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Cts, il comitato che sbaglia e non paga mai

Il governo Draghi ha appena deciso di creare un nuovo Comitato tecnico scientifico composto da 12 membri e guidato dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli. Ma il Cts precedente, composto in gran parte da burocrati e non da esperti, per mesi ha continuato a dire tutto (e il contrario di tutto) sulla pandemia. E a farne le spese sono stati gli italiani.


Per fortuna degli italiani (speriamo) il governo Draghi ha deciso di creare un nuovo Comitato tecnico scientifico composto da 12 membri e guidato dal presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli. Un segno di discontinuità con il passato che tanto ha inciso sulle libertà degli italiani.

Fino all’intervento del neo governo Draghi ci eravamo fidati di Agostino Miozzo. L’aria da montanaro burbero ma giusto. La praticità lontana della supponenza dottorale. Il piglio dell’uomo che, nonostante tutto, mantiene la parola. Invece anche Miozzo, il coordinatore del Comitato tecnico scientifico, c’ha tradito. Già. L’avevamo seguito nel suo incessante peregrinare mediatico. Stringevamo fiduciosi al petto i nostri pargoli, mentre lui assicurava che non c’era niente di più prezioso. Scuola, istruzione, giovani: rimanevano la priorità assoluta. Invece pure il Cts, dopo mesi passati a rassicurare le esauste famiglie, è saltato dall’altra parte della barricata: serrare gli istituti di ogni ordine e grado, ancor prima di centri commerciali e negozi.

Vi rinfreschiamo la memoria, allora. Miozzo è lo stesso che, poco tempo addietro, assicurava: «Inaccettabile chiudere le scuole e vedere poi i ragazzi nei centri commerciali». Sissignore: «Inaccettabile». Quasi quanto aver consolidato la nostra egemonia: primi in Europa a sbarrare le classi, a fine febbraio del 2020, e ultimi a riprendere le lezioni. E se in Francia gli studenti hanno perso 41 giorni, in Italia siamo già oltre i 100.

Un anno dopo, l’Italia è nuovamente sottochiave. Basta lezioni, zona rossa nel weekend, nessun contatto fuori dalla famiglia. È soprattutto il fallimento del precedente governo, mai efficace e tempestivo. Ma anche dei tecnici a cui i giallorossi s’erano affidati mani e piedi fin dall’inizio. E in particolare al ridondante Cts, che ha deciso praticamente ogni mossa nella lotta alla pandemia. Del resto il riconfermato ministro della Salute, Roberto Speranza, è un laureato in Scienze politiche che ha sempre fatto il politico, già assessore all’Urbanistica di Potenza.

Non gli restava che delegare al comitato. Quello che Pierpaolo Sileri, viceministro di Robertino ed esperto chirurgo, definisce lento, burocratico e politicizzato. Oltre che pletorico: 24 esperti o pseudo-tali che il premier, Mario Draghi ha deciso di dimezzare. E a furia di predicar coerenza, pure il Cts è stato sepolto dalle sue inappellabili conclusioni. Prendiamo, appunto, l’istruzione. «Il rischio all’interno della scuola è sicuramente inferiore che all’esterno» assicura Miozzo, il 18 novembre 2020, a Porta a Porta. Il 30 novembre reitera: «È più facile che gli studenti risultino contagiati se non frequentano la scuola e fanno didattica a distanza. Quindi è meglio mandarli in aula».

Lo stesso giorno, in un’intervista alla Stampa, rivela: «Ho la posta elettronica invasa da messaggi di genitori che mi raccontano le difficoltà e i drammi dei loro figli. Non ci rendiamo conto che la nostra incapacità di trovare soluzioni sta aiutando a costruire una generazione fragile e insicura». Già. Meno male che ci sono i tecnici a far da contraltare ai politici senza cuore, a partire da quei cerberi dei governatori. E quando gli alunni delle superiori cominciamo a manifestare, Miozzo inneggia addirittura alla rivolta: «Se dipendesse da me avrei riaperto le scuole da tempo. I ragazzi fanno bene a protestare. Vorrei poter scendere anch’io in piazza con loro». E adesso che hanno accolto gli allarmi del Cts, il battagliero coordinatore cosa fa? Mamme e bambini si ribellano, ma il foscoliano «spirto guerrier» non rugge più entro l’animo di Agostino.

Da mesi va spiegando: «La didattica a distanza non può essere la scorciatoia alla nostra evidente incapacità». Era lui il luminoso faro delle malandate coscienze dei decisori. Il 2 dicembre 2020, a uso degli ancora confinati alunni delle superiori, suggerisce: «Bisogna intervenire per rientrare nelle aule». Sei giorni dopo, sul Foglio, si scaglia addirittura contro chi «fa cattiva informazione». Sciagurati giornalisti che tifano contro. «Articoli di stampa orrendi informano di numeri improbabili» dettaglia Miozzo. «Non hanno alcuna referenza né validazione scientifica, ma alimentano la paura e la percezione della scuola come focolaio epidemico.

