Il riavvicinamento tra Europa e Stati Uniti può essere favorito dal nuovo governo che nascerà a Roma.
La crisi del mondo conservatore rappresenta uno dei fenomeni più problematici della storia politica occidentale degli ultimi anni. I teatri in cui è andata in scena sono diversi. Nell’elenco figurano ovviamente gli Stati Uniti, dove l’ascesa di Donald Trump ha consegnato la ribalta politica a una figura a lungo estranea a quel milieu, eppure abilissima a individuarne e sfruttarne le tensioni latenti. Non manca la Germania, dove Angela Merkel ha spostato i cristiano democratici verso posizioni sempre più indistinguibili da quelle dei social-democratici, aprendo così praterie a destra dove si sono radicate formazioni massimaliste come Alternative für Deutschland. In Francia il gollismo è stato in parte cannibalizzato dal macronismo, e in parte si è invece dissolto in rivoli lepenisti e sostenitori di Éric Zemmour.
Le divaricazioni all’interno dei conservatori hanno offerto importanti «assist» ai nemici dell’Occidente. Hanno, infatti, armato le varie componenti del conservatorismo occidentale le une contro le altre, con la fattiva collaborazione di agit-prop di vario tipo. Hanno contribuito ad allargare l’oceano Atlantico e, per qualche anno, a fare del Mediterraneo un lago eurasiatico. A lungo, Cina e Russia non sono state viste per quello che sono realmente: due potenze a vocazione neo-imperiale e coloniale, accomunate dalla certezza della decadenza dell’Occidente e dalla stessa aspirazione ad accelerarne la caduta finale. Oggi la sfida del blocco eurasiatico – Cina, Iran, Russia – è di gran lunga superiore a quella posta a suo tempo dall’Unione Sovietica, sia sul piano economico sia su quello tecnologico. Per affrontarla, l’Occidente deve mostrarsi compatto. Ma per arrivare a una saldatura Unione europea-Stati Uniti, occorre ripartire dal blocco conservatore.
I repubblicani in questo momento non sono al potere a Washington, ma esprimono comunque una considerevole parte della popolazione americana. Non potrà essere Joe Biden a riconciliare tra loro le anime dei repubblicani a stelle e strisce, e a pacificare così il Paese. Il presidente, infatti, sta a sua volta tribolando con la deriva «woke» – antirazzista e socialisteggiante – dei democratici, e gli mancano le forze per imprese ciclopiche. Il nodo principale da affrontare resta la presa della componente «America first», isolazionista a tratti. Questa non accetta l’idea che il sangue americano debba essere versato in ogni angolo del mondo in aiuto di alleati imbelli e irriconoscenti.
Per togliere forza all’isolazionismo statunitense, occorre che i partner degli Usa tolgano loro questo potente alibi. Come? Mostrandosi più disponibili che in passato a schierarsi accanto agli Stati Uniti. Sia Condoleeza Rice che Barack Obama avevano a loro tempo colto questa necessità, ed elaborato schemi pensati per questo («leading from behind»). I giapponesi sono stati tra i primi a capirlo. Anche i tedeschi stanno facendo alcune scelte ad alto valore «segnaletico» come l’invio nell’Indo-Pacifico di sei aerei Eurofighter reso pubblico lo scorso agosto.
Ma è Giorgia Meloni, a Roma, a disporre oggi di un’occasione pressoché unica. Come leader del primo partito italiano e capofila della coalizione di destra-centro uscita vincitrice dalle urne, nonché come presidente dei conservatori europei (Ecr), gode di una posizione senza precedenti. Non a caso, il think tank di politica estera dei repubblicani americani, l’International Republican Institute (Iri), ha aperto un piccolo ma occhiuto ufficio a Roma, e osserva con interesse gli sviluppi da queste parti. Meloni, infatti, potrebbe guidare il consolidamento del mondo conservatore in Italia, e giocare un ruolo chiave negli avvicinamenti tra Popolari europei (Ppr) ed Ecr in vista delle elezioni europee del 2024. Ma c’è dell’altro.
Cavour a metà del XIX secolo mandò un contingente militare in Crimea, che era la «zona calda» di quel tempo ed era piuttosto lontana dalla penisola italiana. Fu una scelta di notevole audacia, che il Regno di Sardegna e Piemonte si vide ripagato in «valuta» geopolitica. Non è chiaro quale possa essere la carta migliore per Roma da giocare in questa fase: la creazione di una legione araba? Una base-avamposto della nostra Marina in Sudafrica? Una cosa, in compenso, è chiara: per chiudere la crisi dei conservatori in Occidente, occorre privare gli isolazionisti americani di scuse.