Il consenso degli esordi è un ricordo e ora il leader americano scontenta tutti, a partire dai democratici che l’hanno voluto. Risultato: sono fermi al palo i piani su welfare, clima e infrastrutture, così come le riforme su legge elettorale, polizia, immigrazione. Mentre Donald Trump scalda i motori per tornare in scena…
Il 7 novembre 2020, parlando per la prima volta alla nazione da presidente eletto, Joe Biden aveva promesso che sarebbe stato il leader di tutti gli americani, che avrebbe cercato non di dividere ma di unire. Per mesi ha portato avanti il mantra del governo del dialogo, ora però sembra che il timone del Paese gli stia sempre più sfuggendo di mano, mentre sulla sponda destra del Potomac Donald Trump pare risorto dalle ceneri. Per Biden invece si tratta del momento forse più complicato da quando è alla Casa Bianca: sta perdendo consensi sia tra gli elettori democratici moderati che tra quelli progressisti, cerca il compromesso ma scontenta quasi tutti.
Nei primi mesi, al 1600 di Pennsylvania Avenue il suo approccio da statista dopo i quattro anni tumultuosi dell’era Trump gli ha fatto guadagnare consensi, con il passare del tempo tuttavia è cresciuta la sensazione che la sua agenda sia alla deriva, travolta dalla spaccatura dentro il partito democratico. Nell’Asinello i moderati temono il maxi piano da 3.500 miliardi di dollari su welfare e clima, che i liberal pongono come condizione per far passare l’altro pacchetto, quello bipartisan da 1.200 miliardi sulle infrastrutture.
Il risultato è che entrambi i disegni di legge si sono arenati in Congresso. Con il Build Back Better Act, Biden vuole ampliare la copertura sanitaria a livelli addirittura superiori a quelli europei, così come l’assistenza all’infanzia e i congedi per maternità e malattia.
Il problema del presidente per diversi osservatori è che non è riuscito a fare ciò che lo avrebbe aiutato a uscire dall’impasse: avere il sostegno popolare necessario per strappare un accordo sui capisaldi della sua agenda. Per questo sta tentando di promuovere i due piani nelle regioni critiche, come la contea di Livingston, in Michigan, dove si è recato a inizio ottobre.
Nella cittadina di Howell Biden ha parlato in una sede del sindacato locale dei costruttori, ma ad attenderlo ha trovato centinaia di manifestanti, preoccupati dagli enormi livelli di spesa che richiederebbe la misura. «I nostri figli e i nostri nipoti saranno indebitati praticamente per l’eternità» ha detto la presidente del partito repubblicano della contea, Meghan Reckling, facendosi portavoce dei critici. Timori condivisi da numerosi democratici centristi, mentre nelle zone più disagiate i fondi previsti rappresentano il «minimo sindacale».
«Tutto ciò che abbiamo sono impieghi nei servizi a salario minimo. Il piano investe su di noi per avere un lavoro, sulle donne per l’assistenza all’infanzia» ha spiegato Pamela Garrison, infermiera in pensione nella contea di Fayette, una delle più povere della West Virginia. Ad ora, però, i tentativi di compromesso tra i leader del partito e la Casa Bianca sul pacchetto, che scenderebbe da 3.500 a 1.750- 1.900 miliardi di dollari per superare le divisioni, non hanno dato frutti.
«Non è una partita di baseball, ma il più significativo pezzo di legislazione degli ultimi 70 anni» ha ammonito il senatore socialista Bernie Sanders. Inoltre, gli esponenti dell’ala liberal (che hanno tutta l’intenzione di riscuotere dopo il fondamentale contributo dato alla vittoria di Biden nel 2020) sono delusi per lo stallo delle riforme su legge elettorale, polizia, immigrazione, paga minima a 15 dollari l’ora e aborto, osteggiate dai dem moderati e dai repubblicani.
