Manda gli ispettori a controllare i «buchi neri» dell’amministrazione comunale di Milano, ma è sicuro di fare fino a 150.000 nuove assunzioni all’anno nella Pubblica amministrazione. Parla il ministro più «dirompente» del governo Draghi che prova a cambiare i meccanismi inceppati della macchina statale. Il centrodestra? «L’alleanza è solida anche se compie scelte diverse a livello nazionale». E sul suo premier attuale dice: «Come Berlusconi, segna la storia del Paese».
C’è un ministro sprint, Renato Brunetta. Obiettivi centrati, sempre con il vento in faccia, con la stabilità e le riforme come traguardi per un Paese che rialza la testa. «Mentre il soufflé lievita, non bisogna aprire lo sportello del forno» disse a Cernobbio. Il domatore del «burosauro» della Pubblica amministrazione, animale biblico che da sempre spaventa gli italiani, racconta a Panorama la sua vita in prima linea.
Ministro Brunetta, qual è il bilancio di sette mesi di lavoro?
«Un bilancio eccezionale per il governo Draghi e per l’Italia. La congiuntura astrale favorevole è evidente: il Pil 2021 vola al +6%, e secondo me andrà anche oltre. Il nostro Paese sta tornando ad attrarre capitali, a essere profittevole per gli investitori come non avveniva da decenni. Persino lo sport, con tutta la sua potenza simbolica, ci vede sul tetto del mondo. La credibilità e la reputazione di Mario Draghi e il peso delle riforme che abbiamo impostato si fanno sentire fuori dai confini. Questo governo è uno straordinario esperimento di unità nazionale, dove trovano sintesi le diverse sensibilità del Paese, con l’eccezione di Fratelli d’Italia, cui devo riconoscere, almeno finora, di rappresentare in Parlamento un’opposizione responsabile».
I miliardi dell’Europa stanno facendo il miracolo?
«Il collante è il Piano nazionale di ripresa e resilienza, quel “contratto” con l’Europa – soldi in cambio di riforme – che è insieme un serrato cronoprogramma e un distillato di valori: europeismo, solidarietà, responsabilità, innovazione, sostenibilità. In sette mesi siamo riusciti a scrivere un Pnrr di grande qualità, «premiato» dalla Commissione Ue con dieci A e una B, e in cui abbiamo approvato i primi provvedimenti abilitanti, grazie a cui l’Italia ha ottenuto ad agosto l’anticipo di 25 miliardi dei fondi europei. Adesso non dobbiamo sederci sugli allori, il bello deve ancora venire».
Avverte sintonia totale con Mario Draghi?
«Conosco il premier da 40 anni: un’eccellenza del nostro Paese, il naturale successore di Angela Merkel come leader europeo. Per l’Italia della rinascita non può esserci guida migliore».
Lei è considerato uno dei ministri più efficienti in funzione Recovery. Altri sono ancora al palo. Come ha fatto?
«Merito del lavoro di squadra, della sinergia con gli altri ministri e del contributo del Parlamento. Merito anche della mia precedente esperienza a Palazzo Vidoni, che mi ha permesso di ricominciare da dove avevo lasciato, forte di qualche consapevolezza in più. Una su tutte: nessun miglioramento della Pubblica amministrazione è possibile senza scommettere sul rinnovamento e sulla riqualificazione del capitale umano. Per questo ho voluto inaugurare il mio mandato con il Patto per l’innovazione del lavoro pubblico firmato con i sindacati. Siamo ripartiti dalle persone».
Entro fine anno dovranno essere selezionati i mille esperti per la gestione delle procedure complesse. Come li recluta?
«Il 10 agosto è partito in via sperimentale il portale nazionale del reclutamento: InPa.gov.it. È una rivoluzione: il LinkedIn della Pubblica amministrazione, che consentirà dall’autunno di pubblicare i bandi e gli avvisi legati al Pnrr e di selezionare i professionisti. I mille esperti avranno il compito di mappare i colli di bottiglia e intervenire per eliminarli. Una sorta di «pronto soccorso Pnrr». Confido che i tanti bravi professionisti italiani si mettano a disposizione del Paese. Lo dico anche a quegli ingegneri, geologi, tecnici che non farebbero mai un’esperienza nel pubblico: dateci una mano, questa è anche la vostra sfida».
Dal 15 ottobre i dipendenti tornano in presenza, un segnale forte.
«È un segnale di ritorno a una nuova normalità, punto di partenza per cambiare tutto, incluso lo smart working per come è stato praticato finora: una soluzione utile per affrontare l’emergenza sanitaria, ma non un modello per il futuro. Adesso occorrono servizi pubblici che funzionino al massimo delle loro potenzialità. Famiglie e imprese devono poter contare su risposte tempestive per pratiche e procedure amministrative, a maggior ragione per il Superbonus 110% o le autorizzazioni per la banda ultralarga. Anche per accogliere i nuovi assunti, che stimiamo in 120-150.000 l’anno, è indispensabile la relazione in presenza».
Lei è il «domatore del burosauro», uno degli animali mitologici più invisi agli italiani.
