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Unione europea: il regno dello spreco

Unione europea: il regno dello spreco

  • Viaggi in aerotaxi da 4.000 euro. Quasi 60 milioni a disposizione dei commissari per spese di rappresentanza e missioni varie. Costi amministrativi schizzati alle stelle. A Bruxelles, lockdown e crisi economica non intaccano i privilegi dei burocrati.
  • Il governo va in Europa a battere i pugni per i miliardi del Recovery fund, ma poi è incapace di applicare le direttive. A inizio luglio il numero di infrazioni aperte davanti alla Commissione era il più alto dal 2016.

Viste le cifre c’è davvero da incrociare le dita ogni volta che un commissario europeo parte per qualche missione. Nonostante il periodo caldo e complicato del Covid-19, i membri dell’esecutivo europeo non hanno rinunciato ai loro viaggi e alle missioni istituzionali. E fin qui, ovviamente, non ci sarebbe nulla di male. Se non fosse, però, che la prassi è quella di snobbare i voli di linea. Molto meglio prediligere i cosiddetti aerotaxi, voli charter privati che scarrozzano i commissari con tutto il loro staff.

Tanto basta per giustificare il costo della visita al confine greco-turco della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, lo scorso 3 marzo: il solo viaggio è costato oltre 4.000 euro. C’è da dire che da Bruxelles precisano che «i taxi-aerei sono autorizzati quando non è possibile trovare alternative commerciali per adattarsi all’agenda o ai vincoli di sicurezza». Fatto sta che il ricorso pare una prassi piuttosto consolidata se si pensa che in quattro mesi – da dicembre 2019 a marzo 2020 (questi sono gli ultimi dati disponibili) – la von der Leyen ha speso in missioni oltre 56.000 euro.

Quel che pare, d’altronde, è che gran parte dei commissari non badino a spese in fatto di spostamenti. L’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell (il successore di Federica Mogherini) ha superato la stessa presidente: per i suoi spostamenti sono stati spesi circa 64.000 euro in quattro mesi. Non è stato da meno Janez Lenarcic, commissario con delega alla gestione delle crisi, che in tre giorni è stato prima in visita ufficiale a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, e poi ad Addis Abeba per l’incontro con l’Unione africana arrivando a sborsare oltre 17.000 euro. Il conto complessivo non può che essere salatissimo: secondo i calcoli di Panorama, da dicembre a marzo i commissari hanno speso solo di viaggi oltre 640.000 euro.

Una cifra mastodontica. Perché, se è vero che le missioni istituzionali sono più che doverose, in alcuni casi sorge il dubbio che utilizzare mezzi privati non sia necessario. Un esempio su tutti: a partecipare all’incontro di Addis Abeba non è andato solo Lenarcic, ma diversi commissari, a cominciare dalla stessa von der Leyen. Eppure, secondo i resoconti pubblicati dai siti istituzionali, ognuno sembra aver pagato il suo lussuoso e personale aerotaxi. Così la presidente ha speso 4.392 euro; il «falco» Valdis Dombrovskis 4.658 euro (esattamente come il nostro Paolo Gentiloni); mentre Frans Timmermans ha prolungato la sua permanenza allungandosi anche a Johannesburg e spendendo circa 12 mila euro. Considerando che sono andati ad Addis Abeba 21 commissari su 27 e che alcuni, proprio come Timmermans, hanno ampliato il proprio viaggio (Borrell ha speso oltre 10.000 euro, Jutta Urpilainen, la commissaria per i partenariati, in tre giorni di viaggi ben 14.000), solo per «trasportare» con i loro aerotaxi i rappresentanti della Commissione in Etiopia sono stati sborsati circa 115.000 euro.

Non solo. C’è anche chi «sfrutta» le missioni istituzionali per tornare spesso e volentieri in patria. Il commissario per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski è stato impegnato sinora in 11 missioni: casualmente in sette di queste è tornato nella «sua» Polonia. Esattamente come la croata Dubravka Šuica, vicepresidente della Commissione, per la quale 10 missioni su 15 avevano come destinazione Zagabria.

