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In Spagna vince l’altra metà del potere

In Spagna     vince l’altra metà del potere

C’è la nuova presidente della comunità di Madrid dei Popolari. C’è la vice del premier socialista Pedro Sánchez, che si scaglia contro il suo stesso partito. E ancora, ci sono la «pasionaria» iper conservatrice di Vox e l’outsider di sinistra che ha battuto il Psoe nella capitale. La politica iberica, da sempre monopolizzata soprattutto dagli uomini, ora cambia. Ma le lotte tra le leader in ascesa si preannunciano non meno aspre.


Solo su un argomento forse Pedro Sánchez e Pablo Iglesias, durante la loro travagliata coabitazione nel governo di coalizione spagnolo, erano sempre stati solidali: la ferma convinzione di dover dare maggior spazio alle donne nella politica spagnola. Il trionfo della popolare Isabel Díaz Ayuso alle recenti elezioni della comunità di Madrid ha mostrato come il futuro prossimo della politica spagnola, sul tema, potrebbe superare forse le loro più rosee aspettative.

Come per una legge del contrappasso, infatti, proprio due donne potrebbero essere le sostitute dei due leader spagnoli. Per uno, Iglesias, che ha già annunciato il suo ritiro dalla scena politica, si tratta ormai di un dato di fatto, dal momento che a sostituirlo sarà sicuramente una donna, non si sa ancora se Yolanda Díaz, scelta dallo stesso Iglesias come vicepremier al governo, oppure Ione Belarra, ministro dei diritti sociali, che appare essere molto più a sinistra della stesso Iglesias. Per quanto riguarda il premier, invece, la débâcle madrilena peserà di certo sulla sua leadership futura e all’orizzonte la personalità di maggior spicco all’interno del Psoe, Partito socialista, sembra essere quella della ultra femminista Carmen Calvo. La vicepresidente dell’esecutivo non a caso è stata la prima socialista a criticare la gestione fallimentare del partito nella capitale: «È difficile capire come l’elettorato sia potuto crollare così tanto. Occorre una seria riflessione al nostro interno».

Nata a Cabra 63 anni fa in Andalusia, in politica dal 1990, ministro della Cultura del governo Zapatero nel 2004, Calvo è considerata riferimento del potentissimo gruppo dei «notabili» del Psoe. «Voglio dire con totale chiarezza che il Psoe di Madrid ha subìto una pesante sconfitta che non ci aspettavamo, ma siamo un partito con un secolo e mezzo di vita, abbiamo attraversato le prigioni, le fosse comuni e l’esilio». Responsabilità e orgoglio, proprio due caratteristiche di cui sembra difettare il premier. Nello stesso tempo, però, l’esponente socialista ha avuto parole al vetriolo anche per il presidente dei Popolari Pablo Casado definito come «il peggior leader del Pp nella storia» e ormai «il numero 2 del partito».

Che fosse lei la donna forte del partito lo aveva già dimostrato nel giugno scorso, accusando il Pp di voler orchestrare con polizia e forze militari un colpo di Stato. «Cosa sta combinando, signor Casado, cosa sta facendo contro il governo costituzionale spagnolo nel peggior momento tragico di questo Paese? Lo racconti agli spagnoli!».