I sondaggi fotografano impietosamente il crollo di fiducia degli elettori: per Abc News/Washington Post il distacco tra sostenitori e detrattori del Comandante in capo è di 7 punti (44 favorevoli e 51 contrari), per Usa Today/Suffolk di 14 (41 favorevoli e 55 contrari), e secondo la proiezione più recente di Axios-Ipsos solo il 44% si fida di lui, contro il 65% di quattro mesi fa. Persino la Cnn, sempre piuttosto benevola nei suoi confronti, ha sottolineato che «i presidenti si mettono nei guai quando sembrano in balia degli eventi, ed è la situazione che ora deve affrontare Biden, alle prese con una sfilza di crisi politiche causate ed esacerbate dalle sue stesse scelte e il senso di una Casa Bianca sotto assedio».
Sul fronte repubblicano, intanto, Trump scalda i motori per la ricandidatura. Solo pochi mesi fa la sua carriera politica sembrava finita, così come la sua influenza sul Grand old party, con l’indice di popolarità ai minimi storici dopo che sette senatori Gop hanno votato il suo impeachment «postumo» per l’attacco al Campidoglio. Ma i passi falsi di Biden in politica estera (a partire dal caotico ritiro dall’Afghanistan) e le divisioni interne ai dem hanno creato le condizioni ideali per un suo potenziale ritorno sulla scena.
L’ex presidente non ha ancora ufficializzato la decisione di candidarsi per tentare di riprendersi la Casa Bianca, ma nel suo entourage sono sempre più convinti che sia solo questione di tempo: «Penso che correrà sicuramente nel 2024» ha detto il suo consigliere Jason Miller. «Direi che le possibilità sono tra il 99 e il 100%». I segnali, in effetti, ci sono tutti. The Donald ha rispolverato lo slogan «Make America great again» e all’inizio di ottobre è volato a Des Moines, Iowa, lo Stato che tradizionalmente apre la lunga stagione delle primarie, con un comizio dal titolo «Save America».
Oltre ai sostenitori, lo galvanizzano i numeri: secondo un sondaggio Des Moines Register/Mediacom, in Iowa ha i più alti indici di gradimento di sempre, con il 53% degli abitanti che ha una visione favorevole del suo operato. E ha pure riconquistato le simpatie di Chuck Grassley, uno dei repubblicani più influenti al Senato, che correrà per l’ottavo mandato. La sua presenza all’evento di Des Moines mostra che il tycoon è tornato a rafforzare la presa sul Grand old party dopo la sconfitta 2020 e l’emorragia di consensi seguita all’insurrezione del 6 gennaio.
Qualche mese fa proprio l’88enne Grassley era stato tra i più duri a criticare Trump per non aver accettato il responso delle urne, accusandolo di «cattiva leadership», di un linguaggio «estremo, aggressivo e irresponsabile» e di aver incoraggiato il suo vice Mike Pence «a intraprendere azioni incostituzionali» per interferire con il conteggio del collegio elettorale in Congresso.
Il cambio di passo è quindi da considerarsi particolarmente indicativo. Secondo lo stratega repubblicano Vin Weber, la decisione del senatore di comparire pubblicamente al comizio di Des Moines mostra che l’ex presidente si è saldamente ristabilito come leader del partito, uno scenario che sembrava di difficile se non impossibile realizzazione: «Può piacere oppure no, ma il leader del partito è Trump, questa è la realtà».
Ed è anche ciò che chiedono gli elettori Gop secondo l’ultima proiezione dell’autorevole Pew research center, pubblicata il 6 ottobre: due terzi dei repubblicani e degli indipendenti di tendenza repubblicana vorrebbero che Trump continuasse a essere una figura politica di rilievo per molti anni a venire, e il 44% vorrebbe che si candidasse alla Casa Bianca nel 2024.
Percentuali che continuano a salire più ci si allontana dagli eventi del 6 gennaio. E se rimane tutto da dimostrare che The Donald possa ricreare le condizioni che lo hanno portato alla vittoria nel 2016, le difficoltà dell’amministrazione Biden vanno a suo vantaggio: «Un ritorno di successo di Trump non è certo un dato di fatto» ritiene Thomas Gift, direttore fondatore dell’University College London’s Centre on U.S. Politics. «Ma non c’è dubbio che sia una possibilità reale».
