Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro e vicesegretario del Carroccio, incarna ormai la Lega nazionale.
«Abbondantemente, vista la mole».
Indiscusso ed ecumenico plenipotenziario del Sud: da Roma a Portopalo.
«Sono fierissimo di quello abbiamo costruito in questi anni».
Nei prossimi giorni, il consiglio federale voterà la sua riconferma.
«Resto a disposizione del partito».
Matteo Salvini, nell’ultimo congresso, è stato rieletto altri quattro anni per acclamazione.
«È stata la definitiva consacrazione del suo progetto. Un momento emozionante».
Vuole tornare al Viminale.
«Non è una sua richiesta. È venuta fuori dal dibattito. Sarebbe però il giusto risarcimento politico dopo le chat di Palamara, i due processi inqualificabili subiti e le ingiuste accuse della sinistra. Conte è arrivato a rinnegare il passato, pur di andargli contro».
Sarebbe il grimaldello per tentare di recuperare voti e tornare agli antichi fasti.
«Come e se arriverà questo risarcimento, lo decideranno i diretti interessati. Di certo, ci riprendiamo il nostro cavallo di battaglia: sicurezza e immigrazione».
Il premier, Giorgia Meloni, non vuole rimpasti.
«Si valuterà al momento opportuno».
E i rapporti con i forzisti restano tribolati. Antonio Tajani vi ha dato dei «populisti quaquaraquà».
«Siamo contro le politiche di Ursula von der Leyen. Basti pensare al Green deal e alla distruzione dell’industria automobilistica. Loro appoggiano questa Commissione. Ma in Italia bisogna lavorare insieme, andando oltre le diversità».
Roberto Vannacci, al congresso, ha preso la tessera della Lega.
«E ha sancito la fine delle sterili polemiche montate da tanti giornali. Il Salvini delegittimato, che doveva straperdere, ha avuto un’ovazione. E il Vannacci distruttivo, che voleva un suo partito, ha fatto la tessera».
Potrebbe diventare vicesegretario come lei. Rischia di farle ombra.
«Impossibile, sono grande e grosso. Abbiamo bisogno di tutti. E lui serve più di me».
Durigon ha pure le spalle larghe.
«Vannacci ha preso cinquecentomila e passa voti. Adesso, compiuta l’ultima formalità del tesseramento, ci potrà dare un contributo fondamentale: sia elettorale che di idee».
La vecchia guardia non lo ama.
«È successo anche a me. Sono arrivato otto anni fa. In Lazio eravamo all’uno virgola qualcosa. Prima ho incontrato Giancarlo Giorgetti, con la sua concretezza. E poi Salvini, con il suo sogno di cambiare il Paese e l’Europa».
Ex sindacalista, di Latina: non la vedevano di buon occhio.
«Quando si entra in un meccanismo nuovo, bisogna farsi conoscere. Poi, col lavoro, si ottiene il giusto riconoscimento. Anche a Vannacci succederà lo stesso. Ci ha già dato un’enorme mano alle Europee. Sarà un grande valore aggiunto».
Intanto, la Consulta sbarra la strada al governatore veneto, Luca Zaia: non potrà ricandidarsi.
«Era nell’aria. Ma credo sia sbagliato limitare i mandati per chi, come lui, ha un plebiscito popolare».
Il Veneto rimarrà leghista?
«Sicuramente. È una roccaforte imprescindibile, non solo per i voti ma anche per quello che rappresenta. Le radici non vanno mai tolte dal terreno. Lo faremo capire agli alleati: è necessario che la Regione resti alla Lega. Si troverà un’intesa».
Mario Conte, sindaco di Treviso, o Alberto Stefani, suo parigrado?
«Sono due persone stupende. Stefani, giovane e in gamba, fa il vicesegretario con me. Conte è uno dei sindaci più bravi d’Italia. Sarebbero entrambi perfetti».
In cambio cederete la Lombardia a Fdi?
«Pensare a ciò che succederà nel 2028 mi pare prematuro. Di sicuro a Roma ci sarà un nuovo governo di centrodestra, ancora più forte».
Per il resto?
«Dobbiamo uscire da questa logica: oggi tocca a me e domani a te. Bisogna scegliere il migliore, che possa prima vincere e dopo amministrare bene. E noi, sia al Nord che al Sud, abbiamo una classe dirigente molto forte. È normale proporre candidature».
Anche a Salvini piacerebbe, prima o poi, fare il sindaco di Milano.
«Può fare tutto, ma io lo vedo segretario pure oltre il 2029. È un leader vero. La nostra ricrescita dei sondaggi lo dimostra. Siamo al nove e mezzo per cento. In giro c’è un calore che non si vedeva da tempo. Non sono la Ghisleri. Però, in base alla mia esperienza sul campo, sento che abbiamo già superato la doppia cifra».
E Forza Italia, di conseguenza.
«Non mi interessa il decimale. Vedo partecipazione, affetto, entusiasmo».
Cosa sarebbe cambiato, rispetto a qualche mese fa?
