Berlino tira la corda dei rapporti atlantici e cerca di avvicinarsi alla Cina. A Pechino si gioca molto del futuro economico tedesco, rescindere i legami col colosso asiatico in mondo repentino ha delle ripercussioni interne pesanti. Nella stessa traiettoria può inquadrarsi la politica di riarmo tedesca, col governo che ha subito colto la palla al balzo dell’invasione russa per ricostituire in modo autonomo il potere militare. Soluzione che in ottica Nato funziona per Washington, ma molto meno per gli alleati continentali che sono preoccupati dalla supremazia germanica senza una costruzione condivisa. L’opportunità per il nuovo governo italiano è quella di mostrarsi come il più affidabile alleato degli Stati Uniti in Europa, con una posizione geografica unica e fondamentale.
Le reali sanzioni sono alla Germania più che alla Russia, si potrebbe dire con una battuta. Una esagerazione forse, ma che rende bene l’idea di quanto la politica tedesca sia stata costretta a sterzare bruscamente negli ultimi anni. Lo schema tedesco era il seguente: mercantilismo fondato sulle esportazioni; approvvigionamento energetico dalla Russia; Cina come mercato principale di espansione dell’offerta produttiva; solida partnership politica con la Francia per il governo dell’Unione europea; difesa tutelata dagli americani; immigrazione disciplinata da italiani e soprattutto turchi. Nello scenario della globalizzazione questo modello, supportato dal solido apparato industriale e da un governo stabile ed efficiente, ha funzionato bene. Tuttavia, le condizioni oggi sono cambiate drasticamente: negli ultimi cinque anni le tensioni tra Cina e Stati Uniti sono enormemente cresciute; la Russia ha invaso l’Ucraina, con la conseguente fine dell’approvvigionamento energetico; la Francia di Emmanuel Macron è diventata più nazionalista e al tempo stesso spinge per una ulteriore integrazione europea; l’equilibrio turco e nord-africano è precario; la globalizzazione è in ritirata, le catene del valore si sono accorciate, il protezionismo è tornato a rafforzarsi. Non si può più appaltare alla Cina la produzione e le materie prime, non si può più dipendere per metà del fabbisogno energetico dalla Russia, non si può più soltanto esportare senza curare la domanda interna, non vengono più tollerate da Washington posizioni euroasiatiche e di ost-politik. Ciò che le grandi due forze politiche tedesche, SPD e CDU, hanno costruito negli ultimi decenni si sta sbriciolando. Tuttavia, Scholz non intende cambiare paradigma senza resistenze.
Di recente il cancelliere ha fatto sapere che lascerà comprare alla società cinese Cosco il porto di Amburgo e, nonostante il parere contrario dei vertici dell’intelligence anche la Elmos, società che produce semiconduttori, cadrà probabilmente in mani cinesi. A questo va aggiunta l’opposizione tedesca al price cap del gas, fondata su contratti con Gazprom ancora in essere più vantaggiosi del tetto europeo. Berlino, insomma, non vuole invertire la rotta nel modo netto richiesto da americani e dal resto del mondo. Cosa vuole fare la Germania? Probabilmente cercare di negoziare con gli Stati Uniti, ottenere più spazio prima di andare verso un mondo diviso a metà, e le concessioni ai cinesi fa parte di questa tattica, guadagnare tempo e mandare segnali di resistenza a Washington.
In Cina si gioca molto del futuro economico tedesco, rescindere i legami col colosso asiatico in mondo repentino ha delle ripercussioni interne pesanti. Nella stessa traiettoria può inquadrarsi la politica di riarmo tedesca, col governo che ha subito colto la palla al balzo dell’invasione russa per ricostituire in modo autonomo il potere militare. Soluzione che in ottica Nato funziona per Washington, ma molto meno per gli alleati continentali che sono preoccupati dalla supremazia germanica senza una costruzione condivisa. Anche sul fronte europeo la Germania non sta mostrando una faccia benevolente. Da un lato continua a rivendicare la disciplina fiscale e la crescita dei tassi d’interesse per battere l’inflazione, dall’altra procede con stimoli fiscali imponenti per mitigare il caro energia opponendosi al tempo stesso a qualunque misura europea. I ministri tedeschi, inoltre, continuano a girare l’Africa alla ricerca di giacimenti e materie prime sovrapponendosi ad un terreno in cui primeggiano i francesi e sono presenti anche gli italiani. È probabile dunque che ci saranno nuove tensioni, sia a Bruxelles che soprattutto con gli americani. In conclusione, vi è da chiedersi cosa rappresenti questo cambio di scenario per l’Italia. L’opportunità per il nuovo governo italiano è quella di mostrarsi come il più affidabile alleato degli Stati Uniti in Europa, con una posizione geografica unica e fondamentale. Con i tedeschi ancora “fuori fuoco”, l’Italia può costruirsi una credibilità con l’asse Atlantico poiché Paese che ha supportato con forza l’Ucraina e ha respinto la penetrazione economica cinese. Dall’altro lato, potrà anche ridefinire il proprio rapporto con la Francia, oggi troppo sbilanciato a favore di Parigi sul piano dell’integrazione economica e burocratica, al fine di pungolare i tedeschi in Europa. C’è naturalmente anche un rischio, quello che le pressioni americane verso la Germania generino un impatto economico ancora più negativo, con ripercussioni infauste sul nostro sistema industriale. Allora qui andranno fusi opportunità e rischi: trovare la sponda degli americani sul piano economico e finanziario per tamponare la frenata che viene dalla Germania e al tempo stesso tenere il timone diritto come stiamo già facendo. Senza rinunciare ad un ruolo di rilancio in Europa. Al di là di quanto si creda, il momento di crisi è propizio per costruire qualcosa di buono.
