La difficile scommessa del neo presidente Friedrich Merz è rifondare un partito che si svincoli dall’eredità ingombrante dell’ex cancelliera. Una forza politica che sia più giovane e aperta alle donne, ma che recuperi la sua tradizionale vocazione conservatrice. Con un occhio particolarmente attento alla fonte energetica più controversa.
Spazio ai giovani e alle donne, e ai conservatori, quelli veri. È la doppia sfida di Friedrich Merz, dalla scorsa settimana nuovo presidente della Cdu, il partito cristiano-democratico tedesco uscito sconfitto alle elezioni del 27 settembre 2021 e orfano dell’ormai ex cancelliera, leader indiscussa del partito per 18 anni consecutivi. Una sfida resa ancora più difficile dal curriculum di Merz che, oltre a non essere donna, non è giovane – ha compiuto 67 anni lo scorso novembre mentre Angela Merkel a 68 anni è andata in pensione – né è un volto nuovo della politica tedesca.
L’oggi facoltoso avvocato, ex consulente del fondo di investimento statunitense BlackRock, era stato eletto capo del gruppo parlamentare dell’Unione (la Cdu assieme ai fratelli bavaresi della Csu) già nel lontano 2000; fu proprio l’inarrestabile ascesa al potere della cancelleria venuta dall’Est a farlo uscire di scena due anni dopo. Non contenta di averlo fatto fuori a inizio millennio, Merkel gli ha anche sbarrato la strada in anni recenti: quando lei lascia la guida della Cdu nel 2018 per concentrarsi sul governo, lui cerca di diventare presidente del partito ma lei impone la sua delfina Annegrett Kramp-Karrenabuer; e quando questa lascia per manifesta incapacità, nel 2020 lui ci riprova, ma Merkel fa eleggere l’amico centrista Armin Laschet.
Come è andata a finire lo abbiamo visto tutti: Laschet ha fatto malissimo e lo scorso settembre l’Unione Cdu-Csu è franata al 24,1% dei consensi: un risultato più che onorevole per gli standard italiani ma scarsissimo per un ex Volkspartei, un partito a forte vocazione popolare del 33% nel 2017 e del 41,5% quattro anni prima.
La strada di Merz è tutta in salita: deve recuperare consensi, anche parte di quelli finiti ai sovranisti di AfD, Alternative für Deutschland, strappare gli antichi alleati Liberali dall’abbraccio con i Verdi e con i socialdemocratici del cancelliere Olaf Scholz e tornare al governo. E se le sfide non fossero abbastanza, con i suoi vestiti eleganti e i suoi due jet privati Merz risulta affidabile e competente ma, complice una spolverata di pauperismo catto-socialista, ai tedeschi orfani della spartana Merkel l’avvocato renano non fa tanta simpatia.
La risalita della china da parte della Cdu deve passare da un programma chiaro: alle ultime elezioni AfD se l’è presa con l’Europa, i Verdi hanno messo l’accento sul clima, i Liberali sulla digitalizzazione e i social-democratici della Spd sulla solidarietà. La Cdu ha perso non solo per lo scarso carisma di Laschet ma anche per aver parlato di tutto un po’ e in definitiva di nulla. Merz in sostanza ci deve mettere i contenuti guardando, da un lato, alle elezioni del 2025, dall’altro agli appuntamenti elettorali del 2022.
A metà marzo vota la piccola Saarland, ma a maggio si rinnovano i Parlamenti del nordico Schleswig-Holstein e soprattutto del gigantesco Nord Reno-Vestfalia (Nrw) con i suoi quasi 18 milioni di abitanti. A ottobre poi si vota in Bassa Sassonia, la cassaforte economica della Germania: un Land di punta tanto per la coltivazione di patate e barbabietole da zucchero quanto per la produzione di autovetture (qui ha sede Volkswagen), aeromobili, navi da crociera e biogas.
Nella capitale Hannover la Cdu governa in grande coalizione con i socialdemocratici mentre nella renana Düsseldorf il partito è coalizzato con i Liberali. Ecco perché Merz deve manovrare con cautela: se il suo sogno è riportare la Cdu più a destra archiviando 12 anni di grandi coalizioni merkeliane, il neopresidente deve tenere in considerazione anche gli equilibri regionali.
