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A fronteggiare la «Patria blu» di Erdogan c’è solo Macron

A fronteggiare la «Patria blu» di Erdogan c’è solo Macron

Nella più comune vulgata geopolitica si è soliti sostenere che il Mediterraneo sia oramai un teatro internazionale di secondo piano. Tuttavia, il fatto che la potenza americana sia meno interessata a quanto accade sulle sponde del mare Nostrum rispetto al passato non deve trarre in inganno. Il bacino del Mediterraneo è ancora un’area strategica di primo livello per tutte le potenze del globo. La Merkel non riesce a gestire il dominio al di fuori dei confini Ue, mentre la Turchia cavalca pericolosamente la strategia della nazione che conquista il Mediterraneo. Resta la Francia a fare muro, come dimostra la visita del presidente a Beirut.


In quest’area si muovono nuove e vecchie velleità imperiali, medie potenze e nazioni in declino in un gioco che al momento crea più disordine che ordine. L’incertezza sulle responsabilità dell’esplosione di Beirut e sugli intrecci dei vari poteri in Libano ne sono un lampante esempio. Ma Beirut ha acceso un faro che illumina l’intero territorio del Mediterraneo orientale e meridionale.

In settimana, il presidente turco Recepp Erdogan ha rotto una fragile intesa con la Grecia sui confini marittimi, riprendendo le esplorazioni energetiche nell’Egeo. Inutile è stata la mediazione di Angela Merkel per cercare di ripristinare l’equilibrio, un segno che la potenza tedesca, benché sempre più egemone a livello comunitario, non riesce ancora ad estendere la propria influenza sul mare. Quella del Sultano turco è un’azione ad ampio raggio volta sia ad estendere la proiezione politica nel Mediterraneo, come dimostra la questione libica, sia ad accaparrarsi i giacimenti energetici situati tra Cipro, Grecia, Turchia ed Egitto. L’idea di Ankara, finora risultata efficace, serve a separare il contatto e la continuità greca con le aree limitrofe marittime di Cipro e Egitto; in modo quindi da separare l’operazione del gasdotto EastMed (fondato sull’accordo tra Atene, Cipro e Tel Aviv) dal controllo greco e a rompere, quindi, la linea di continuità tra Europa meridionale e Africa.

La nuova Zona economica esclusiva (Zee) turca va dalla linea Kas-Marmaris, ai bordi dell’isola di Kastellorizo; e arriva a sud di Creta con un triangolo che si infila nell’area marittima tra le Zee di Grecia, Cipro e Egitto. L’obiettivo è quello, di isolare la Zee greca dalle zone cipriote e del Mediterraneo orientale e meridionale, che già sono state classificate come particolarmente ricche di gas e petrolio. L’operazione non è gradita all’Egitto la ha definita “illegale” e ovviamente alla Grecia la ha bollata come “assurda”.

Le rivendicazioni turche sulle acque di Kastellorizo puntano allo stesso risultato dell’accordo firmato da Ankara con il governo libico: vale a dire, tentare di ostacolare il progetto Eastmed costringendo i suoi partner a sedere intorno a un tavolo per negoziare una partecipazione, e al tempo stesso piazzare una bandierina nella contesa sulle acque territoriali del Mediterraneo orientale in vista dello sfruttamento delle ingenti risorse di gas che in quelle acque si trovano.

Dietro la strategia perseguita dal Sultano Erdogan c’è la teoria della “patria blu”, fondata sulla riconquista del mare, che nel ventunesimo secolo si collega all’egemonia energetica nel Mediterraneo.

Ma non esiste soltanto il problema turco. Non si deve dimenticare la sempre più energetica azione economica cinese, che passa per i nodi infrastrutturali, e poggia su una solida alleanza sia con Teheran che con le monarchie del Golfo. Il porto di Beirut è entrato nelle mire del Dragone, che può già contare sul contro del porto del Pireo. La via della seta commerciale ed infrastrutturale prende sempre più forma con l’obiettivo di arrivare ai porti (e alle reti) italiani.

Gli altri due attori importanti nel Mediterraneo restano Francia ed Italia. La prima protegge bene la Total e i suoi interessi e di conseguenza l’accordo con l’Eni nelle acque di Cipro. Emmanuel Macron ha una posizione più dura di Roma nei confronti delle strategia turca e con la visita scenografica alla Beirut devastata dall’esplosione il Presidente francese ha ribadito il ruolo di grande protettore nelle ex colonie, in Africa come nel Mediterraneo. Una politica maggiormente assertiva che mostra il volto gollista di Macron e l’importanza per Parigi di ciò che c’è fuori dall’Europa proprio per contare maggiormente a Bruxelles.

Per fare un raffronto tra Parigi e Roma, ad ottobre 2019 Erdogan ha mandato una nave ad effettuare attività di esplorazione nei giacimenti assegnati ad Eni e Total. Diversa è stata la reazione dei due Stati. La Francia, dopo le proteste di Cipro e Grecia, ha inviato due unità militari. Mentre il governo di Giuseppe Conte ha preferito attendere.

Uno scenario che mostra come l’Italia nell’ultimo decennio abbia perso il controllo con le aree estere su cui esercitava maggiore influenza. Non soltanto in Libia, dove una posizione eccessivamente prudente e poco militarizzata ha lasciato campo libero a Turchia e Russia, ma anche nei Balcani e nel resto del Nordafrica. Oggi l’Italia ha una proiezione di potenza pressoché nulla. Un riflesso che si avverte anche nel dibattito politico interno, dove la politica energetica e la politica estera hanno perso qualsiasi rilievo. Ma può un Paese difendere i propri interessi contando soltanto sugli apparati e sulla forza di un’azienda petrolifera quando i suoi concorrenti sviluppano invece un’aperta politica di potenza? La storia insegna che l’inconsapevolezza della classe dirigente nella politica internazionale ha sempre un prezzo.

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