Truffe, business illegali, usura. Per mafiosi e camorristi la crisi è un’occasione d’oro. E, tra la fine dei sostegni statali e l’arrivo del Recovery Fund, le infiltrazioni dei clan, specie nel commercio e turismo, saranno ancora più diffuse.
Una pandemia che è un dono per la criminalità. Con un quadro in continuo deterioramento e la fosca previsione che il peggio sta per arrivare, dalla Lombardia alla Sicilia gli esperti lanciano l’allarme: la difficoltà di imprenditori, professionisti e commercianti rappresenta un’occasione per la criminalità, che ha dispone di ingenti capitali. Un modo perfetto per penetrare nei gangli del sistema economico e sociale.
La storia dell’operazione Bivio, portata avanti dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo in collaborazione con i Carabinieri, è significativa. La denuncia di cinque imprenditori ha fatto aprire l’inchiesta, che alla fine ha portato all’arresto di 16 persone del mandamento mafioso di Tommaso Natale, a Palermo. Il clan, tra le altre cose, si era impegnato a distribuire generi alimentari agli abitanti del quartiere Zen durante il periodo di lockdown.
Ma ci sono altri casi, come quelli che arrivano dalla Campania. «Sono tanti i segnali negativi che si registrano su offerte vantaggiose a operatori in difficoltà. Le recenti indagini dell’Antimafia sulla presenza crescente di clan in strutture della penisola sorrentina deve far suonare una vera e propria campana», ha ammonito l’associazione Atex, che si occupa di turismo nella regione. La deputata del Movimento 5 stelle Carmen Di Lauro ha portato la questione alla Camera con un’interrogazione: «A Castellammare di Stabia, in un’area quale quella della penisola sorrentina, a vocazione fortemente turistica, secondo rivelazioni di un pentito, il clan camorristico dei D’Alessandro risulterebbe proprietario di un albergo», si legge nell’atto depositato a Montecitorio.
C‘è poi un elemento ulteriore: la pandemia è un’occasione di affari per i materiali strettamente legati al contrasto al Covid-19, in primis le mascherine. «Nella fase iniziale dell’epidemia è emerso l’interesse anche di soggetti, presumibilmente legati ad ambienti della criminalità organizzata, a entrare nel comparto della produzione o della commercializzazione di prodotti sanitari, medicali e di dispositivi di protezione individuale» riferisce la relazione del Comitato parlamentare per la prevenzione e repressione delle attività predatorie nell’emergenza sanitaria, che Panorama ha potuto consultare.
L’organismo, coordinato dal deputato del Pd Paolo Lattanzio, ha spiegato che il 59 per cento delle operazioni sospette denunciate dalla Uif (Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia) ha riguardato, in molti casi rivelatisi fondati, «truffe e illeciti nella fornitura di strumenti e dispositivi sanitari, nonché difficoltà nell’adeguata verifica. Il restante 41 percento era connesso a operatività anomala in contanti, comunque collegata alla fase di lockdown».
Per avere un quadro più ampio, Lattanzio scrive: «Durante il 2020, primo anno della pandemia, l’Unità di informazione finanziaria ha ricevuto dal sistema bancario e dagli altri soggetti obbligati 113.187 segnalazioni di operazioni sospette (+7 per cento rispetto al 2019)». Spiega il deputato dem: «La potenzialità della criminalità non si è dispiegata in toto, perché finora, in qualche modo, il sistema sociale ha retto. Adesso che finiranno gli interventi per le imprese, si rischia l’onda lunga della crisi. E i soldi in mano li hanno le mafie».
Insomma, le infiltrazioni grazie al Covid-19 sono sempre più un allarme per l’economia italiana. Un numero rende l’idea di quanto sia complesso il fenomeno: secondo una ricerca di Transcrime, da aprile a settembre 2020 almeno 43.688 aziende hanno cambiato titolare. In pieno blocco da pandemia, c’è stato un grosso movimento a livello societario. Certo, non tutto associabile alla criminalità. Ma il dato impensierisce anche Nicola Morra, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno mafioso: «È un campanello d’allarme da non trascurare» spiega a Panorama. «E direi anche che in un certo senso era immaginabile, vista la crisi economica che stiamo vivendo. Bisognerebbe capire chi sono i nuovi soggetti».
