Home » Attualità » Politica » Covid: il segreto di Israele

Covid: il segreto di Israele

Covid: il segreto di Israele

Il Paese ha già vaccinato quasi tutti gli ultra-cinquantenni ed è pronto a tornare alla vita pre-Covid, elezioni comprese. Merito dell’acquisto e della somministrazione massiccia di sieri. «Per noi la cosa più importante è il capitale umano» dice a Panorama l’ambasciatore in Italia Dror Eydar.


Una donna rientrata dal Giappone il 21 febbraio e un uomo di ritorno dall’Italia il 27 dello stesso mese. È scoppiata così, nel 2020, la pandemia da coronavirus in Israele, Stato piccolo, densamente abitato da una popolazione più giovane di quella italiana, sempre indaffarata fra lavoro, uscite serali, viaggi all’estero. La presenza di minoranze con usi e valori distinti da quelli della maggioranza e una non comune instabilità politica (si è votato per due volte nel 2019, una nel 2020 e di nuovo fra poche settimane) sembrava avrebbero portato a un sicuro disastro. A metà febbraio 2021, invece, il Paese mediorientale ha vaccinato l’83% della popolazione ultra-cinquantenne. Per ragioni commerciali i contratti con le case farmaceutiche non sono pubblici, ma secondo dati di Channel 12 News, Israele avrebbe pagato 30 dollari a dose di vaccino, cioè il doppio della Ue e ben più dei 20 dollari sborsati dagli Stati Uniti. Briciole rispetto al costo di un lockdown stimato in oltre 630 milioni di euro per ogni settimana di chiusura. Chi prima raggiunge l’immunità di gregge, prima riapre e torna a lavorare: Israele spera così di rimettere presto in carreggiata la propria economia scesa solo del 2,4% nel 2020 contro il meno 9,5% del Belpaese. L’ambasciatore d’Israele in Italia, Dror Eydar, che non è un diplomatico di carriera ma un giornalista di 53 anni con un dottorato di ricerca in Ebraico e Letteratura ebraica e una carriera da editorialista per il quotidiano Israel Hayom alle spalle, racconta a Panorama come tutto questo è stato possibile. «C’è stato uno sforzo congiunto del sistema sanitario pubblico e di quello militare. Stiamo anche conducendo campagne informative in varie lingue contro le teorie cospirative per incoraggiare la collaborazione dei cittadini. Un altro aspetto è stata la decisione del capo del governo, Benjamin Netanyahu, di porre la massima priorità ai vaccini, abbreviando drasticamente gli iter burocratici».

È vero che avete pagato le dosi più dei Paesi Ue?
«Di fronte alla scelta tra soldi e vite umane, abbiamo investito sulle prime. Siamo un Paese piccolo, la cui risorsa più importante è il capitale umano: è lì che investiamo. Noi non aspettiamo che prima o poi arrivino i vaccini, ma lavoriamo con decisione per procurarceli e poi distribuirli alla popolazione per salvare vite umane. Lo scorso dicembre abbiamo portato una delegazione sanitaria in Piemonte: lo abbiamo fatto non solo per l’amicizia fra Israele e Italia, ma anche per l’imperativo categorico biblico di non rimanere inerti davanti al pericolo per la vita del tuo prossimo, come dice il Levitico (19,16)».

Quali criteri avete seguito nella campagna vaccinale?
«Il personale medico si è vaccinato per primo, e poi i gruppi a rischio. Abbiamo poi dato precedenza a poliziotti, militari e insegnanti. Alla luce del rapido ritmo di immunizzazione, siamo scesi di fascia d’età ogni tot giorni. Stiamo vaccinando anche la popolazione straniera residente in Israele: diplomatici, giornalisti e rifugiati».

È stato complicato da un punto di vista logistico?
«Per i vaccini abbiamo utilizzato sia strutture esistenti – ospedali, case di cura e centri sanitari di quartiere – sia quelle allestite ad hoc in centri commerciali, piazze in tutto il Paese. E abbiamo portato con le ambulanze a vaccinarsi chi non poteva arrivarci autonomamente».

La convocazione delle elezioni anticipate il 23 marzo prossimo ha influito?
«A pensarci bene, il fatto che la crisi politica abbia portato a più discussioni del solito ha provocato un’amplificazione del successo
nella campagna di vaccinazione».

