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Il governo taglia il cordone dei bonus: un bene per l’industria

Il governo taglia il cordone dei bonus: un bene per l’industria

Secondo un calcolo di Confcommercio nel 2020 le tax expenditures previste dalle varie leggi erano oltre 500. Troppe per avere una politica economica coerente e concentrata. Su questo tema Mario Draghi può dare un segnale di discontinuità e fornire una prova di forza rispetto a partiti oramai dipendenti, per mancanza di visione e per ragioni di consenso, dalle micro-politiche degli incentivi. E finalmente può concentrare risorse sulla tecnologia e sulle Pmi.


L’Italia è il Paese delle eccezioni e delle proroghe. Per ogni regola varata dal governo o dal Parlamento si trovano innumerevoli specifiche, deroghe, norme ad hoc. In particolare, da anni il Paese poggia una parte consistente della propria politica fiscale sulla concessione dei bonus. Secondo un calcolo di Confcommercio nel 2020 le tax expenditures previste dalle varie leggi erano oltre 500. Troppe per avere una politica economica coerente e concentrata. Il numero di incentivi è impressionante e tocca quasi tutte le sfere della vita dei cittadini. In vista della nuova legge di bilancio però sono due gli sgravi che inducono maggiormente a riflettere: il bonus facciate ed il super bonus 110% per le ristrutturazioni edilizie. Nessuno nega che dopo anni di depressione il settore edilizio necessitasse di una spinta fiscale favorevole né che le ristrutturazioni non siano utili per l’efficienza energetica e per il decoro urbano. La misura una tantum, dovuta ad una situazione eccezionale e di crisi prolungata, andava nella giusta direzione. Nella bozza della manovra però si parla di estensione dei bonus fino alla fine del 2023. Sono davvero necessari tre anni di incentivi? Oppure quelle risorse possono essere impiegate altrove?

Al momento non esistono stime precise sul costo per lo Stato italiano dei due bonus ma si tratta comunque di diversi miliardi di euro. Tuttavia, la questione non è tanto numerica quanto politica. Qual è il futuro economico dell’Italia? Le ristrutturazioni e l’edilizia oppure l’industria e la tecnologia? Viene da chiederselo di fronte a questa marea di tax expenditures, di deduzioni, detrazioni e incentivi, che riguardano gli individui e le famiglie più che le industrie, ultimo baluardo di ricchezza ed influenza italiana. Conosciamo le ragioni tattiche di queste decisioni che permettono alla politica di lanciarsi nella propaganda. Un bonus è beneficio immediato e visibile, un investimento è una scommessa di lungo termine. Sappiamo anche che questo comportamento della politica è incentivato dalla confusione intorno al concetto di Pmi, in cui rientrano le pizzerie, le piccole imprese edilizia, imprese tecnologiche e dei servizi e industrie globalizzate che fatturano decine di milioni. Attività molto diverse e dal differente peso strategico quando si guarda al futuro. Sorprende che tanta confusione e dispersione perdurino anche sotto il governo Draghi. A Palazzo Chigi dovrebbero aver ben chiaro il quadro delle priorità. Dopo decenni a parlare di incremento di produttività, di sviluppo delle competenze sul lavoro, di ampliamento e finanziarizzazione delle medie imprese alla fine la politica italiana finisce a drogare di incentivi il mercato dell’edilizia, non propriamente il più tecnologico, strategico e di valore aggiunto dei settori. Avrebbe avuto molto più senso muoversi verso la defiscalizzazione totale degli investimenti in ricerca e sviluppo industriale, in ammodernamento tecnologico e in assunzione di personale specializzato.

Una norma del genere favorirebbe quei settori che necessitano di investimenti per competere sul mercato globale e allargare i cordoni della borsa delle Pmi. Si è già scritto quanto ci sarebbe bisogno di una finanziarizzazione delle aziende italiane, favorendo le quotazioni e le fusioni, senza incidere sul risparmio degli italiani coattivamente attraverso nuove tasse sul patrimonio. Una misura di defiscalizzazione degli investimenti industriali è coerente con questa idea di sviluppo e crescita. Lo è molto meno la politica dei bonus, eredità dei governi Renzi-Gentiloni prima e dei governi Conte poi. Su questo tema Mario Draghi può dare un segnale di discontinuità e fornire una prova di forza rispetto a partiti oramai dipendenti, per mancanza di visione e per ragioni di consenso, dalle micro-politiche degli incentivi. L’esecutivo dell’ex governatore della Bce sarà all’altezza di un cambio di paradigma? Dipenderà dalla Presidenza del Consiglio, ma anche dai sostegni trasversali che in Parlamento può trovare questo diverso approccio. Torniamo alla domanda iniziale che dovrebbe assillare la politica italiana: il nostro futuro sono le ristrutturazioni edilizie oppure l’espansione industriale, tecnologica e finanziaria? Se è la seconda, allora la politica fiscale deve regolarsi di conseguenza. Altrimenti sarà il solito piangere sul latte versato quando arriverà la prossima crisi.

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