Il paradosso è visibile a tutti: mentre si discute di crisi economica post-coronavirus e dell’esigenza di tirare la cinghia, l’istituzione regina dell’Unione europea sembra vivere sotto una campana di vetro. Gli oltre 640.000 spesi in viaggi – in un periodo peraltro in cui gli spostamenti sono stati giocoforza limitati – sono per molti un pugno nello stomaco. Anche perché, oltre alle missioni e ai viaggi istituzionali, ci sono già indennità e benefit di ogni genere che fanno impallidire anche gli «onorevoli» stipendi dei parlamentari italiani.

Secondo il regolamento fissato dal Consiglio Ue, il presidente della Commissione ha diritto al 138% dello stipendio più alto tra i funzionari, cui si aggiungono almeno altre due indennità (di residenza e di rappresentanza). Parliamo, in soldoni, di una retribuzione che si aggira intorno ai 27.000 euro lordi mensili. Ai vicepresidenti, invece, spetta il 125% dello stipendio del più alto funzionario, che significa 24.852,26 euro, cui vanno aggiunte le medesime indennità.

Tutti gli altri commissari, invece, devono – ahiloro – accontentarsi: per loro è riservato il 112,5% dello stesso salario: circa 22.000 euro. Ed ecco allora che nel complesso gli stipendi per i 27 membri della Commissione, secondo quanto si legge nel corposo bilancio Ue di quest’anno, costeranno 10 milioni 946 mila euro. Non male in una fase di crisi post-pandemica. E parliamo solo di una piccolissima fetta del costo complessivo di una macchina mastodontica: il personale, rivela ancora il bilancio 2020, costerà 199 milioni di euro.

Ed è qui che troviamo anche il capitolo relativo alle missioni istituzionali, alle indennità di viaggio e alle spese di rappresentanza: 58,2 milioni a disposizione degli eurocommissari. Facile capire come si possa arrivare, tra alloggi, servizi di ogni tipo, stipendi e pensioni al costo stellare complessivo previsto per la Commissione: 2 miliardi 825 milioni di sole «spese amministrative». Entro cui, manco a dirlo, incontriamo di tutto. Nel bilancio di quest’anno, per dire, spiccano anche 3,6 milioni di «indennità transitorie» pagate ai commissari uscenti (Juncker e compagni), una sorta di «premio» di fine mandato nel caso in cui – chissà – non dovessero trovare un altro impiego. Senza dimenticare, ancora, il capitolo pensioni: sono 6,7 milioni di euro quelli messi a bilancio per le pensioni degli ex membri della Commissione.

E poi, ovviamente, ci sono servizi e forniture di ogni genere. Anche i più curiosi e disparati. Basta scorrere i bandi di gara indetti nell’ultimo periodo per capire come a volare non siano solo i commissari sui loro aerei privati, ma anche la spesa. Il 18 giugno scorso, per esempio, la Commissione ha pensato bene di pubblicare un bando per la «fornitura di mobili per ufficio per il personale operativo e le funzioni di gestione e per gli spazi di incontro progettati in modo sostenibile e socialmente responsabile». A non essere responsabile sembra soltanto l’esborso previsto: 18 milioni di euro tra tavoli, scrivanie, mobili da ufficio e poltrone.

Ancora più curioso l’appalto, pubblicato il 7 luglio, relativo alla «organizzazione e gestione degli eventi» per cui si prevede di spendere ben 20 milioni nei prossimi mesi. E ovviamente tutto questo deve essere comunicato a dovere. Ed ecco il bando per la comunicazione social: una serie di lotti che coprono tutte le varie istituzioni, dalla Commissione fino allo stesso Parlamento passando per la Corte dei conti Ue. L’importo previsto è da urlo: 150 milioni di euro. Così al prossimo viaggio ci saranno anche i post con hashtag e foto a celebrare degnamente gli eurocommissari.