«Per vincere la battaglia contro la cattiva burocrazia dobbiamo avere il coraggio di individuare e combattere i grumi di conservazione, gli interessi che si alimentano di barocchismi e inefficienze. Sono corporazioni anacronistiche. In pochi mesi abbiamo già approvato trasformazioni che lasceranno il segno, come la norma del decreto semplificazioni che ha impedito
il blocco delle opere in caso di ricorso al Tar. Qualcuno ha tentato in ogni modo di sabotarla, eppure alla fine la mia tenacia ha prevalso».
È vero che durante il Covid la Pubblica amministrazione ha abbassato la produttività?
«Mai detto una cosa del genere, anzi ho sempre riconosciuto il ruolo centrale, durante l’emergenza, dei «volti della Repubblica», come li ha definiti il presidente Sergio Mattarella: medici, infermieri, forze dell’ordine. Le amministrazioni hanno fatto il possibile per continuare ad assicurare i servizi essenziali, a volte con successo, a volte meno. Il lavoro da casa è stata una risposta emergenziale quando la situazione nel Paese era gravissima. Non si è potuto misurarne l’efficienza, in assenza di obiettivi e di monitoraggio dei risultati. E ciò che non è misurabile non è migliorabile».
Mandare gli ispettori al Municipio 5 di Milano, negli uffici comunali dove un normale cittadino non riesce a ottenere un banale certificato, è un segnale dirompente. Non teme ostruzionismi?
«Garantire servizi di qualità ai cittadini è un atto di vera democrazia, un’arma contro le disuguaglianze. Verificare eventuali disservizi è mio compito. A quelle forze sindacali e politiche che coprono chi lavora poco e male nella Pubblica amministrazione ricordo che fanno un torto alla parte più debole della società: gli anziani, i poveri, i disabili, i disoccupati, i più fragili tra noi».
La sua difesa del Green pass, con quel video sui social, ha fatto molto discutere…
«Ho 71 anni, sono figlio di un venditore ambulante, sono un professore universitario di economia, un politico, ora di nuovo un ministro della Repubblica. Resto tutto questo insieme. Non mi sono mai tirato indietro quando dovevo difendere posizioni che ritenevo giuste, nell’interesse del Paese. Sul Green pass confermo ogni parola: è uno strumento geniale, perché è un «nudge», un pungolo che induce alla vaccinazione in maniera gentile e lascia la scelta del tampone. Un modello lodato perfino dal professor Anthony Fauci, che sulla pandemia ne sa più di tutti noi. Chi lo attacca, preferiva vedere ancora chiuse le nostre attività e le nostre città?».
Quali differenze nota con l’esperienza del 2008 nel governo Berlusconi?
«Il paragone è quasi impossibile. Era un’altra Italia, in un’altra Europa. Allora dovevamo stringere i cordoni della borsa dopo una crisi finanziaria mondiale e la tempesta dello spread, con un’Europa rigorista e austera che con noi ha usato il bastone. Oggi abbiamo 235 miliardi del Pnrr da spendere, di cui circa 200 di fondi europei e il resto di fondi aggiuntivi nazionali, e un Paese da rifondare nel nome della Next Generation Eu e di un’Europa solidale: l’Italia è il maggior beneficiario delle risorse, una straordinaria dimostrazione di fiducia, niente affatto scontata».
L’europeista e liberale Draghi potrebbe essere l’erede di Berlusconi?
«Sono uomini talmente eccezionali, unici, che nessuno potrebbe essere considerato l’erede dell’altro. Ma si sono incrociati in momenti topici: fu Berlusconi a proporre Draghi prima per la guida della Banca d’Italia e poi per la presidenza della Bce ed è stato sempre Berlusconi a sostenere con forza Draghi presidente del Consiglio nel 2021. Entrambi hanno segnato e segneranno ancora la storia del Paese».
Il centrodestra vive una stagione difficile. Che scenario vede in prospettiva?
«L’alleanza di centrodestra è solida e fruttuosa nei territori, nonostante le scelte diverse a livello nazionale. Quasi tutti i partiti sono in una fase di trasformazione, di ridefinizione dell’identità e dei valori. Forza Italia è rimasta coerente con i suoi, che sono quelli del Ppe e, in fondo, i valori universali dell’Europa: la convinzione che nessuno debba essere lasciato indietro, l’economia sociale di mercato, la tutela delle libertà e dei diritti. Questa è la grande forza del Ppe ed è anche una scelta di campo da cui non si può più prescindere».
Lei ha sempre rivendicato di essere un liberalsocialista nella «casa» liberale di Forza Italia. Più facile dialogare con il centrosinistra?
«In questo governo siamo tutti riformisti, e si vede. Forse, da ministro più anziano, sento semplicemente più di altri
la responsabilità di favorire le mediazioni tra culture diverse. Abbiamo dimostrato con i fatti, a partire dal Green pass, che l’orizzonte comune è un’Italia più efficiente, più solida nella crescita e più giusta».
Si avvicinano due partite: Colle ed elezioni. Cosa prevede?
«L’Italia ha bisogno di stabilità, non di elezioni anticipate. La legislatura non può che finire nel 2023, proprio perché bisogna che i partiti esauriscano la fase di metamorfosi innescata dall’effetto Draghi. E sul Colle ho già detto chiaramente la mia: perché l’Italia cambi davvero occorrono sette anni. Esattamente la durata in carica del nuovo presidente della Repubblica».
Il ministro sprint non fa nomi, ma si capisce chi è il garante della stabilità. E di quel soufflé che non deve implodere.