I dati veri dicono che le aggregazioni a rischio per i giovani sono più frequenti prima e dopo le lezioni». Così, il 20 gennaio scorso, suggella: «È arcinoto che i maggiori pericoli sono esterni alle classi: nelle attività parascolastiche e nei trasporti». Fino all’inevitabile omaggio tributato al nuovo premier: «Sono molto contento che abbia messo la scuola in cima alle priorità politiche. Evidentemente, l’economista Draghi ha chiaro il valore della formazione e della cultura per le nuove generazioni. Deve aver bene inteso quale danno ha avuto e avrà un così lungo periodo di Dad per il futuro per i nostri ragazzi, in particolare quando saranno confrontati con il mondo del lavoro».

Benissimo. Ma se è «arcinoto» che la stragrande maggioranza dei contagi non avviene in classe perché stavolta il Cts ha voluto la serrata generale? Se ci si infetta solo fuori dall’aula bisognava proprio chiudere tutto? I bambini dell’asilo non usano prendere la metro. Quelli delle elementari non si ritrovano nei centri commerciali. I ragazzi che frequentano le medie non si scatenano nella movida notturna. Eppure, il comitato non ha esitato: tutti a casa, indistintamente. O meglio: quando si superano i 250 positivi ogni 100 mila abitanti. Ma in Lombardia, dove lo scorso 6 marzo è ripresa una generalizzata Dad, il bollettino settimanale segnala per esempio 943 casi in classe, di cui 724 alunni: un dato in linea con i 923 dell’indagine precedente.

E quattro mesi prima, mentre i tecnici si professavano indefessi aperturisti, i contagi giornalieri in Italia sfioravano i 40 mila. Mentre due settimane fa, quando il comitato suggerisce la serrata, i nuovi casi non arrivano a 20 mila. Dunque, cos’è cambiato? Certo, ora c’è l’insidiosissima variante inglese. Ma è diverso anche il contesto, probabilmente. In autunno, infranto ogni record europeo di lontananza dalle classi, bisognava tifare per l’apertura. Adesso, dopo qualche mese di frequenza in classe, forse ci si può premettere di richiudere a doppia mandata. Se così fosse, non ci sarebbe però nulla di scientifico. O meglio, lo sarebbero solo gli inscusabili ritardi: vaccinazioni agli insegnanti ancora in corso, trasporti mai potenziati, didattica da casa alla garibaldina.

In compenso, abbiamo i banchi a rotelle. Proprio quelli «fortemente consigliati» dal comitato, ha sempre giurato l’ex ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, indiscussa artefice dell’arrivo delle sedute mobili. Impresa in cui è stato coinvolto, onore al merito, un altro illustre ex: Domenico Arcuri, già commissario all’emergenza coronavirus.

Il deposto Mimmo ha invece imputato ai tecnici, nel maggio 2020, per i ritardi nei pareri sulle chirurgiche. Mentre sono più recenti le accuse di aver autorizzato l’uso di milioni di mascherine non a norma. Del resto, era il Cts a dover dare il nullaosta. Si scopre leggendo i verbali delle riunioni, pubblicati dopo un’estenuante lotta di carte bollate. Ma, in quei resoconti, restano una selva di omissis. E vengono resi noti con 45 giorni di ritardo, come fa notare un articolo di Nature.

L’acclamata rivista scientifica sottolinea che tra i 24 esperti, in maggioranza burocrati, «non c’è neanche un virologo». Segue una lista di errori. Per esempio, l’iniziale sottovalutazione dei test agli asintomatici. Oppure l’esclusione dei centri italiani di ricerca biotecnologica e clinica: «Proponevano un piano per potenziare le capacità diagnostiche, sfruttando il potenziale di centri di ricerca universitari e offrendo laboratori e personale senza costi aggiuntivi». Invece, tutto è finito in mano alle Regioni. Ben presto accusate di inefficienza e discrezionalità.

Sarebbe però ingiusto tacciare i favolosi 24 di inerzia. Nell’ultimo anno si sono occupati di ogni aspetto dello scibile, con l’inevitabile rischio di dover tralasciare questioni ben più rilevanti. Pareri che negli altri Paesi, dalla Germania alla Gran Bretagna, vengono abitualmente affidati a sottocommissioni o consulenti, sono finiti al centro di estenuanti riunioni. Come i protocolli di sicurezza da adottare: per i cori in chiesa, la sagra del tartufo di Alba e l’assemblea nazionale della Federazione italiana bocce…

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