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La grande riforma di Nordio (e chi vuole fermarla)

La grande riforma di Nordio (e chi vuole fermarla)

L’impresa non è ardua: è, a dir poco, sovrumana. E probabilmente è anche per questo se è stata appena rinviata a fine giugno. Da più mesi Carlo Nordio, ministro della Giustizia, annuncia l’esistenza di una lunga serie di disegni di riforma in via di elaborazione: una lista che, per il peso dei temi, l’importanza degli obiettivi e le prevedibili opposizioni che muoverà, fa tremare le vene ai polsi.


Nordio intende modificare due reati contro la pubblica amministrazione, l’abuso d’ufficio e il traffico d’influenze illecite. Poi vuole rivedere la riforma della prescrizione, già faticosamente varata nel 2022 dal suo predecessore Marta Cartabia. Il Guardasigilli intende anche razionalizzare alcune regole delle misure cautelari: vorrebbe, per esempio, che a prendere le decisioni non sia più un solo giudice, bensì un collegio di tre. Nordio vuole poi stabilire il divieto d’impugnazione da parte del pubblico ministero contro le sentenze di assoluzione in primo grado. E intende riformare anche le norme sulle intercettazioni, per evitarne l’indebita pubblicazione. Infine vuole smussare gli eccessi della legge Severino, che dal 2012 – in presenza anche della sola condanna in primo grado, se superiore ai due anni di reclusione – impone l’incandidabilità e la decadenza (retroattiva) dal seggio per chi è stato eletto in Regioni e Comuni.

Questo e altro ha annunciato Nordio. Riforme condivisibili da chiunque abbia a cuore i principi basilari del garantismo. Ma ce la farà, il ministro? Dopo 40 anni da pubblico ministero, da sette mesi Nordio lavora nel suo nuovo ufficio in via Arenula, a Roma, assieme a tre avvocati penalisti: Francesco Paolo Sisto, che è il suo viceministro di Forza Italia, e i due sottosegretari Andrea Ostellari (Lega) e Andrea Delmastro Delle Vedove (Fratelli d’Italia).

Accanto a loro – forse bisognerebbe dire meglio «su» di loro – veglia però un esercito di magistrati fuori ruolo. Sono 103, per l’esattezza, e affollano il gabinetto del ministro e gli uffici legislativi del ministero. Al suo insediamento, Nordio non ha voluto seguire il consiglio di chi gli suggeriva di ridurne il numero (pare anzi che voglia aumentarlo a 113), e ha perpetuato l’anomala invasione di campo del potere esecutivo da parte del giudiziario. Per di più, i 103 sono stati autorizzati a quell’incarico dal Consiglio superiore della magistratura, quindi è da immaginare che molti di loro possano rispondere a logiche corporative, se non addirittura correntizie.

Insomma, vedremo che cosa l’esercito dei 103 farà uscire dal cappello del ministro. Certo, che l’abuso d’ufficio sia un reato inutile lo mostrano le statistiche: 96 procedimenti su 100 si chiudono con l’archiviazione dell’indagato, e la quota non cambia in caso di rinvio a giudizio, se è vero che le condanne sono state appena 37 nel 2020 e 18 nel 2021.

Non funziona neanche il traffico d’influenze, il confuso reato d’ispirazione grillina che dal 2011 punisce chi «ottiene utilità» in cambio di una intermediazione d’interessi. Nordio ha detto che, leggendo l’articolo del Codice penale relativo (il 346 bis), «non si capisce nemmeno che reato descriva». Così il ministro vorrebbe cancellare sia l’abuso d’ufficio sia il traffico d’influenze.

Ma negli uffici del suo ministero, tra le 103 toghe, c’è chi si oppone. In molti temono che l’abolizione del secondo reato potrebbe trasformarsi in salva-condotto per Luca Palamara, l’ex pubblico ministero, già membro del Csm e leader sindacale, le cui chat telefoniche, piene di raccomandazioni e di trattative correntizie, hanno a lungo imbarazzato l’ordine giudiziario.

Per non parlare del recinto che Nordio vorrebbe alzare attorno alla segretezza degli atti d’indagine e delle intercettazioni: la stragrande maggioranza dei magistrati italiani non apprezza le idee del ministro, che punta a vietare la pubblicazione delle conversazioni captate almeno dove due persone parlano di una terza, e vorrebbe porre limiti a una spesa vicina ai 250 milioni l’anno.

Ancora più forte è l’opposizione contro un ritorno della prescrizione: Nordio ha detto che vorrebbe tornare al sistema precedente alle riforme draconiane dell’ex ministro grillino Alfonso Bonafede, e intenderebbe addirittura «farla decorrere non da quando il reato è commesso, ma dal momento in cui viene scoperto», ha dichiarato pubblicamente il Guardasigilli.

La magistratura, però, è pronta alle barricate. E i suoi sensori piazzati dentro al ministero sono già in azione.

Nel grigio palazzo di via Arenula, insomma, è in atto una strana guerra di posizione, dove il ministro fa annunci importanti e intanto i suoi tecnici lavorano per depotenziarli. A quanto pare, è così anche per la separazione delle carriere tra pm e giudici, di cui si parla da decenni. Appena insediato, Nordio aveva dichiarato che «il pm guida la polizia giudiziaria, e questo lo rende una parte pubblica: quindi non ha senso appartenga allo stesso ordine del giudice». Il via alla separazione, quindi, sembrava una priorità del governo. Poi, a metà aprile, Nordio ha detto che la riforma «richiede tempi più lunghi». Di separazione delle carriere, da allora, non si parla più.

C’è chi sostiene che lo stop risponda alle esigenze tattiche di Palazzo Chigi, dove Giorgia Meloni, impegnata nelle riforme istituzionali, vuole evitare altri fronti caldi. Ne pare convinta l’Unione delle camere penali, l’organizzazione degli avvocati, che ha appena da poco scioperato allo slogan: «La stagione delle riforme liberali della giustizia è già abortita». In Parlamento, sui banchi dell’opposizione, c’è chi sostiene che «il governo l’ha accantonata per far passare il presidenzialismo, e fa addirittura circolare la voce che non se ne farà nulla». Nordio, per ora, tace. Entro giugno si vedrà come stanno davvero le cose.

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