91 cartellini rossi per l’Italia

Un governo che va in Europa a battere i pugni sul tavolo per chiedere i miliardi di euro del Recovery fund. Facendo la morale e impartendo lezioni europeiste anche ai leader degli altri Paesi membri. Giuseppe Conte ha ribadito il concetto più volte: «Il governo vede l’Europa come pilastro della collocazione internazionale dell’Italia». E non è stato da meno il ministro per gli Affari europei, Vincenzo Amendola, che ha rivendicato un concetto: «L’europeismo non è un orpello da biblioteca».

Un marchio made in Europe, che però ha un risvolto grottesco: l’esecutivo, che osanna Bruxelles e volge lo sguardo all’Unione come una stella polare dell’azione politica, è in fuorigioco con le normative emanate della stessa Ue. Facendo registrare una delle peggiori performance di sempre, con un macigno sulle tasche dei contribuenti: le inadempienze costano centinaia di milioni di euro all’anno. Dall’ambiente, con il mancato recepimento di normative sulle discariche, alla tutela della salute dei lavoratori, con l’assenza di una normativa sull’esposizione ad agenti cancerogeni, la lista di mancanze italiane è lunga. Con un forte impatto sulla vita dei cittadini.

Le procedure di infrazione, aperte dalla Commissione europea, hanno toccato livelli record, mai visti dall’inizio della legislatura: a inizio luglio erano 91. Una cifra così elevata non si vedeva dal gennaio 2016, quando a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi. La questione non è solo formale: il mancato rispetto delle regole comunitarie ha rappresentato, dal 2012 al 2019, un salasso per le casse pubbliche. Una certificazione arrivata direttamente da una relazione della Corte dei conti: «Le seconde condanne (della Corte di Giustizia europea, ndr) hanno già dato luogo a cospicui esborsi a carico del bilancio italiano (pari a 655 milioni alla data di chiusura della presente relazione)».

I numeri raccontano il peggioramento della situazione. A inizio marzo 2018, quando si è insediato il nuovo Parlamento, le procedure aperte erano soltanto 59. La cifra è lievitata nei mesi successivi. A settembre 2019, con la nascita del Conte bis e la metamorfosi europeista del presidente del Consiglio, la quota era già fissata a 81. E peraltro proprio Giuseppe Conte, per quattro mesi (da marzo a luglio 2019), ha assunto la guida del dipartimento ad interim, in seguito al passaggio del precedente ministro, Paolo Savona, ai vertici della Consob. Insomma, il numero uno del governo non può far finta di nulla. Fatto sta che nemmeno l’approdo al ministero di Vincenzo Amendola, europeista doc, ha migliorato la situazione. Anzi.

Ma cosa si intende nello specifico per procedura di infrazione? Il sito delle Politiche europee spiega che «costituisce uno strumento indispensabile per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione». Quindi, «la decisione relativa al suo avvio è una competenza esclusiva della Commissione, la quale, esercitando un potere discrezionale, può agire su denuncia di privati, sulla base di un’interrogazione parlamentare o di propria iniziativa».

La materia in cui la Commissione boccia l’Italia ripetutamente, ben 24 volte, è l’ambiente, con ricadute anche sulla salute. Alcuni casi sono delle piaghe storiche, che restano irrisolte come l’emergenza rifiuti in Campania. Un passato che non passa, insomma. C’è un altro evergreen: la non conformità alla direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane, che riguarda sistemi fognari, sistemi di depurazione e il controllo degli scarichi in varie regioni italiane. E ancora: la non corretta applicazione delle direttive sui «rifiuti», sui «rifiuti pericolosi» e sulle «discariche». Come se non fosse abbastanza, l’Italia non è in linea con l’indicazione europea relativa alla qualità dell’acqua destinata al consumo umano per i valori di arsenico.

