Il 2 ottobre in Brasile si terranno le elezioni per la guida del Paese. La stampa occidentale scommette sull’ex sindacalista, ma i sondaggi raccontano altro. E per colpa dei suoi tanti e clamorosi errori, a vincere potrebbe essere, di nuovo, l’attuale presidente Bolsonaro.
Stando a quello che si legge nei media «mainstream» occidentali, le elezioni presidenziali in Brasile, il prossimo 2 ottobre, potrebbero anche non disputarsi visto che il vincitore ci sarebbe già, ed è l’ex sindacalista nonché due volte presidente Luiz Inácio Lula da Silva. Ma che la situazione non sia proprio quella descritta dalla stampa lo dicono i sondaggi e, soprattutto, la tendenza degli ultimi mesi. Lo scorso 15 dicembre, infatti, il simbolo della sinistra brasiliana Lula poteva contare su un vantaggio di ben 27 punti percentuali sul presidente in carica, il destrorso Jair Messias Bolsonaro. Il 48 per cento contro il 21, con possibilità di vincere addirittura al primo turno, superando il 50 per cento dei voti validi. Da allora, però, quel margine si è progressivamente eroso. Circa 22 punti percentuali lo scorso 12 gennaio, ridotti al 9 per cento, a fine marzo. A inizio maggio, poi, Lula è ancora sceso, al 40 per cento delle preferenze, mentre Bolsonaro è salito al 35, riducendo di appena il 5 per cento la differenza: che con un margine d’errore del 2,5 è praticamente una differenza insignificante. Un recupero che ha del prodigioso – ben 22 punti percentuali in meno di 5 mesi – e che rischia di ribaltare appunto i pronostici dei grandi media occidentali.
A detta del presidente della Camera, Arthur Lira, se Lula non riuscirà ad arrestare il trend entro fine giugno Bolsonaro potrebbe addirittura superarlo nelle intenzioni di voto per le presidenziali di ottobre. Come analizzato da Brian Winter, editore della rivista Americas Quarterly, «la sensazione è che Bolsonaro potrebbe ancora trovare un modo per vincere». Anche perché, come sottolinea il quotidiano argentino La Nación, «Lula fa discorsi nostalgici con continui riferimenti a quanto fosse meravigliosa la vita quando governava lui, dedicando molto meno spazio al futuro».
Ma come è stata possibile questa rimonta sorprendente del presidente in carica? Tre le ragioni principali del recupero del «Mito», come viene soprannominato Bolsonaro dai suoi sostenitori. La prima, immediata, riguarda il Covid: con la sensazione sempre più diffusa dopo la fine dell’obbligo di indossare la mascherina anche nei luoghi al chiuso, che la pandemia sia finalmente finita. Un recente sondaggio ha infatti mostrato che la maggior parte dei brasiliani, per la prima volta oggi giudica la gestione dell’emergenza Covid 19 del presidente in carica come «buona» e «accettabile».
Un dato anche solo impensabile lo scorso anno, quando Bolsonaro finì al centro delle polemiche, attaccato ferocemente da mezzo mondo anche se Perù e Messico facevano, numeri alla mano, molto peggio del Brasile nella gestione della pandemia. La seconda ragione, importantissima, che favorisce Bolsonaro è l’economia. A febbraio la disoccupazione in Brasile è infatti scesa all’11,2 per cento, il livello più basso dal 2016, quando alla presidenza c’era ancora la delfina di Lula, Dilma Rousseff. Inoltre, un quarto dei cittadini attualmente vive in famiglie che riescono a sostenersi grazie all’«Auxilio Brasil», il programma sociale del presidente di destra che ha ampliato quello dell’era Lula, chiamato come «Bolsa Familia». Da sottolinerare inoltre che il settore agricolo è in pieno boom sia per la crescente domanda internazionale di grano e carne, sia grazie alle importazioni di fertilizzanti dalla Russia, contro cui il governo verde-oro non ha imposto sanzioni. Intanto il real è stata la valuta che, nel 2022, ha più guadagnato in assoluto sul dollaro americano.
