Il presidente del consiglio non è e non resterà immobile nella partita per il rinnovo del Capo dello Stato. È forse presto per asserire che esista una “strategia Draghi” per arrivare all’elezione al Quirinale. Ma intanto la sinistra sembra dire addio all’idea di prorogare l’attuale inquilino e cerca convergenze con il centrodestra. L’idea delle dimissioni del premier suonerebbe come un salto nel baratro per tutti i partiti.
La Presidenza della Repubblica non si può rifiutare né a essa ci si può candidare, ha sottolineato di recente in un’intervista Sabino Cassese. La prima parte della proposizione è senz’altro vera poiché nessuno sino ad oggi ha mai fatto il gran rifiuto al Quirinale, ma la seconda parte è più ricca di sfumature. Nessuno può depositare una candidatura ufficiale né tantomeno fare un’aperta campagna elettorale per la Presidenza della Repubblica, ma ciò non toglie che ci si possa muovere in molteplici forme per raggiungere la più alta carica dello Stato.
Nel 1992 le candidature di Forlani prima e di Andreotti poi, entrambe travolte da Mani pulite e dall’attentato a Falcone, furono piuttosto esplicite. In questa corsa al Quirinale del 2022 si iniziano a comporre le tessere del puzzle e nel rebus sembra iniziare ad entrare, come sempre è accaduto, anche il presidente del consiglio.
Due sono le notizie che filtrano dai più importanti quotidiani italiani: la prima è che Draghi potrebbe comunque dimettersi da capo del governo prima che inizi la procedura per l’elezione del nuovo Capo dello Stato; la seconda è che i partiti iniziano a muoversi per trovare una qualche possibile convergenza. I due elementi si tengono l’un l’altro, ma è bene procedere con ordine. Le eventuali dimissioni di Draghi aprirebbero uno scenario da salto nel vuoto. Infatti in questo caso i partiti rischierebbero di perdere il Presidente del Consiglio, che dopo l’elezione di un’altra personalità alla Presidenza della Repubblica potrebbe anche decidere di essere indisponibile a guidare un secondo governo nell’anno che porta alle elezioni, e di trovarsi a fronteggiare un’inaspettata possibilità di ritorno alle urne. Uno scenario da panico per tutti i partiti della maggioranza: la sinistra rischierebbe di non arrivare compatta e sufficientemente forte all’appuntamento elettorale, la Lega e Forza Italia rischierebbero di venire ancor più cannibalizzate da Fratelli d’Italia. Quella di Draghi sarebbe una mossa definitiva, rischiosa, ma anche da potenziale scacco matto al Parlamento. A quel punto le forze politiche non avrebbero molte strade: o eleggere Mario Draghi alla Presidenza della Repubblica e trovare l’accordo per un esecutivo che arrivi a fine legislatura oppure eleggere qualcun altro con l’elevata probabilità di dover fronteggiare una crisi dell’attuale maggioranza e la possibilità di un voto anticipato. In questa seconda opzione, infatti, il collante Draghi verrebbe meno. In secondo luogo, dopo mesi di posizionamenti inizia ad emergere da tutti i partiti la necessità di sedersi ad un tavolo e capire come gestire la partita politica del Quirinale. Un bisogno che si è fatto più pressante da quando il Presidente Mattarella è stato più esplicito nel mostrare il proprio scetticismo ad una eventuale rielezione, che presupporrebbe per altro un consenso molto vasto, se non completo, del Parlamento oggi difficile da immaginare. L’opzione principale del Pd, il Mattarella bis appunto, sembra sul punto di sfumare e allora propria dal centrosinistra si cerca una riapertura dei giochi attraverso la collaborazione con Lega e Forza Italia. All’interno della maggioranza il nodo da sciogliere è semplice: una eventuale elezione di Draghi al Quirinale presupporrebbe un accordo per far proseguire la legislatura fino a scadenza naturale. Se questo patto verrà a galla nei prossimi due mesi, allora diventa possibile lo schema che vede Draghi come nuovo presidente della Repubblica ed un altro esecutivo di garanzia, c’è da completare l’attuazione del Pnrr, fino al 2023. In questo caso è probabile che poche siano le pedine ministeriali ad essere toccate, qualcuno di essi (Franco, Cartabia) rimpiazzerebbe Draghi a Palazzo Chigi e si proseguirebbe con una configurazione simile all’attuale.
Ciò non significa naturalmente che questo sia un destino scritto. Draghi potrebbe alla fine scegliere di non dimettersi e i giochi dovrebbero farsi più avanti in Parlamento secondo i classici rituali, le forze politiche potrebbero non trovare un accordo su come proseguire la legislatura entro gennaio e questo indebolirebbe l’opzione Draghi oppure si potrebbe trovare la convergenza su altri nomi da eleggere al Quirinale nella speranza che Draghi resti come Presidente del Consiglio. Sull’elezione del Capo dello Stato, proprio per le sue modalità sulfuree e segrete, è difficile offrire certezze.
Ciò che però appare sempre più evidente è che l’attuale Presidente del Consiglio non è e non resterà immobile nella partita per il rinnovo del Capo dello Stato. È forse presto per asserire che esista una “strategia Draghi” per arrivare all’elezione al Quirinale, ma le posizioni sono abbastanza avanzate per sostenere che questa strategia potrebbe esistere e presto uscire allo scoperto. A quel punto la palla passerebbe ai partiti, che però hanno già mostrato tutta la loro debolezza di fronte alle iniziative di Draghi. Inoltre, il Presidente del Consiglio è molto stimato a livello internazionale e la sua figura s’inserisce in un quadro internazionale più ampio, che coinvolge la misura delle proporzioni dell’asse franco-tedesco in Europa ma soprattutto le tensioni tra Stati Uniti e Cina. Un fattore che contribuisce all’indispensabilità del personaggio Draghi per il sistema italiano nei prossimi anni. Di fronte alle dimissioni anticipate e ad un quadro politico ed economico incerto, chi avrebbe il coraggio tra i leader politici di negare la presidenza della Repubblica all’attuale presidente del consiglio?
