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Il governo pensa al Sud. Forse per i voti grillini

Il governo pensa al Sud. Forse per i voti grillini

Il ministro competente Carfagna organizza un maxi evento per parlare di Meridione sul modello del Next generation Ue. In ballo ci sono tanti fondi ma anche numerosi ex elettori dei 5 stelle. Contesi sia a sinistra che a destra. Intanto il tessuto produttivo del Nord si attendeva qualcosa in più da Draghi.


Il governo torna a guardare al Sud, ma non è necessariamente una buona notizia. L’iniziativa del Forum Ambrosetti vede in prima fila sia il Presidente della Repubblica che il Presidente del Consiglio, ma la vera protagonista della manifestazione è il ministro per il Sud Mara Carfagna, capace di trainare l’esecutivo sulle proprie priorità. L’evento e i suoi contenuti rispecchiano lo spirito del Next Generation EU: dirigismo economico, riformismo dall’alto, infrastrutture e transizione ecologica. Il governo ha scelto di destinare al Sud il 40% del fondo europeo, drenando risorse al centro-nord cioè la parte più produttiva e popolosa del paese. La scelta dei governi italiani può anche essere corretta: i fondi vadano dove c’è maggior bisogno, ma i rischi che il meridione finisca nella solita spirale di burocrazia, legalismo e clientelismo. La concentrazione sul Sud racconta anche un altro orientamento dell’esecutivo, di marca più politica. I tecnici e i partiti sembrano essere attratti da una forza centripeta – verso una maggiore centralizzazione nei ministeri – e a trazione meridionale. Non è difficile intuire per quale motivo sul piano politico: al Sud ci sono milioni di voti in uscita dal Movimento 5 stelle. Questi consensi sono l’ultima roccaforte del partito di Conte, ma possono anche essere flussi determinanti per la coalizione di destra e di sinistra. C’è, dunque, una gran corsa verso il meridione d’Italia stimolata anche dalla recente competizione politica. Ne è una testimonianza, ad esempio, la perdurante rimozione della questione settentrionale nella narrazione della Lega o lo spostamento del baricentro di Forza Italia dalla milanesità di Berlusconi al ministro Carfagna. Per i ministri tecnici invece il Sud sembra essere un buon terreno di sperimentazione per un nuovo dirigismo che colleghi meglio i territori a Roma e Bruxelles. Un controllo più stretto sulle politiche pubbliche, indebolimento delle élite locali, sfiducia nella capacità di auto-governo, centralizzazione dell’amministrazione pubblica e dei controlli diventano le strategie da sperimentare per aumentare la presa sulle leve del settore pubblico. C’è da intendersi che questa idea può anche avere un senso, visti i risultati scarsi del regionalismo italiano, ma l’impressione è che manchi qualcosa per offrire un quadro convincente. In primo luogo, sono note le difficoltà della pubblica amministrazione italiana, in particolare a livello locale dove ci sono carenze tecniche, motivazionali e manageriali. Se i “rami bassi” del potere non funzionano, le politiche pubbliche non riescono ad arrivare ai cittadini. Appalti, progetti, opere richiedono una burocrazia locale efficiente e responsabile.

Questo problema, che è generale in tutta Italia, si aggrava nel meridione. Se guardiamo la storia sappiamo che le riforme hanno funzionato quando le amministrazioni generiche sono state affiancate da corpi specialistici e da enti pubblici – gestiti con metodi privatistici e manageriali – in grado di convogliare le risorse umane migliori. Così è stato, ad esempio, negli anni del miracolo economico. Di questa “formula politica” non c’è traccia nel programma del Pnrr. Eppure, se si vuole scegliere la strada della tecnocrazia, bisognerebbe almeno attrezzarsi al meglio. In secondo luogo, sappiamo che niente incrementa la responsabilità diffusa e la prosperità come la libertà d’impresa e un sistema legale funzionante. Forse, accanto a tante massicce dosi di dirigismo, bisognerebbe pensare anche a forme di detassazione del lavoro e degli utili d’impresa, magari ricavando quelle risorse dall’immensa distesa di bonus che oramai caratterizza ogni governo italiano. Dall’esecutivo Draghi, la parte più produttiva del Paese si sarebbe aspettata un intervento su questo molto più incisiva. Serve poi una riforma della giustizia civile che renda molto più semplice il funzionamento esecutivo dei contratti e incentivi fiscali per trasformare il risparmio in investimenti finanziari per le imprese, soprattutto al Sud dove i tessuti produttivi sono più rari e frammentati. Purtroppo sembrano invece prevalere due orientamenti tipici della politica italiana ed europea: la tendenza alla burocratizzazione delle riforme e quella ad una “modernizzazione dall’alto”, via Bruxelles, che non ha dato grandi frutti negli ultimi vent’anni. Siamo convinti, in uno scenario economico che si va sempre più complicando, che sia una buona idea mettere lo sviluppo del meridione interamente o quasi nelle mani del settore pubblico?

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