccato la casta. «Vaffanculo». «Vi siete mangiati tutto». «Politici puttanieri». Ma dopo aver appoggiato tre governi filati, e di foggia contraria, i pentastellati hanno scollinato: sono loro l’ultracasta. Dunque, basta improbabile decrescita felice e inverosimile morigeratezza. Meglio puntare su idrogeno e fissione nucleare. Aspettando Giuseppe Conte, ovviamente.
L’Elevato ha deciso. Sarà l’ex premier a guidare il Movimento, rispolverare buoni modi e garantire in Europa per conto degli improbabili sottoposti. Insomma, urge far dimenticare a Bruxelles l’antieuropeismo grillino. Il Movimento ha dimezzato i voti in tre anni. Bisogna ottenere, e pure in fretta, l’adesione ai Verdi europei. Una famiglia di pragmatici, che ha poco da spartire con le vecchie ideologie. Come i Grünen tedeschi: alle ultime elezioni europee hanno superato il 20 per cento e puntano a diventare il primo partito del Paese dopo l’imminente addio della cancelliera, Angela Merkel.
Giuseppi non ha mai dimostrato particolare interesse al tema. Prende tempo. Osserva, sbadigliando, l’evoluzione. Ma dovrà adoperarsi per il progetto. Riuscirà nell’impresa? Comincerà a sfoggiare una pochette in cotone organico, a bassissimo impatto? Certo, prima d’intavolare ogni trattativa con i Verdi d’oltreconfine, sarebbe bene sbarazzarsi almeno della Jaguar Xj6 del 1996, che conserva gelosamente. Inquina come un trattore. E anche l’ex capo politico del Movimento e attuale ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dovrebbe liberarsi della sua Mini Cooper del 1993. Una ciminiera a quattro ruote, seppur stilosa e ben proporzionata. Per non parlare dell’Elevato. Adesso conciona solo di transizione ecologica. Ma in passato adorava sgasare a bordo delle sue ammorbanti fuoriserie. Elsa Fornero, già ministro del Lavoro, racconta inclemente: «Stavamo al mare. I miei figli erano ancora piccoli. E lui arrivò a bordo di una Ferrari Testarossa, con modi assolutamente poco francescani».
Notevole, certo. Imbattibile, come spesso accade, resta però l’ex ministro dei Trasporti, il pentastellato Danilo Toninelli. Due anni fa, intervistato dal Tg2 Motori, arringa gli italiani: «Dobbiamo far capire che il futuro non passa dalle vetture meno inquinanti, ma solo da quelle a reale impatto zero». «Lei che auto ha?» è l’inevitabile domanda. «Io e mia moglie abbiamo appena comprato una Jeep Compass, che è bellissima» gongola l’allora ministro. «E la motorizzazione qual è?» domanda speranzosa la giornalista. E lui: «Diesel».
In alto le mani. Sempre un passo avanti, Toninelli. Wikipedia si aggiorni. Anzi, pensi a creare un’apposita voce. Diamo a Danilo quel che è di Danilo, indiscusso precursore del greenwashing politico all’italiana.