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Il pasticcio di Alitalia ormai vicino all’accanimento terapeutico

Il pasticcio di Alitalia ormai vicino all’accanimento terapeutico

La situazione di Alitalia sembra una strada senza uscita. Intanto si aspetta la decisione dell’Europa sugli aiuti di Stato (o meno). Tutto questo nel giorno il cui, come ogni 27 del mese, i dipendenti dovrebbero ricevere lo stipendio. Con le casse vuote.


Il 27 del mese dovrebbe essere giorno di paga, invece anche questo mese i dipendenti di Alitalia dovranno aspettare ancora un po’ per vedere l’accredito sui conti correnti. I soldi ci sono, nel senso che tutti gli italiani, compresi i lavoratori della compagnia, stanno sborsando i 50 milioni che il Governo ha stanziato appositamente inserendoli nel Decreto Covid del 25 aprile. Certo, in un ‘epoca in cui ci sono milioni di concittadini che uno stipendio regolare non lo vedono da oltre un anno questa vicenda assume i connotati della presa in giro, ma quel che è fatto è fatto e il presidente del Consiglio Mario Draghi ha inserito un articolo nel decreto con il quale è possibile versare una parte dei ristori previsti per compensare Alitalia dei mancati introiti 2020 causati dalla pandemia, che in totale dovrebbero essere di 350 milioni, dei quali però quasi 200 sono stati già usati per compensare le perdite della primavera dell’anno scorso. Insomma tenere in piedi Alitalia è un continuo magheggio finanziario che nasconde l’accanimento terapeutico: allevia il sintomo ma non elimina la causa, quindi è fatto con la medicina sbagliata. Di stonato (e timido) su Alitalia in questi giorni c’è anche il marketing, che fa piovere nelle caselle mail dei clienti proposte di prenotazioni con il 25% di sconto se fatte nell’arco di una finestra di sole 24 ore, nel tentativo di raccogliere liquidità e riempire i voli della prossima estate. Di assurdo c’è anche la regola europea che costringe a comunicare a Bruxelles eventuali aiuti di Stato ai vettori in difficoltà, una norma che tutti nel Vecchio Continente aggirano in qualche modo e che fa perdere tempo ma soprattutto altri soldi.

E c’è chi pensa che dopo la “quinta libertà dell’aria” (la possibilità di effettuare voli su nazioni che non siano quelle del vettore), sarebbe meglio inventarsi la sesta liberalizzando del tutto un mercato che oggi ha subito la peggior batosta della sua storia.

L’Ue è invece molto chiara su un fatto: per valutare la reale discontinuità con l’attuale Alitalia, la nuova Ita dovrà dare informazioni su una serie di parametri come il passaggio di proprietà di alcuni beni e il loro valore, i tempi dell’operazione, gli slot di Linate e le informazioni su chi sia il nuovo acquirente. Senza dimenticare che l’antitrust Ue sta ancora indagando sui celebri “prestiti ponte” ricevuti dal vettore italiano per un totale di 1,3 miliardi negli anni 2017-2019 e che il verdetto arriverà il 30 aprile, molto probabilmente con una brutta notizia: i soldi andrebbero restituiti a chi li ha dati (sempre noi italiani), e siccome in cassa non ci sono porterebbero la compagnia dritta alla liquidazione. Fa sorridere che Bruxelles ritenga possibile che questi aiuti abbiano svantaggiato la concorrenza, quando è evidente a tutto il mondo dell’aviazione che, semmai, negli ultimi vent’anni è alle altre compagnie europee che è stata spalancata la porta del mercato italiano con non pochi favori. Ma questa fu stupidità e mancanza di competenza dei nostri politici nel non capire che le regole del mercato non erano – e non sono – affatto uguali per tutti perché non possono prescindere da quelle fiscali di ciascuna nazione. Ciò, però, non sia una scusa per alleggerire la posizione di una compagnia che “non gira” con 11.500 persone e meno di 85 aeroplani.

Negli ultimi giorni ha quindi cominciato a circolare la possibilità che Ita possa partire affittando gli aeroplani di Alitalia, ma a parte l’ennesima approvazione da parte della Ue e il rischio che in caso di condanna per gli aiuti di stato anche la nuova compagnia non possa volare, la manovra non risolverebbe un grande problema: questi aeroplani sono ormai vecchi (consumano il 20% in più di quelli usati da altri vettori, dunque costituirebbero una perdita in partenza), tanto varrebbe sostituirli con versioni più ecologiche, come sta facendo Air France, sfruttando il fatto che non è necessario ri addestrare gli equipaggi ex novo per poterli impiegare in tempi brevi. E non molto meglio andrebbe in caso d’affitto dei rami della manutenzione e dei servizi aeroportuali, per i quali a Bruxelles pensano che dovrebbero trovare un loro mercato. La verità è che le troppe cure politiche hanno creato mutazioni genetiche tali nella compagnia che ormai, seppure il mercato italiano dei voli commerciali sia ampio e pregiato, la possibilità per Alitalia di guadagnare soldi sia impossibile. Marchio a parte, amato da tutti, e fatte salve le competenze che nella compagnia esistono ancora, sarebbe tempo di avere più coraggio. Perché il piano industriale di Ita, che dopo una partenza con non più di 50 aeromobili prevede un incremento di altri 30 nel secondo anno, al momento non convince. Vedremo se oggi alle 13:45, presso la commissione Trasporti alla Camera, all’audizione informale del Presidente di Ita Francesco Caio e dell’Amministratore delegato Fabio Lazzerini proprio su questo tema, ascolteremo qualche novità.

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