Il focus, secondo le analisi, è concentrato in particolare sui settori del turismo, della ristorazione e del commercio, i più in affanno. Per questo la deputata Di Lauro chiede, nell’immediato, «ristori più incisivi» per scongiurare «ulteriore crisi di liquidità». Del resto la pandemia ha creato un paradosso: ha fatto diminuire i reati comuni, ma ha messo benzina nel motore delle criminalità. Infatti, scrive il Comitato parlamentare, «l’organismo antiriciclaggio della Banca d’Italia rileva» che «in ben 341 segnalazioni Covid-19 sono risultati coinvolti soggetti risultati presenti anche nei database della Direzione nazionale antimafia come potenzialmente collegati ad associazioni mafiose». Nomi e volti già noti, dunque.
La Dia, nella sua relazione sul 2020, ha messo nero su bianco un’altra dinamica in atto: «Il numero maggiore di operazioni sospette non avviene nei territori di origine delle organizzazioni mafiose ma in quelli di proiezione. In particolare nei contesti dove l’economia si presenta più florida. Non a caso la Lombardia si colloca in testa per numero di operazioni sospette, mentre, tra le prime Regioni, figurano – oltre alla Campania – anche Toscana, Lazio, Emilia Romagna e Veneto». Dunque, conclude la direzione «la propensione della mafia a farsi impresa emerge anche nelle transazioni economiche connesse con l’emergenza sanitaria del Covid».
Ci sono poi fenomeni da leggere in filigrana e che devono far drizzare le antenne al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e al capo della Polizia, Lamberto Giannini. Nel primo semestre 2020 si è registrato un aumento del 6,5 per cento di reati finalizzati all’usura, mentre si stima che nel periodo dal 1° marzo 2020 al 31 luglio 2020 si è verificato un decremento del 26,8 per cento di segnalazioni e denunce per questo reato.
«Verosimilmente» sostiene la relazione di Lattanzio «tali dati vanno interpretati nell’ottica per la quale nel primo trimestre c’è stato un aumento a fronte dell’assenza dei ristori statali. Dunque si è fatto ricorso al “credito parallelo”, al contrario nel secondo trimestre c’è stato un decremento proprio perché sono arrivati i ristori». Il punto, però, è che al di là di ristori e sostegni una tantum, i poderosi flussi finanziari arriveranno con il via libera al Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). «Sarà fondamentale strutturare un controllo rigoroso» osserva Morra «perché non possiamo correre il rischio che, esattamente come spesso capita con i fondi comunitari soprattutto nelle regioni del Sud, i finanziamenti del Recovery Fund vengano gestiti male o finiscano nelle mani della criminalità. Ma un punto dev’essere chiaro: l’inefficienza delle amministrazioni favorisce sempre il malaffare».
Insomma, se fino a oggi le mafie hanno fatto affari puntando sulla disperazione della gente, l’obiettivo delle criminalità è costruire un vero impero campando sulle lacune di inefficienza o di compiacenza del pubblico. Non è un caso che anche il numero uno della Direzione investigativa antimafia Maurizio Vallone abbia sottolineato l’esigenza di evitare infiltrazioni mafiose senza per questo cadere nell’inferno dantesco degli infiniti ricorsi al Tar che bloccano molto spesso le gare. Come? Con il controllo amministrativo da parte dei prefetti sull’intero appalto, dal conto corrente unico all’elenco fornitori e subappaltatori, anziché sulle imprese che partecipano ai bandi.
Una proposta, questa, che finora il governo Draghi non ha preso in considerazione. Così come non ha preso in considerazione le diverse proposte elaborate dalla Commissione parlamentare antimafia: «I nostri consulenti già diversi mesi fa hanno segnalato eventuali problematiche e soluzioni per ognuna delle criticità post-Covid» sottolinea Morra.
Il risultato? «Nessuna risposta con il Conte 2. Speriamo di essere più fortunati con Draghi».