La Calvo, al contrario di Sánchez che dopo le elezioni si è prudentemente eclissato, ha accusato Isabel Díaz Ayuso di aver avuto un atteggiamento irresponsabile nella gestione della pandemia «usando la paura della gente per raccogliere consenso e spargere odio». Ma quest’ultima, 42 anni, single, giornalista, nata a Chamberi uno dei quartieri più signorili della capitale, da ex mezzofondista (corre 10 chilometri al giorno), non dà segno di farsi intimorire. Ha iniziato, curiosamente, la sua avventura politica, curando il profilo Twitter della cagnolina Pecas dell’ex presidente di Madrid Esperanza Aguirre, con commenti del tipo «i comunisti non vogliono che vada a passeggio», mostrando già allora quale fosse la sua linea politica – molto più a destra – dell’attuale Pp. La stessa scelta di andare alle elezioni anticipate nella capitale è stata la conseguenza di una mozione di sfiducia, fallita, da parte dei liberali di Ciudadanos (alleati a Madrid della Ayuso) e dei socialisti contro il governo dei popolari a Murcia. «Credo che in politica non si scelga il momento, c’è e le circostanze arrivano. Ho sempre ritenuto che la vita debba essere vissuta attraverso le difficoltà perché abbia un senso. Da qui possiamo superare la nostra paura» ha detto Ayuso di fronte all’ex premier popolare José María Aznar, che di fatto l’ha «incoronata» presidente del partito nella capitale (superando un’altra donna, Ana Camins) e dando così avvio al suo assalto alla guida del partito nazionale.

Pablo Casado è sembrato, infatti, più sorpreso che felice dal clamoroso trionfo della Ayuso; forse perché, come dice il giornalista e scrittore Marco Schwartz, «dovrà affrontare un problema serio: che la Ayuso non diventi una sorta di Trump in erba che applaude con gioia oggi, come hanno fatto i repubblicani con l’originale, ma che potrebbe sfuggirle di mano e sviluppare una forza che si scontra con il progetto dei popolari, se ce n’è uno».

Molto più espansiva nel complimentarsi con lei è sembrata essere l’altra donna forte della destra spagnola, la candidata e portavoce in Parlamento di Vox, Rocío Monasterio. Nata a Madrid nel 1974 da padre cubano e madre spagnola, architetto di successo, ultraconservatrice e cattolicissima, entrata in Vox nel 2014, è antiabortista e schierata contro i movimenti femministi radicali. «L’ideologia di genere è il nuovo marxismo» sostiene. Preoccupa sia avversari sia alleati perché capace di lanciare attacchi feroci e critiche taglienti con il più accattivante dei sorrisi. «Una suora con la frusta» sintetizza un deputato dell’Assemblea di Madrid.

Assieme al marito Iván Espinosa de los Monteros (con lui ha quattro figli), fa parte del gruppo dei fedelissimi del leader del partito Santiago Abascal. E come presidente del partito a Madrid, in questi ultimi due anni non ha lesinato e critiche alla presidente popolare Ayuso, anche se ora si dice pronta ad appoggiarla.

All’interno di Vox è lei ad alzare la voce contro la politica «aperturista» del governo riguardo agli immigrati: «Abbiamo il diritto di camminare con calma senza paura di essere derubati o aggrediti da un branco di sbandati».

A contrastare le due leader di destra nella contesa di Madrid è stata un’altra donna, l’ex anestesista Mónica García Gómez, 47enne a capo della formazione di sinistra di Más Madrid, riuscita nell’impresa di superare i voti dei socialisti (614.700 voti contro 610.190 del Psoe), con slogan molto diretti contro i Popolari. «Ayuso vuole conquistare il Pp usando le elezioni come primarie con il segretario Casado» ha martellato.

Femminista convinta, tre figli, si è presentata alle elezioni dicendo: «Noi donne siamo stanche di fare il lavoro sporco, mentre nei momenti storici ci chiedono di farci da parte. I cittadini di Madrid non hanno bisogno né di più frivolezza, né di più spettacolo, né di più testosterone».

La sfida alla politica spagnola delle donne verso la conquista della Moncloa, insomma, sembra solo all’inizio. «Il trionfo della Ayuso pare aver operato una rivoluzione e un rinnovamento dell’intera politica spagnola, ancora in mano ai vecchi notabili di partito, che sono quasi tutti maschi. Vedremo l’evoluzione» riflette con Panorama il politologo Jorge Santos. Intanto a Madrid, mentre è mestamente finita la favola viola (di Podemos), di sicuro ne è cominciata una in rosa. n

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