«La linea molto chiara che stiamo portando avanti. A cominciare dalla politica estera e europea. Errori, certo, ne abbiamo fatti».
Riassumiamo.
«Abbiamo pagato l’atto responsabile di entrare nel governo Draghi. A differenza di Fratelli d’Italia, che ne è rimasta fuori».
Dicevate: «Gli elettori capiranno». Non hanno capito?
«Certe scelte si fanno pure a discapito dei voti. Il momento storico era difficile. Il sacrificio, però, non fu apprezzato. Non ci riconoscevano più. Non siamo riusciti a incidere. E abbiamo votato anche cose che non dovevamo votare».
Quali?
«Tantissime. Era un governo di compromesso. Errori come quello non si ripeteranno».
Si fa il nome di Matteo Piantedosi per la Campania. Se venisse candidato come presidente, Salvini potrebbe tornare al Viminale.
«Parliamo di una persona strepitosa. Lui è scettico, ma averlo governatore sarebbe una rivoluzione per i campani. Passerebbero da De Luca, che fa la macchietta tutti i giorni, a Piantedosi, ammirato prefetto e grande ministro. Sarebbe adattissimo per quel ruolo».
Elon Musk, durante il vostro congresso, ha parlato di possibili stragi terroristiche in Europa. Era una maniera indiretta per chiarire che serve un ministro risoluto come Salvini?
«Se avesse voluto dire questo, l’avrebbe detto chiaramente. È stato fantastico, comunque. Oltre ad allertare sui pericoli dell’immigrazione, ha suggerito per la prima volta i dazi zero».
Le sue parole hanno contribuito alla moratoria concessa da Donald Trump?
«Era evidente che il presidente americano avrebbe aperto una trattativa, com’era successo con Canada e Messico. La proposta di Musk ne è stata la riprova. Trump ha poi raccolto il suo messaggio, assieme a quello di altri. Ora bisognerà trovare una formula adeguata».
Dazi zero, appunto?
«Fino a oggi, li aveva messi l’Europa sugli Stati Uniti. Il libero mercato, però, è fondamentale. Credo che sarà l’obiettivo delle prossime interlocuzioni. A partire dall’imminente viaggio di Giorgia Meloni in America».
L’Italia sarà decisiva?
«Siamo interlocutori privilegiati».
Il trumpismo rimane la bussola leghista?
«È uno dei fattori trainanti della nostra politica. La sua vittoria travolgente ha riequilibrato l’ordine mondiale: i sovranisti ora sono determinanti».
Soffrite la concorrenza del premier?
«Con lui, giustamente, è Meloni a tenere i rapporti. Noi privilegiamo quelli con il suo vice, J.D. Vance, e quelli con Musk. Si gioca di squadra».
Trump non perde occasione per insolentire l’Europa.
«Adesso è a inizio legislatura. Non pensa all’Europa o all’Italia. Cerca solo di ottenere risultati per il suo Paese».
Salvini definisce «disgustosa» la colorita metafora sui Paesi che gli baciano il fondoschiena per trattare.
«Trump è cosi. Ma io guardo la politica, non le esternazioni. Del resto, vogliamo parlare del bazooka di Ursula?».
Il leader leghista evoca, invece, la motosega di Milei.
«Contro il tecnicismo burocratico e le scelte folli dell’Unione: dal Green deal ai laccioli sul bilancio. E poi ci sono i dazi impliciti, causati dalla iper regolamentazione: vedi il bollino rosso messo al nostro parmigiano. È un’Europa lontanissima dalle vere necessità dei cittadini. Su questo ci differenzieremo sempre di più».
Sovranismo e nazionalismo non sempre convincono tanti colonnelli.
«La visione globale dà maggiore forza a chiunque».
Lei organizza truppe e candidature, da Roma in giù.
«Aiuto la comunità a dare risposte».
Una parola buona per tutti.
«Cerco di essere equilibrato».
I nostalgici hanno eccepito: si rischia di perdere il Nord.
«C’è una sola Lega: difende ogni territorio, senza andare mai contro gli altri».
In alcune regioni del Sud, ormai, prendete più voti.
«Alle Europee, in Sicilia abbiamo raggiunto il 7,5% . In Calabria il 9. In Campania abbiamo raddoppiato i consensi, rispetto alle Politiche. Sono state grandi soddisfazioni».
Uno dei nuovi cavalli di battaglia è il Ponte sullo stretto.
«È un’opera importantissima per l’intero Paese. Se si investono cosi tanti miliardi, vengono date enormi opportunità anche alle imprese del Nord».
Quando partiranno i lavori?
«Entro l’anno».
Battersi per collegare l’isola al continente è la definitiva nemesi?
«Questa è la Lega nazionale. Per costruire il federalismo e l’autonomia serve un movimento sempre più forte».
E servono uomini di pace come lei.
«Dobbiamo trovare soluzioni tutti quanti insieme».
Litigare con Durigon sembra complicato.
«Difficile, eh?».