La fine di David Rossi, il dirigente dell’istituto senese, diventa ancora più oscura con i nuovi documenti d’inchiesta appena riapparsi. La commissione del Parlamento è a caccia di verità forse irraggiungibili. Ma in città ci sono segreti che fanno tremare i palazzi del potere.
«Mi parla Siena» è l’incipit di una struggente poesia di Mario Luzi. Parlasse Siena… è il «venticello» rossiniano che si sente in sottofondo mentre un manichino precipita prima dal terzo e poi dal quarto piano dell’ala di Nord-ovest di Rocca Salimbeni sul selciato in pietra serena di vicolo Monte Pio, un budello che fa uno strano angolo prima di costeggiare il blocco di pietra e mattoni che è la sede della più antica e tormentata banca del mondo: il Monte dei Paschi di Siena. Hanno simulato anche la pioggia finta, perché il 6 marzo del 2013 Siena era afflitta da una piova uggiosa, mentre i laser dei rilevatori tridimensionali portati fin lì dall’Università di Roma La Sapienza disegnano un invisibile reticolo di rilevazioni. Un set che neppure Stanley Kubrick, con uno spiegamento – come recita il burocratese poliziesco – di uomini e mezzi dei Ris senza precedenti. Un po’ tardi verrebbe da dire.
Lì nello stesso punto alle 19 e 50 (in realtà l’orario va spostato indietro di 16 minuti) di 105 mesi fa David Rossi, responsabile della comunicazione di Mps, si schiantò a terra. Morirà dopo 24 minuti di agonia. La telecamera – la sola presa in considerazione mentre tutta la zona è piena di occhi – riprende anche la caduta dell’orologio di David che è in ritardo rispetto al corpo di almeno 5 minuti.
Chi indaga, allora, si affretterà a dire che è un effetto ottico, ma al polso di David l’orologio non c’è, c’è invece una sorta di livido che gli stampa la cassa del Rolex sulla pelle come se qualcuno lo avesse afferrato con forza.
In queste settimane si sono rincorsi cento misteri e mille interrogativi: la telefonata di Daniela Santanchè alla quale avrebbe risposto – David già spirato da ore – il pm Antonino Nastasi, la storia dei festini hard (si facevano e forse si fanno ancora, lo sanno in molti: a Castiglione della Pescaia, a Monteriggioni, vicino a Lucignano e chi c’era sa chi c’era), i fazzoletti sporchi di sangue poi fatti distruggere, il cestino rovesciato dai pubblici ministeri che entrano nell’ufficio di Rossi, i bigliettini ricomposti dal sostituto procuratore Nastasi infilati in un libro e consegnati molte ore dopo alla Scientifica. Parlasse Siena…
Ma Siena tace: è omertosa sulla fine di David Rossi. Oggi lui avrebbe 60 anni, contradaiolo della Lupa, un fisico raccolto, lo sguardo duro, che si è fatto le ossa con Davide Taddei, socio e amico di una vita in un’agenzia di pubbliche relazioni, poi diventato il mossiere di quel «palio» di quattrini tanti e facili che Mps distribuiva a tutti quando Giuseppe Mussari, uno dei Berlinguer-boys, da giovanissimo avvocato calabrese diventa prima presidente della Fondazione, poi della Banca Monte dei Paschi e anche dell’Abi.
David Rossi era la cassaforte dei segreti del Monte; avesse parlato lui, altro che Siena! Abituato alle pressioni; davanti al suo ufficio al terzo piano di Rocca Salimbeni c’era la fila dei questuanti: tutti i gruppi editoriali, comprese le televisioni, tutti i partiti, tutte le istituzioni culturali, tutte le squadre e di tutti gli sport hanno bussato a denari.
David aveva poche passioni: la sua più grande si chiama Antonella Tognazzi, per lui era solo la Toni, mamma di Carolina Orlandi, la figlia di David che si è battuta contro tutti nella ricerca di una verità che è troppo scomoda perché la si possa definire vera. Un’altra passione era la pallacanestro (forse un contrappasso per David che certo non era un corazziere): Siena ha vinto tutto e un pallone da basket era poggiato dietro il tavolo di cristallo delle riunioni in quell’ufficio sempre pieno di carte e di libri, angusto per esser un bancomat così poderoso.
«Mens sana» si chiamava il quintetto dei miracoli. Di certo sana era la «mens» di David, così serena da sussurrare alla Toni – lo ricorda con muti singhiozzi Carolina Orlandi – tre giorni prima di volare giù da Rocca Salimbeni, forse con destinazione «paradiso città»: «Appena passa questa buriana, si va all’Amiata e si cambia vita, almeno mi ti godo».
Rossi suicida non ha convinto nessuno a Siena, che se parlasse… e invece sta forse percossa, sicuramente attonita di fronte al set dei Ris e tace. Ma anche seguire le mosse dalla commissione d’inchiesta parlamentare presieduta da Pierantonio Zanettin e di cui è un pilastro Walter Rizzetto (Fratelli d’Italia) non fa comprendere fino in fondo. Ci sono troppe ombre rosse (o Rossi) che si allungano sul Monte. Proviamo a metterle in fila.
Il movente non c’è. Rossi non aveva alcun motivo per uccidersi, ma c’erano sufficienti motivi perché morisse. Non era stato indagato, le perquisizioni che avevano toccato il suo ufficio lo qualificavano come persona terza, ogni atto da lui compiuto era controfirmato dal presidente, dal direttore generale (dunque o Giuseppe Mussari o Antonio Vigni) o dall’intero cda dell’istituto. Eppure si è data enorme rilevanza a una email spedita da David a Fabrizio Viola – divenuto direttore generale di Mps nel 2012 – in cui avrebbe annunciato di volersi uccidere perché non resisteva alle pressioni.