In tema di giustizia la situazione è altrettanto grave. L’Italia è inadempiente sull’inasprimento delle misure, chieste dal Bruxelles, «contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile». Il governo deve poi uniformarsi alla direttiva «sulle norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato». L’Ue chiede che le vittime di reato possano «essere protette dalla vittimizzazione secondaria e ripetuta, dall’intimidazione e dalle ritorsioni, dovrebbero ricevere adeguata assistenza per facilitarne il recupero e dovrebbe essere garantito loro un adeguato accesso alla giustizia». Il minimo per un Paese civile. Inoltre, da Roma non c’è stato nemmeno un adeguamento alla normativa per contrastare la proliferazione di organizzazioni terroristiche. Manca infatti il completo «recepimento della direttiva, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo».

Una grave mancanza riguarda poi la salute dei lavoratori, con il «mancato recepimento della direttiva Ue, del Parlamento europeo e del Consiglio, sulla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da un’esposizione ad agenti cancerogeni o mutageni durante il lavoro». Sul taccuino di Bruxelles è finito anche l’eccesso di precariato nel settore pubblico. Un problema che riguarda, tra le tante categorie, il personale sanitario, gli insegnanti, i volontari dei Vigili del Fuoco e i lavoratori agricoli.

L’elenco è davvero interminabile, contando 91 procedure. Così nella lista c’è il mancato adeguamento alle normative sulla «protezione degli animali utilizzati a fini scientifici». Un altro argomento di grande attualità è quello della sicurezza stradale con il «mancato adeguamento dei livelli di sicurezza delle gallerie italiane». Si parla nello specifico della direttiva che concerne «i requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale transeuropea». Nel calderone ci sono anche i diritti dei consumatori, visto che l’Italia non ha adottato le «regole comuni in materia di compensazione e assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato».

«Il problema c’è. Le procedure aumentano», ammette con onestà intellettuale Massimo Condinanzi, il docente a cui Amendola ha affidato la struttura di missione sulle procedure di infrazione. «I motivi sono tre. Prima di tutto» spiega a Panorama Condinanzi «un approccio più rigoroso della commissione Von der Leyen rispetto alla precedente. Poi è venuto meno lo strumento di precontenzioso, che consentiva di chiudere i casi prima dell’apertura della procedura». E, infine, il docente ravvisa il problema nell’adozione in ritardo della legge di delegazione, avvenuta nell’ottobre 2019, spostando più in avanti l’eventuale soluzione di vari casi. «Con il ministro contiamo di ridurre di almeno quindici le procedure aperte entro fine anno», promette Condinanzi.

Un dato è chiaro: non basta avere David Sassoli come presidente dell’Europarlamento, o Paolo Gentiloni come commissario agli Affari economici, né sventolare il vessillo dell’Unione europea per cavarsela con una pacca sulla spalla. I pretoriani dell’Ue, piaccia o meno, chiedono il rispetto delle regole. Il raffronto con gli altri Paesi è alquanto desolante. Se fosse un Europeo di calcio saremmo finalisti, sconfitti solo dalla Spagna, che ha sul groppone 98 procedure di infrazione.

Ma la scalata italiana è andata avanti «poderosa», tanto per usare un aggettivo caro a Conte. Negli ultimi mesi l’Italia ha scavalcato la Grecia, che conta 90 procedure aperte e che fino a qualche settimana fa stava messa peggio. Poco più dietro, appena fuori dal podio, figura il Portogallo, a quota 89. Tra i Paesi più grandi, la Germania ha accumulato 78 procedure di infrazione. Un risultato non stellare per la locomotiva d’Europa. Mentre va molto meglio per la Francia, ferma a 61. La «frugale» Olanda del premier Mark Rutte ha meno della metà dei contenziosi pendenti rispetto all’Italia: è a quota 42. Su questo punto, di certo, L’Aja può impartire qualche lezione a Roma.

Stefano Iannacone

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