Il decreto Rilancio offrirà ai migranti qualche mese da regolari. Ma non li terrà lontani dai caporali, che avranno un’arma in più. In caso di controlli, i braccianti non risulteranno irregolari, ma con permesso di soggiorno temporaneo.
Foggia, nella frazione Borgo Mezzanone, il ghetto dei migranti che offre braccia a basso costo alle aziende agricole del pomodoro più grandi del Sud Italia, i furgoncini dei caporali continuano ad arrivare a ogni alba. Domeniche comprese. Alla guida ci sono sempre africani che scelgono i loro schiavi da consegnare al padrone, di solito immigrati con permesso di soggiorno di tipo umanitario.
Come soldatini, gli africani si fanno trovare in riga e, silenziosi, salgono sulle navette. Sono senegalesi, nigeriani, ghanesi e gambiani. L’età media: tra 18 e 29 anni. Le giornate di lavoro ufficiali riportate nei loro contratti sono pochissime e servono solo per tenere le carte a posto nel caso in cui dovessero presentarsi i carabinieri. Con 30 o 40 euro al giorno un caporale riesce a reclutare braccia forti per dieci ore nei campi. La stessa scena si ripete a pochi chilometri: tra Venosa e Palazzo San Gervasio, paesi agricoli lucani al confine con la Puglia, dove ci sono altre baraccopoli.
Ogni anno c’è almeno un’inchiesta giudiziaria anticaporalato, ma il fenomeno sembra impossibile da debellare. Continuando sulla stessa linea orizzontale, attraversata la Basilicata, si arriva sulla costa del Cilento. La lingua di strada degli africani da raccolta è sulla litoranea: tra Pontecagnano ed Eboli. La Piana del Sele è zeppa di aziende agricole di pomodori, verdura, angurie. Dove un tempo c’erano lidi tra i più apprezzati della costa ora ci sono le baracche per il reclutamento.
Gli immigrati dormono vicino al mare e si spostano nell’entroterra ogni mattina per la raccolta, accompagnati dal caporale che li ha ingaggiati per pochi euro. Qui sono così ubbidienti e silenziosi che tempo fa una bella truppa fu portata dai caporali in carovana ai seggi del Pd per votare alle primarie. Anche in quel caso fu aperta un’inchiesta giudiziaria, finita in mezzo alle tante sullo sfruttamento nei campi.
Situazioni identiche vengono raccontate dalla stampa locale in Calabria, a Rosarno, a Palmi, nella Piana di Gioia Tauro. E lo scorso anno gli ispettori del lavoro hanno anche denunciato la presenza di 460 minori impiegati illegalmente. I dati del 2019 sono spaventosi. I carabinieri hanno denunciato 10.601 persone e ne hanno arrestate 201 per sfruttamento di manodopera. Le stime sul sommerso però consigliano di moltiplicare quei dati per almeno 20 volte. E si arriva ai numeri stimati dal governo giallorosso: quei 200 mila immigrati da regolarizzare che hanno portato alle lacrime della ministra Teresa Bellanova.
L’ormai famoso decreto Rilancio offrirà agli africani qualche mese da regolari, ma non terrà lontane le mani dei caporali. Anzi. Offrirà loro un’arma in più. Come? Il caporale continuerà a rastrellare le baraccopoli alla ricerca di manodopera a basso costo, offrendo la solita cifra dei 3-4 euro all’ora e il datore di lavoro continuerà ad assumere il dipendente per una giornata ogni dieci effettive. Ma avrà uno scudo in caso di controlli: gli immigrati non saranno irregolari, ma tutti con permesso di soggiorno temporaneo.
Hanno storto il naso perfino le associazioni di categoria. «L’intesa raggiunta sulla regolarizzazione dei migranti non è risolutiva dei problemi del mondo agricolo anche per i tempi che non combaciano con quelli delle imprese» ha affermato il presidente di Coldiretti Ettore Prandini. Il punto è che «nelle campagne le esigenze sono immediate mentre per la regolarizzazione ci vorrà tempo».
Il provvedimento, insomma, è arrivato tardi. E le imprese agricole avrebbero preferito i voucher. Dopo il fallimento della legge 199/2016, voluta ai tempi del governo del già rottamatore Matteo Renzi dal ministro Maurizio Martina proprio per contrastare il caporalato introducendo la Rete del lavoro agricolo di qualità, si assisterà presto all’inefficacia del decreto Rilancio. In quel caso le imprese della Rete avrebbero potuto usufruire di servizi specifici di intermediazione del lavoro con centri di collocamento e altri servizi. Nella provincia di Foggia, per esempio, delle 48.199 imprese agricole censite dall’Istat solo 213 (ovvero lo 0,44 per cento) risultano iscritte alla Rete a febbraio 2020.
I caporali, come dimostrano le inchieste giudiziarie, invece, hanno incrementato la loro presenza. Anche perché i prezzi del prodotto raccolto devono restare bassi. A solo una settimana dalla scoperta del paziente 1 in Italia, si chiude la trattativa fra produttori e industriali per stabilire il prezzo annuale del pomodoro destinato alla trasformazione: 87 euro a tonnellata. Solo un euro in più rispetto al 2019. A questo prezzo l’unica strategia è comprimere quello del personale.
E, così, vince il caporalato. Stando ai dati dell’Eurispes, il fatturato complessivo dell’agromafia in Italia vale 25 miliardi di euro spartiti tra 27 cartelli criminali appartenenti alle mafie tradizionali: camorra, ‘ndrangheta e Cosa nostra. Il lavoro irregolare, valuta l’associazione Avviso pubblico nell’ultima webinar sul caporalato agricolo, vale 4,8 miliardi, dei quali 1,8 sono di evasione contributiva. L’Inps invece fa sapere che 300.000 braccianti lavorano meno di 50 giornate all’anno (e sono il 30% totale degli addetti del comparto). Tra di loro ci sono gli sfruttati, pagati a circa la metà di quanto prevede il contratto. Dai 30-40 euro di guadagno a giornata, i lavoratori devono togliere gli oboli per il caporale: 5 euro in media per il trasporto, 2 euro per l’acqua e 3 per un panino.
Gli esperti ipotizzano che almeno una azienda su quattro si rivolga ai caporali per reclutare gli schiavi. L’Inps ha fotografato le loro condizioni di vita: il 60% campa senza i servizi essenziali, il 64% non ha acqua potabile e il 72% dopo la stagione di raccolta ha malattie di cui prima non soffriva. E che vanno a pesare anche sui costi del Servizio sanitario nazionale. «Molti lavoratori vengono dopati con anfetamine per sopportare le condizioni di lavoro cui sono sottoposti» spiega Roberto Fasoli di Avviso pubblico.
Ma le possibilità di business dopo il coronavirus non riguarda solo la manodopera. Giancarlo Caselli, ex magistrato antimafia e presidente dell’Osservatorio sulle agromafie, nel webinar di avviso pubblico introduce un altro tema: «Le aziende sono in crisi, la mafia no e potrebbe approfittare del momento di difficoltà intervenendo con la propria liquidità, cogliendo al volo le occasioni offerte da qualcuno che non ce la fa più. Il rischio di infiltrazione è alto e parlando di coronavirus non si può non tenerne conto».