Nel famoso bigliettino ricostruito da Antonino Nastasi, che era nell’ufficio di Rossi ben prima dell’arrivo della Scientifica con i colleghi Aldo Natalini e Nicola Marini (l’unico che aveva titolo diretto nell’inchiesta sulla morte di Rossi perché di turno, gli altri due indagavano sul crac del Monte), David scrive: «Toni, amore, l’ultima che ho fatto è troppo grossa per poterla sopportare, hai ragione sono fuori di testa da settimane» ma non mette la classica firma dei suicidi: «perdonami!».
La mental coach Carla Ciani, che lo ascolta come tutti i manager nei giorni della tempesta, riporta che era stressato, ma centrato su se stesso. Del pari ha scoperto Rizzetto che nel giorno in cui David muore un testimone lo incontra per strada, va dai magistrati, racconta, ma non viene verbalizzato. Il suicidio è l’unica possibilità che la Procura di Siena prende in considerazione. Eppure nelle prime ore si procede per istigazione al suicidio.
E c’è una intercettazione di Giancarlo Pittelli – ex onorevole di Forza Italia, avvocato calabrese al cui studio collabora Giuseppe Mussari, ex presidente Mps e amico intimo di Rossi – in cui lui dice: «Rossi lo hanno ammazzato». Pittelli è in carcere, sentirlo non sarà un problema.
Il luogo. Le due inchieste condotte da Siena sulla morte del manager, entrambe archiviate con il timbro del suicidio, sostengono che si sia lasciato cadere dalla finestra del suo ufficio al terzo piano, di schiena, come fanno i sub. Ebbene, stando alle prove che la Scientifica ha depositato, Rossi aveva la capacità di attraversare i muri. Perché le foto della Polizia, allegate al fascicolo ufficiale delle inchieste, ritraggono la finestra del terzo piano chiusa! La verità è che, come dimostra un primo video realizzato dal sovrintende di Polizia Livio Marini, era spalancata. Ma verrà chiusa da uno dei pm presenti sul luogo. Lo testimonia alla commissione parlamentare d’inchiesta il colonnello dei carabinieri Pasquale Aglieco, allora comandante a Siena. Per la verità si è provato a far trapelare la notizia che Aglieco non si trovasse lì, ma è difficile credere che un ufficiale dell’Arma si trasformi in mitomane. In più non è possibile – o perlomeno molto improbabile – che Rossi abbia potuto arrampicarsi sulla finestra senza danneggiare il condizionatore che avrebbe fatto da sgabello.
E allora c’è un possibile secondo luogo. Al quarto piano di Rocca Salimbeni, dove si trovano gli uffici degli altissimi vertici, ci sono alcune stanze note come i «confessionali». Sono quelle dove si vanno a discutere gli affari iper-riservati. Una è proprio sopra all’ufficio di David e in quelle settimane era in ristrutturazione. Sotto le suole delle scarpe di Rossi sarebbero state rinvenute tracce di calce.
Le omissioni. La vicenda più dolorosa è l’abbandono di David sul selciato. Il procuratore capo di Siena Salvatore Vitiello, alla commissione parlamentare d’inchiesta ha riferito che su alcune ferite sul corpo di Rossi non sono stati compiuti accertamenti, ma ha aggiunto: «La perizia conclude nel senso che non c’erano lesioni che avevano attinto in maniera mortale la persona. Probabilmente se si fosse intervenuti in tempo si sarebbe salvato». È certo che il manager ha agonizzato per oltre 20 minuti. Ebbene, nell’unico video disponibile si vede un uomo che appena Rossi è a terra lo osserva e poi se ne va. Nessuno ha cercato quell’uomo che poteva essere accusato almeno di omissione di soccorso. Dunque già oggi – mentre la Procura di Genova riapre l’inchiesta su decine di foto non allegate ai fascicoli e il lavoro della commissione parlamentare cerca di fare chiarezza su altri dettagli – emergono circostanze su cui né il Csm né il ministro della Giustizia hanno avviato azioni per valutare l’operato degli inquirenti senesi. Si sa con certezza che Rossi voleva parlare con i magistrati per «raccontare cosa è avvenuto dall’interno». Ma nessuno lo ha ascoltato. Sono quelle ombre rosse che devono essere fugate oggi.
Al di là della verità sulla fine del manager, c’è un enorme capitolo da esplorare: la morte dei Paschi di Siena. C’è da capire perché Bankitalia non fermò Giuseppe Mussari nell’acquisizione di Antonveneta, che è l’inizio della fine del Monte. C’è da capire perché e come Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia e poi onorevole eletto a Siena, promuove il salvataggio pubblico della banca e poi, quando diventa presidente di Unicredit, vuole comprarsi il Monte. Viene stoppato e oggi il ministero dell’Economia si trova a chiedere all’Europa una proroga per uscire dal capitale di Mps e nel frattempo si elabora un ennesimo piano di salvataggio che richiede da parte del ministero guidato da Daniele Franco altri 2,5 miliardi di ricapitalizzazione.
Il Monte, mentre sono a rischio almeno 4.500 posti di lavoro, costerà al contribuente italiano 8 miliardi di euro. Forse David Rossi avrebbe potuto spiegare dall’interno cosa è successo, per ordine, a beneficio di chi. Quasi nove anni dopo siamo a cercare – con la regia di Stanley Kubrick – solo la ragione della sua morte. E forse basta questo a spiegare.