Il terzo elemento che favorisce Bolsonaro, è quello «valoriale» soprattutto su alcuni temi legati alla religione. Al di là degli evangelici, che rappresentano un terzo dell’elettorato, dove Bolsonaro è davanti a Lula (il 37 per cento delle preferenze contro il 34), è proprio in questo ambito che il centrodestra ha maggiori prospettive di crescita nei prossimi mesi di campagna elettorale. Anche perché Lula sui temi etici sta commettendo una serie di errori clamorosi, a detta di molti analisti. In un Paese dove solo un brasiliano su quattro sostiene la legalizzazione dell’aborto, dichiarare come ha fatto nei giorni scorsi che «l’aborto è una questione di salute pubblica cui tutto il mondo ha diritto», è infatti un clamoroso autogol che di certo a queste latitudini fa perdere voti.
Altra questione su cui il candidato di sinistra è debolissimo è quella della lotta alla corruzione. Pur essendoci state accuse su questo fronte contro il presidente, nella percezione di gran parte dell’elettorato Lula – che non a caso non affronta mai il tema per contrapporsi a Bolsonaro – è più corrotto del rivale. Anche perché, se non fosse stato per un difetto procedurale scovato per liberarlo da un giudice della Corte Suprema, un ex avvocato del suo partito, ovvero Edson Fachin, oggi Lula sarebbe ancora in carcere. Condannato per corruzione.
Ma sono probabilmente le sue discutibilissime idee sia in campo economico sia in politica estera a favorire il recupero di Bolsonaro. Basti pensare al progetto, se eletto, di introdurre una moneta unica latino-americana, un’idea già proposta tre lustri fa dal caudillo venezuelano Hugo Chávez e miseramente fallita. Oppure, sull’invasione russa dell’Ucraina, il dare la colpa in egual misura al presidente russo Vladimir Putin e a quello ucraino Volodymyr Zelensky, come Lula ha fatto in una recente intervista di copertina al magazine statunitense Time. O, ancora, attaccare le forze dell’ordine perché troppo pro-Bolsonaro per poi essere costretto a chiedere scusa di fronte alle proteste del suo stesso elettorato più moderato.
Una serie di uscite infelici che non gli hanno sicuramente portato né intenzioni di voto né gente in piazza ad ascoltare i suoi comizi. Non a caso, infatti, lo scorso 1° maggio, il suo discorso per la Festa dei Lavoratori lo hanno ascoltato in ben pochi, una differenza abissale rispetto alle folle oceaniche del passato. Sul palco di fronte allo stadio del Palmeiras, il Pacaembu, a San Paolo, Lula doveva parlare alle 13 locali, ma alla fine ha dovuto aspettare tre ore perché si presentasse qualcuno. Solo alle 16, grazie al traino del concerto della popstar locale Daniela Mercury, sono arrivate alcune centinaia di fan (più della cantante che di Lula a dire il vero). E nonostante i primi piani del suo fotografo personale Ricardo Stuckert, che ha accuratamente evitato le inquadrature «larghe» il fiasco del comizio dell’aspirante presidente è stato colossale.
«Riflette il vuoto della sua candidatura. È un paradosso: il Brasile si prepara a eleggere un presidente che nessuno vuole solo perché, dall’altra parte, c’è Bolsonaro» analizza lo scrittore Diogo Mainardi sul sito O Antagonista, una Bibbia del giornalismo politico verde-oro. «Il partito di Lula, il Pt, lo ha sempre saputo e perciò ha fatto di tutto per mantenere Bolsonaro al potere. Per vincere, Lula non può essere sé stesso ma deve essere un “non Bolsonaro”. Il problema è che nelle ultime settimane è tornato a essere se stesso, ripetendo le vecchie asinerie di sempre, pensando che l’elettorato fosse pronto ad accoglierlo di nuovo a braccia aperte. Il risultato è stato l’immediato crollo nei sondaggi e la piazza deserta del 1° maggio» conclude Mainardi nella sua analisi impietosa.
Ecco che il «Lula flop» è servito.