Pianificata per vent’anni, la sua vendetta politica e personale deve compiersi senza strappi. Così, ben prima del 34esimo congresso celebrato in forma virtuale causa Covid, Merz ha approvato l’adozione per le coppie omosessuali annunciando anche «tolleranza zero» verso chi nel partito aprirà al dialogo con AfD: le sue priorità sono svecchiare la propria immagine e unificare una Cdu tramortita dalla batosta alle elezioni.
Solo in seguito si potrà parlare di identità e contenuti perché, come spiega a Panorama un portavoce del Consiglio economico della Cdu, «il marchio di fabbrica del partito ha molto sofferto negli anni della grande coalizione». La speranza del Consiglio economico è che con Merz al timone, la Cdu diventi «di nuovo capace di discutere, e non solo su questioni di politica economica. Il lavoro programmatico e la cultura della discussione interna alla Cdu sono stati trascurati negli ultimi anni. Le proposte sui contenuti sono state spesso classificate come critiche personali».
Due esempi su tutti: la politica di accoglienza (nel 2015) e l’uscita più veloce dal nucleare (nel 2011) disposte dalla Merkel. Sull’onda soprattutto emotiva del disastro di Fukushima, la cancelliera decretò che l’ultima centrale atomica tedesca avrebbe chiuso i battenti entro la fine del 2022. Così gli impianti di Brokdorf, Grohnde e Gundremmingen «C» sono stati appena disconnessi dalla rete mentre Emsland, Isar «2» e Neckarwestheim «2» lo saranno nei prossimi mesi.
Nel frattempo il governo Scholz ha annunciato che la Germania uscirà prima del previsto anche dal carbone e ha già chiuso tre impianti per la produzione energetica da lignite in regione renana. «Non c’è dubbio che eliminare prima l’energia nucleare e poi la produzione di energia da carbone ha poco senso anche in termini di politica climatica» aggiunge il portavoce del Consiglio economico della Cdu, osservando ancora che «la Germania ha intrapreso un percorso molto costoso che farà aumentare ulteriormente i prezzi dell’energia. Allo stesso tempo, la sicurezza dell’approvvigionamento e la stabilità delle reti elettriche possono essere garantite solo di volta in volta dall’approvvigionamento energetico dei Paesi vicini».
Insomma, in seno alla Cdu qualcuno ha ripensamenti in materia di nucleare, tanto più che i vicini di casa francesi continuano a investire miliardi di euro nell’atomo, una fonte che secondo la Commissione europea contribuisce assieme al gas alla riduzione dei cambiamenti climatici. In soldoni: le scorie inquinanti restano ma le emissioni di CO2 non salgono, mentre la bolletta energetica scende.
Merz è stato fra i primi ad accogliere la nuova tassonomia energetica europea: «Il nucleare non produce CO2, è per questo che la Francia è molto più avanti di noi nel ridurre le emissioni» ha dichiarato prima di Capodanno, strizzando l’occhio all’atomo. «A differenza della Germania, per motivi di sicurezza energetica molti altri Paesi in tutto il mondo stanno uscendo dal nucleare». Non abbastanza da segnare un’inversione di rotta, ma dichiarazioni che mettono il piede in una porta che i Verdi speravano fosse chiusa ormai da tempo.
Ce la farà Merz a rivoluzionare il partito? Secondo il politologo dell’Università di Düsseldorf Ulrich von Alemann la sfida è durissima: da un lato in Germania non c’è posto per un partito di massa dal profilo solo conservatore, dall’altro il processo di diversificazione della dirigenza è quasi impossibile: «La maggior parte dei membri del partito sono anziani, maschi e tedeschi di origine tedesca». I cambiamenti programmatici si annunciano di conseguenza «retorici e proclamatori, con poca sostanza concreta».
Il professore pensa poi che un ritorno all’energia nucleare sia improbabile: «La Cdu sarebbe accusata di zigzagare».
Merz, che non è uno sprovveduto, è consapevole dei problemi elencati da von Alemann. Imporre un cambiamento dall’alto, ha detto, «non basterà», invocando «un rinnovamento della Cdu a partire dal livello comunale a salire: niente di tutto questo può essere fatto premendo un pulsante, né entro due anni. È un processo a lungo termine».