Perché c’è tanta instabilità politica nel suo Paese?
«Abbiamo imparato dall’Italia… e non scherzo! La politica è un riflesso delle profonde correnti storiche nella società, in ogni società. Soprattutto in una società democratica che sta attraversando turbolenti processi di formazione. Queste scosse sono espressione di una lotta fra vecchie e nuove élite. Il dibattito pubblico oggi non è ideologico ma sociologico. Siamo sì un popolo antico, ma anche un Paese giovane. Questi shock sono necessari per stimolare il sistema, appunto, a un nuovo ordine politico».

In che modo il governo è riuscito a bloccare la disobbedienza di tante persone?
«Premetto che siamo abituati alla controversia su opinioni, convinzioni e valori; è un elemento della società israeliana. La maggioranza dell’opinione pubblica ultraortodossa ha rispettato le disposizioni e la distanza sociale, ma una minoranza al suo interno ha scelto di rischiare il contagio per osservare valori propri. Un fenomeno simile si è riscontrato anche fra i cittadini arabi di Israele, con una minoranza al loro interno che si è comportata diversamente. Questi atteggiamenti non hanno giovato alla disciplina di altri gruppi che si sono chiesti: “Perché loro sì e noi no?”. Con l’allentamento del lockdown, anche le tensioni diminuiranno».

I palestinesi di Gaza e Cisgiordania vi hanno accusato di non averli vaccinati contro il virus. Come risponde?
«Qui siamo di fronte a false recriminazioni. Per mesi i palestinesi si sono rifiutati di parlare con noi: i nostri tentativi di coordinare una risposta congiunta all’epidemia sono rimasti inascoltati. Ma sono esperti nell’attribuire agli altri le responsabilità. Sebbene non abbiamo responsabilità medica nei loro riguardi, abbiamo trasferito loro migliaia di vaccini per l’immunizzazione del personale sanitario. Sono arrivate anche 10.000 dosi del siero russo, che finora è stato ritardato a causa di problematiche nel trasporto».

Anche gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein stanno vincendo la guerra dei vaccini: il Medio Oriente fa meglio dell’Europa?
«Non esageriamo. La maggior parte del Medio Oriente è in gravi difficoltà sociali e governative. La parte che è riuscita nella “guerra dei vaccini” è una minoranza con un denominatore comune: è l’asse degli Stati della pace. Nei Paesi del Golfo c’è la voglia di costruire una società moderna, preservando anche la cultura antica. Da studioso, è vero che sono rimasto stupito dalla lentezza della campagna di immunizzazione in Europa».

Israele è tornato nel mirino della Corte penale internazionale (Icc). Perché accade questo?
«Non solo della Corte penale internazionale. Soprattutto le Nazioni Unite fanno Israele oggetto di attenzione esclusiva con decine di risoluzioni di condanna ogni anno: non c’è Paese al mondo, nemmeno le dittature più spietate, che sia oggetto di tale attenzione. La Icc ha travalicato le proprie competenze nel decidere che Israele può essere indagato per ipotetici “crimini di guerra”, sebbene Israele non sia uno Stato parte del tribunale. Noi siamo un Paese democratico che protegge i suoi cittadini e si sforza di colpire solo i terroristi. Dall’altra parte, i terroristi di Hamas a Gaza lanciano decine di migliaia di missili contro cittadini israeliani, e usano donne e bambini come scudi umani. E l’Autorità Palestinese ogni anno destina il 7% del proprio budget per finanziare terroristi che uccidono ebrei…».

Come cambia il rapporto con l’Europa alla luce dello sfruttamento comune del gas?
«L’Onu e l’Unione europea, in collaborazione con il Qatar, hanno da poco firmato un accordo per rifornire la centrale elettrica di Gaza con gas da Israele. Noi abbiamo a cuore la vita a Gaza, anche se lì i palestinesi spesso si sforzano di colpire le vite degli israeliani. A quanto pare, siamo degli eterni ottimisti. Quando si fanno affari insieme, l’ostilità svanisce. Israele, Egitto, Cipro, Grecia e Italia hanno firmato lo statuto del Forum del gas del Mediterraneo orientale (Emgf). Così anche i palestinesi. Attendiamo la ratifica della firma dell’Italia in Parlamento, dopo un ritardo subito a causa della crisi politica. Anche l’avanzamento del progetto del gasdotto Eastmed (2.100 chilometri di pipeline per rifornire di gas israeliano e cipriota la Grecia e poi l’Italia, ndr) è un collegamento molto importante tra Israele e l’Ue. È un progetto infrastrutturale multinazionale che unisce le democrazie e possiede enormi potenziali per l’economia italiana».

© Riproduzione Riservata