Due scenari all’orizzonte. Il primo è il montare di un’inflazione che mangia salari e risparmi. Il secondo è, invece, un aumento dei tassi da parte delle banche centrali che riassorbe l’inflazione ma farebbe deprimere i mercati interni. C’è bisogno di agire subito, in Italia e in Europa. Serve realismo, senza ideologia verde e senza moralismo nei confronti della Russia per le forniture di gas. Il tema dell’energia incombe sul voto per il Colle e sul prossimo programma di governo. Chiunque sia il premier.
La realtà torna a bussare alla porta della politica italiana. Mentre la pandemia prima e l’elezione del Presidente della Repubblica poi hanno gettato una coltre di nebbia sull’economia, il caro energia e la risalita inflazionistica dei prezzi hanno caratterizzato l’inizio del 2022 per imprese e cittadini. La situazione è grave, qualche numero per ricapitolare. Il 2021 si è chiuso all’insegna dei forti rialzi dei beni energetici. Il Ttf in particolare, il contratto di riferimento per il mercato europeo del gas naturale, ha segnato un aumento del +267% che, se sommato a quello riportato nel 2020, si traduce in un’impennata del +483%. L’escalation di prezzo del gas naturale ha sortito un effetto a cascata sui prezzi dell’energia elettrica: la bassa generazione derivante dalle pale eoliche causata dai bassi venti in Nord Europa, accompagnata ai problemi di natura tecnica riportata dalle centrali nucleari francesi e allo spegnimento dei tre reattori nucleari tedeschi, hanno infatti accresciuto la necessità di produrre elettricità dal gas naturale, contribuendo al rincaro dei prezzi. In Italia, per fare un esempio, il prezzo spot dell’elettricità ha segnato nel biennio 2021-2020 un balzo del +321%. La politica italiana ha perso tempo; media e analisti, salvo poche eccezioni, hanno fatto peggio. I prezzi salgono da inizio 2020, ma fino all’estate tutto è stato liquidato come “inflazione temporanea” legata alla ripartenza post-pandemica. Errore grave poiché gran parte degli esperti e dei commentatori sono ricaduti in un ottimismo fallace ed ideologico oltre che nel conformismo del pensiero che sempre li caratterizza. Era evidente, invece, l’inevitabilità di una tale situazione. Enormi stimoli di spesa da parte dei governi, crescita del protezionismo cinese sulle materie prime, politiche green che richiedono componenti fondati sulle commodity e maggior carico elettrico, tassi bassi prolungati della banche centrali, tensioni lungo le supply chain dopo il lockdown. Troppi fattori concomitanti per non far quantomeno sospettare una rampicata dell’inflazione. Manager e imprenditori sono stati gli unici ad accorgersi con rapidità del cambiamento in corso sui mercati. Ora il problema è diventato politico e sociale. Tutti i governi occidentali sono stati costretti a varare spese nuove per fronteggiare l’aumento delle bollette; la Cina ha fatto marcia indietro sulle politiche climatiche; soltanto l’Unione Europea prosegue con i suoi piani dirigistici e rigidi sul green, sotto disposizione tedesca. In Italia, Matteo Salvini prima e Matteo Renzi poi hanno dato l’allarme, mentre il centrosinistra ha taciuto sull’inflazione fino a pochi giorni fa insieme ai sindacati. Draghi si è mostrato attento, avvertito da vertici dell’intelligence molto attivi sul tema, ma per ora attendista. Tuttavia, in un momento politico precario come quello che si attraversa per l’elezione del Presidente del Repubblica la questione inflazionistica è materiale altamente infiammabile. Sull’energia e sulle politiche green possono consumarsi rotture politiche tali da mettere a repentaglio la maggioranza in aula. La parte centrista e destra del governo non sembra disposta ad immolarsi sull’altare dell’ecologismo imposto da sinistra e da Bruxelles. Se Draghi dovesse essere eletto Capo dello Stato, con un sottostante accordo di governo, il problema della crescita dei prezzi potrebbe diventare la priorità programmatica del nuovo esecutivo. Una negoziazione forte sia interna che con la Commissione Europea potrebbe diventare inevitabile. Le politiche green aumentano l’inflazione e mettono potenzialmente a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. La transizione ecologica va frenata. Altrimenti ci sono due scenari, entrambi difficili e pericolosi, che si pongono di fronte alla politica. Il primo è il montare di una inflazione che mangia salari e risparmi, che erode la spesa prevista per le opere pubbliche (gran parte del Pnrr) e che non viene compensata nell’immediato dalla crescita. Uno scenario da stagflazione su modello degli anni Settanta che oggi resta il rischio più probabile ed elevato. Il secondo è, invece, un aumento dei tassi da parte delle banche centrali che riassorbe l’inflazione e, considerata la mole dei debiti pubblici, produce deflazione. La conseguenza è una nuova austerità richiesta agli Stati, con caduta della flebile crescita economica degli ultimi anni. Un ritorno agli anni 2010-2013 che si innesterebbe sulle ferite ancora aperte della pandemia con conseguente depressione dei mercati interni. Per evitare questi due scenari c’è bisogno di agire subito, in Italia e in Europa. Serve realismo, senza ideologia verde e senza moralismo nei confronti della Russia per le forniture di gas. È ora di tirare il freno di emergenza. Altrimenti il conto sarà salato sia per le classi sociali medio-basse che per la stabilità politica.
